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La crisi alimentare è un’opportunità per l’export agroindustriale italiano
La crisi alimentare e l’aumento dei prezzi sono due conseguenze del post Covid. Tuttavia la produzione alimentare, specialmente per commodities agricole, ha ampi margini di crescita, specialmente in Africa.
Fonte Visualcapitalist
La domanda di tecnologia agricola avanzata, nei paesi poveri, può essere un volano alle nostre esportazioni. Ne ho parlato con operatori del settore cerealicolo, manifatturiero ed export per comprendere come una situazione di crisi mondiale possa divenire un’opportunità per l’Italia. Corrado Finardi Regulatory Affairs Manager di COCERAL. Stefano Mazzini è il direttore commerciale di Ocrim Spa. Damiano Santini fondatore di TEM ITALIA Srl.
Lo scenario alimentare e la supply chain
L’intera industria agricola si basa su energia per macchine, processi, minerali e fertilizzanti, a loro volta estratti e processati grazie a energia, di solito fossile. Facciamo il punto con Finardi.
Fonte Amis Outlook
“L’inverno passato, freddo in Europa e Asia, ha spinto la domanda di carburanti fossili per riscaldamento”, attacca Finardi. “Egualmente ha fatto la ripresa industriale, facendo aumentare i prezzi. La chiusura delle raffinerie negli Stati Uniti, causa dell’uragano Ida, ha ulteriormente danneggiato l’offerta. A tutto questo si aggiungano le tensioni tra Ucraina e Russia per gli oleodotti. Tutti questi fattori, ed altri minori, hanno causato un aumento dei prezzi dei fertilizzanti (vedi foto sopra)”, mi spiega Finardi. “Cina, Brasile, India e Sudafrica, sono alla ricerca di fertilizzanti. Molti impianti inglesi di fertilizzanti hanno chiuso: 400 euro per tonnellata di urea e’ diventata un cifra ingestibile. Il costo medio per fertilizzanti per azienda agricola è aumentato da 5000 a 8000 euro/anno diventando una delle prime fonti di costo per le imprese (dati Commissione Europea). Il risultato è stato una diminuzione della produzione agricola.”
Se questi fattori non bastano si aggiungono anche scelte burocratico-legislative. Continua Finardi. “Aggiungiamo poi il Fit for 55 (volto a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030) con il Carbon Border Adjustment Mechanism, che tasserebbe i fertilizzanti importati in modo da favorire una neutralita’ climatica degli stessi ed evitare di importare prodotti in Europa dislocando le emissioni altrove. In questo quadro complesso, si inseriscono la strategia european Farm to Fork (foto sopra), che prevede una riduzione del 20% dei fertilizzanti entro il 2030, in modo da ottenere una riduzione del 50% della perdita di nutrienti. In base a studi convergenti dell’Università di Wageningen, di Kiehls nonché altri studi di impatto promossi da vari stakeholder, come COCERAL, la preoccupazione più frequente riguarda una perdita produttiva dal 10$ al 40% per le maggiori colture (grano, mais).”
Se la visione strutturale ed europea appare critica anche il mondo privato, che con i cereali ci lavora, è sottosopra. Le previsioni di crescita di domanda di cereali (nel grafico “staple food”) per generare calorie, negli africani, sono in aumento.
“Data la nostra attività nelI’industria cerealicola, abbiamo un punto di osservazione privilegiato sul mondo dei cereali”, mi spiega Mazzini. “Negli ultimi mesi c’è stato un forte aumento del prezzo di grano duro e tenero. Il rischio si palesa anche per le forniture di grano duro per la pasta italiana, con rischio di aumento dei prezzi. Si deve correre ai ripari cercando di creare dei mercati che siano indipendenti. In Italia si parla spesso di grano italiano, ma l’Italia non è autonoma per quanto riguarda il grano duro. Il settore molitorio in cui noi operiamo è sotto forte stress: se prima si comprava grano duro a 200 euro alla tonnellata oggi siamo arrivati a 600 euro. Tuttavia la Gdo aumenta il minimo possibile i prezzi all’utente finale, scaricando i costi aumentanti ai pastifici e ai mulini, di cui molti operano anche in perdita. La necessità di creare filiere verticali ci ha spinto a una maggior strutturazione; Ocrim ha iniziato a perseguire questa soluzione qualche hanno fa e oggi Ocrim è portavoce, assieme ad altre aziende, di una filiera che va dal seme di grano al prodotto finito.”
