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A che serve boicottare le Olimpiadi se la Cina fa prestiti a mezzo mondo?
Post di Luca Battaglia, studente magistrale di Finanza Aziendale, interessato al mondo delle politiche giovanili ed appassionato di tematiche economiche e politiche. Co-fondatore di Pillole di Politica –
Il modello cinese è oramai diventato un riferimento sia da un punto di vista commerciale che finanziario. Questo grazie alla rete sofisticata di informazioni, accordi e istituzioni che la nazione ha creato nel corso degli ultimi due decenni al fine di creare un’area parallela a quella del dollaro statunitense. La presenza cinese è emersa non solo nel commercio ma anche sul fronte dei prestiti all’estero. Dal 1998 il paese ha conosciuto un picco di prestiti erogati soprattutto a favore dei paesi in via di sviluppo ed emergenti, diventando, di fatto, il più grande creditore ufficiale al mondo.
La dimensione dei prestiti esteri cinesi, relativi al periodo 1998-2018, può essere osservata attraverso la Figura 1, che utilizza dati aggregati provenienti dalla Bilancia dei Pagamenti (BdP) cinese.
Nella figura notiamo come i prestiti diretti (Direct loans, in rosso) della Cina sono aumentati da circa lo 0,1% nel 1998 a oltre l’1,6% a partire dal 2016 rispetto al PIL mondiale (World GDP, misurato sull’asse delle ordinate). Questo ha trasformato la Cina nel più grande creditore ufficiale del mondo intero, superando di gran lunga la Banca mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale. Un importante incremento lo hanno avuto anche i crediti commerciali (Trade credit, in verde), che nel 2016 superano il punto percentuale. Di fatto, i paesi in via di sviluppo sono oggi più indebitati con la Cina piuttosto che con gli altri principali governi creditori a livello internazionale.
Uno dei motivi per cui la Cina risulta oggi il principale creditore mondiale è il continuo aumento del PIL cinese; i prestiti cinesi hanno contribuito a finanziare investimenti su larga scala in infrastrutture in oltre 100 paesi in via di sviluppo, ma hanno allo stesso tempo portato alla nascita di ingenti livelli di debito nei confronti della Cina. Molti economisti, infatti, temono che i prestiti cinesi stiano costringendo le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, ignare, ad indebitarsi alle stelle. Nello specifico, se da un lato investitori istituzionali, come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, hanno in genere erogato prestiti ai paesi in via di sviluppo a condizioni agevolate, scadenze lunghe e tassi di interesse inferiori a quelli applicati nel mercato; dall’altro lato, la Cina spesso presta a condizioni di mercato con scadenze più brevi e clausole più stringenti in caso di mancato rimborso.
La Cina, in particolare, adatta i suoi prestiti e le modalità di erogazione e rimborso al beneficiario finale: i paesi con un reddito medio-alto ricevono investimenti di portafoglio tramite l’emissione di titoli di debito sovrano (tipicamente Bond denominati in renminbi) poi acquistati dalla Banca Popolare Cinese (PBoC), l’autorità centrale di politica monetaria della Repubblica Popolare Cinese. Molti paesi sviluppati, come gli Stati Uniti d’America, nel corso degli ultimi anni hanno, di fatto, emesso tante di queste obbligazioni, incrementando la loro posizione debitoria netta nei confronti della Cina.
La Figura 2, riportata di seguito, mostra come, a partire dal 2017, il governo cinese detenga costantemente oltre 5 trilioni di dollari di crediti verso il resto del mondo (equivalente al 6% del PIL mondiale), rispetto ai 500 miliardi nei primi anni 2000 (equivalenti all’1% del PIL mondiale).
La principale differenza con la Figura 1 è che adesso vengono aggiunte le posizioni di debito in portafoglio (Portfolio debt Investment, in blu) che vengono combinate con i prestiti diretti e i crediti commerciali mostrati in precedenza. Aggiungendo gli Investimenti Diretti Esteri (FDI debt), nel 2017 i crediti finanziari totali della Cina all’estero ammontano ad oltre l’8% del PIL mondiale. Questo aumento dei prestiti ufficiali cinesi è quasi senza precedenti nella storia, essendo paragonabile solo ai prestiti concessi dagli Stati Uniti d’America dopo la prima e la seconda guerra mondiale.
La Repubblica Popolare Cinese è stata per gran parte della sua storia prestatore internazionale, estendendo prestiti e sovvenzioni bilaterali dapprima ai paesi comunisti alleati e successivamente ad altre nazioni, sviluppate e non. Questi prestiti iniziano a crescere verso il 2000, anno a partire dal quale la Cina amplia sia l’ammontare dei flussi di capitale in uscita sia l’ambito geografico di azione sino ad arrivare, nel 2017, a raggiungere con i suoi prestiti o sovvenzioni l’80% dei paesi del mondo. A metà novembre 2020 conclude anche il più grande accordo commerciale regionale, l’RCEP (Partenariato regionale del Pacifico), erede del TPP di ispirazione statunitense (voluto da Bill Clinton e fatto naufragare da Trump), al quale partecipano i grandi alleati asiatici degli Stati Uniti.
Un ulteriore problema che Joe Biden, alle prese con la decisione di boicottare i prossimi Giochi Olimpici invernali facendo mancare ogni rappresentanza diplomatica, dovrà affrontare, insieme alla pesante eredità lasciata da Donald Trump: rapporti bilaterali compromessi, sfiducia reciproca ai massimi storici, una batteria di dazi da gestire e numerosi paesi alleati in attesa di capire quanto condivisa sarà la nuova politica statunitense in Asia.
Mentre Washington e l’Europa riflettono su come contenere la Cina, Pechino accelera nell’espansione della sua influenza all’estero.
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