Se lato azienda molitoria il problema della supply chain si fa sentire ancora di più è l’impatto sull’intera struttura aziendale.
“Il comparto alimentare italiano è formato da centinaia di migliaia di piccole aziende di filiera: una peculiarità che rende questo settore, anche in termini manageriali, più rigido ai cambiamenti e le crisi”, commenta Santini. “ Il focus delle aziende spesso è solo il prodotto, con minor attenzione e investimenti a marketing e sviluppo commerciale di lungo periodo. Crisi di produzione, agricole o commerciali, o un associazione di tutte queste, possono devastare intere filiere. Di qui la perdita di know-how, di qualità, a solo beneficio dei player di mercato più grandi, che hanno una struttura e un’organizzazione in grado di assorbire eventi esogeni violenti. Essendo il mercato alimentare molto frammentato le Pmi devono sviluppare competenze manageriali degne delle big company. In mancanza di queste risorse interne, molte Pmi stanno adottando un modello di sourcing esterne di risorse umane fortemente specializzate, come i temporary manager per l’esportazione. Sono risorse umane accessibili (in termini di costo) alle piccole imprese, per migliorare quelle funzioni aziendali come l’export e il marketing, anche internazionale.”
Africa un’opportunità per l’Italia
Se lo scenario mondiale è chiaro veniamo all’Africa. Tutti ricordiamo le rivolte del pane che spinsero tutto il nord Africa verso le guerre civili. Tuttavia se in termini di filiera alimentare l’Africa è messa male, questa condizione negativa non è permanente e, cosa rilevante per noi italiani, è un vasto mercato per le nostre imprese.
Facciamo il punto con Finardi. “Allacciare l’Africa a filiere di fornitura globale è sicuramente un passaggio chiave, in particolare per ortofrutta e cereali. Ci sono tre sfide: tecnologica, regolamentare e socio-economica. Sulla sfida tecnologica e di modernizzazione, sistemi intelligenti in grado di massimizzare gli input (acqua irrigazione e fitosanitari-fertilizzanti, digitalizzazione) sono disponibili, a costi più accessibili rispetto al passato. La vera sfida è avere un capitale umano formato, capace di implementare le nuove tecnologie e creare sistemi organizzativi in grado di condividere i costi di apprendimento. Sull’aspetto regolamentare occorre che i paesi comincino ad riferirsi a standard sia globali e privati sia invece a standard pubblici (come il Codex Alimentarius). Sulle commodities alimentari le cose possono essere diverse, e valgono standard minimi di rispetto di limiti: contaminanti, residui di pesticidi… Infine, sulla sfida socio-economica: occorrerà pensare a sistemi per mantenere la produzione avviata, anche a livello locale, per soddisfare la domanda interna”, conclude il Regulatory Affairs Manager di Coceral.
Sul lato tecnologico economico approfondiamo con Mazzini. ”Il mercato africano, in particolare i paesi del centro Africa, hanno aumentato la loro attività, grazie a investimenti esteri. Il maggior sfruttamento agricolo ha generato una maggior richiesta di aziende che producono farine e conseguentemente un aumento della produttività. Ocrim in Africa ha investito molto lavorando sul concetto di filiera – altro vero obiettivo di molti partner africani che abbiamo incontrato – cioè quello di costruire delle filiere integrate e verticali. Questi investimenti non si limitano all’approccio di semplice vendita di macchinari: formazione continua, scambio di professionalità, strutturazione di aziende e relativi organigrammi plasmati su standard occidentali, ma con una comprensione delle dinamiche sociali locali. In questo modo sta crescendo l’Africa. Diversamente, altre aziende extra-europee esportano macchinari spesso di minor qualità e minor costo, senza un approccio di ecosistema. In pratica sono orientati al semplice sfruttamento del territorio e del mercato.”
Se sul lato tecnologico la differenza tra il modello di relazione commerciale europeo e quello asiatico è chiaro ancora più rilevante è l’evoluzione della domanda di cereali.
“Sino a 10 anni fa l’unico cereale diffuso in Africa era il mais. Oggi invece cresce la domanda, e relativa filiera per il grano tenero. A questo si aggiunge una nicchia in rapida espansione per il grano duro per uso locale”.
Fonte Agrinatura
“La scelta di questi cereali è dovuta a una crescita della società nel suo totale e una domanda di prodotti più raffinati (vedi immagine sopra). Anche in questo senso la domanda di macchinari per la valorizzazione del grano, come i mulini industriali, sta crescendo. Sono investimenti economicamente importanti, di solito fatti grazie a progetti pubblici ma, oggi più che mai, da grande aziende private. Come azienda italiana l’esportazione in Africa è sfidante: da un lato abbiamo un alto valore aggiunto che viene riconosciuto in tutto il mondo, dall’altro un percorso di dialogo continuo in competizione con altre aziende che hanno approcci diversi, come la qualità inferiore che comporta minor costi. Il nostro percorso di dialogo con l’Africa si lega all’educazione economica e sociale, che passa dalla comprensione che un investimento economico iniziale più importante può garantire risvolti sicuramente costruttivi, con un partner affidabile, in grado di supportarlo a 360 gradi, che si traduce in un tempo di vita più lungo e con una forte assistenza post vendita, cosa che di rado altre aziende extra-europee possono assicurare, conclude Mazzini.
Esiste un altro aspetto che può essere un volano per l’export italiano di meccanica e macchinari: quello umano.
“In ambito tecnologico un percorso di relazioni umane è vitale: consideriamo tutto il processo di vendita, post vendita e, cosa da non dimenticare, la formazione tecnica”, mi spiega Santini. “I giovani africani stanno acquisendo rapidamente tecnologie di qualità come quelle italiane.
Fonte Agrinatura
È necessario tuttavia che il percorso fisico sia accompagnato da quello sociale e educativo. La necessità di poter intervenire nella riparazione di un macchinario tecnologicamente complesso è vitale per non interrompere la filiera di produzione agricola (si veda immagine sopra). In tal senso la formazione diventa un elemento vitale dell’intero processo di vendita ed esportazione di meccanica italiana. Molte aziende italiane purtroppo non hanno personale specializzato sul mercato africano.”
Esiste poi un approccio di comprensione territoriale della processazione che si traduce non solo in vendita ma in comprensione.
“L’evoluzione dell’alimentazione africana, con la crescita di domanda di grano e derivati, è solo l’ultimo sintomo di un’evoluzione sociale. La classe media africana è in crescita in termini di potere di acquisto e volontà di acquisto. L’accesso a internet ha permesso a molti africani, anche del centro africa dove operano i nostri manager, di ampliare le opzioni di dialogo e di scambi culturali. Un mercato del genere rappresenta un’ottima opportunità di sviluppo di scambi commerciali. Un percorso che molte aziende italiane di meccanica stanno intraprendendo, considerando che la meccanica è una delle voci più rilevanti delll’export italiano in Africa. Tuttavia è necessario anche avere risorse umane formate. I temporary manager, con una formazione commerciale esposta al mercato africano, sono una risorsa utile. Il management delle aziende private italiane e africane deve essere capace di costruire un ponte, utilizzando un percorso che privilegi, oltre alla professionalità, l’empatia e la comprensione delle reciproche differenze e dei punti di forza che accomunano una nazione da sempre pronta a trovare soluzioni, in quanto povera di materie prime come l’Italia, e una nazione da sempre pronta a soluzioni per scarsità di risorse economiche come l’Africa”, spiega ancora Santini.
Con un export in crescita nel 2021 e 2022 le aziende italiane devono essere pronte a cogliere e valorizzare i flussi di capitali e ampliare le loro potenzialità di esportazione.
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