categoria: Res Publica
Legge sui whistleblowers, l’Italia in ritardo e la profonda revisione che serve
Post di Carlo Majer, co-Managing Partner di Littler in Italia –
È previsto per il 31 dicembre 2021 il termine per il recepimento, da parte degli Stati membri, della direttiva 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. La direttiva prevede le norme minime di tutela per i c.d. “whistleblowers”, ossia i soggetti che, nell’ambito di un’organizzazione pubblica o privata, segnalano illeciti.
Per quanto riguarda gli attuali progressi da parte dell’Italia, le notizie non appaiono molto incoraggianti: nonostante ad aprile 2021 ci sia stata l’approvazione della legge di delegazione europea – Legge 53/2021 – in favore del Governo per il recepimento della presente direttiva, non è stato ancora reso pubblico né il testo di una proposta né, ancora, sono stati avviati lavori di consultazione con i soggetti interessati.
A prescindere da tale dato, ciò che si può osservare è che sicuramente lo sforzo di adeguamento richiesto all’Italia comporterà – e in parte ci auguriamo lo abbia già comportato – un intervento di profonda revisione sulla vigente normativa in tema whistleblowing.
Allo stato, l’ordinamento conosce due diversi ambiti di tutela, entrambi modificati dopo l’ultimo intervento legislativo, avvenuto con la L. n. 179/2017.
Se guardiamo al settore pubblico, ad essere tutelato è il dipendente delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici economici o di enti privati sottoposti a controllo pubblico che, attraverso canali di segnalazione interna o esterna, segnali condotte illecite nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione. La medesima disciplina si applica ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi o di quelle che realizzano opere in favore dell’amministrazione. Ad essere garantita è la protezione dell’identità del whistleblower nelle diverse sedi in cui è possibile segnalare gli illeciti, quali il procedimento penale, dinanzi alla Corte dei Conti e quello disciplinare. È prevista, inoltre, la nullità di qualunque misura discriminatoria o ritorsiva eventualmente adottata ed è disposta la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento. Unico limite a tali tutele è l’accertamento, anche con sentenza di primo grado, della responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia, diffamazione o affini ovvero della responsabilità civile nei casi di dolo o colpa grave.
Venendo poi invece al settore privato, la legge del 2017 ha inciso sul corpus normativo precedente integrandolo con il comma 2-bis all’art. 6: un intervento significativo nel legare inscindibilmente la tutela dei whistleblowers “privati” al contesto dei modelli di gestione ed organizzazione. In virtù della citata norma, i modelli de quo sono implementati sino a prevedere specifici canali che consentano esclusivamente alle categorie di soggetti già presi in considerazione dalla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti, di segnalare condotte rilevanti ai sensi del decreto stesso e a tutela degli interessi dell’ente.
Palesi sono i forti limiti che tale disciplina impone sia sotto il profilo della platea di soggetti ai quali è riconosciuta la tutela sia per la tipologia di illeciti oggetto di segnalazione, poiché si tratta solo di violazioni potenzialmente idonee a ledere gli interessi dell’ente ed integranti le condotte già rilevanti ai fini del D.lgs 231/2001.
Anche per il privato, le tutele riconosciute ai segnalanti si sviluppano su doppia dimensione: viene garantita la protezione dell’identità personale del whistleblower e sono espressamente vietati atti di ritorsione o discriminatori, sia diretti sia indiretti per motivi collegati alla segnalazione, prevedendo altresì la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio, nonché del mutamento delle mansioni o di qualunque altra misura illecita adottata dall’ente.
Ma il recepimento della direttiva dovrà necessariamente incidere su alcuni primari aspetti. È, in primo luogo, richiesta la parificazione di trattamento dei whistleblowers nel settore pubblico e in quello privato. Ad essere ampliato, poi, sarà sicuramente il campo di applicazione soggettivo dell’attuale normativa, sino ad includervi soggetti il cui rapporto di lavoro con l’ente di appartenenza sia terminato o non ancora iniziato, nonché soggetti facilitatori, terzi comunque connessi con i soggetti segnalanti o entità giuridiche ad essi altrimenti collegate.
Dovrà essere estesa anche la categoria di condotte che possono essere oggetto di segnalazioni, in modo da recidere il legame di finalizzazione al perseguimento degli interessi dell’ente (pubblico o privato) che attualmente è previsto da entrambe le normative. La direttiva, infatti, estende il proprio campo di applicazione oggettivo alle violazioni che rientrano nell’ambito dei settori nei quali vengono applicati gli atti dell’Unione, non pregiudicando, peraltro, la possibilità per gli Stati membri di estendere anche a settori addizionali.
Ulteriore aspetto che richiederà un adeguamento sarà quello relativo ai canali di segnalazione, che la direttiva richiede essere sia interni sia esterni, senza imporre un rapporto gerarchico fra essi. Se per il settore pubblico non sembrano necessari cambiamenti sotto questo profilo, a dover essere profondamente mutato è il sistema operante nel settore privato. La direttiva sul whistleblowing, infatti, impone che qualunque soggetto giuridico privato debba dotarsi di canali di segnalazione interna, ponendo quale unico limite la dimensione occupazionale dello stesso, che deve essere pari ad almeno 50 dipendenti.
Ciò significa che le realtà aziendali non attualmente dotate di modelli di organizzazione e gestione ai sensi del D.lgs 231/2001, dovranno attivarsi per prevedere tali canali di segnalazione: è proprio questo uno dei punti che sollevano maggiori criticità, non solo per lo sforzo economico richiesto alle aziende che ad oggi non sono dotate dell’impianto di modelli ex D.lgs. 231/2001, ma, anche e soprattutto per l’effettivo peso che tale previsione potrà avere nel tessuto imprenditoriale italiano, che, come noto, è composto in prevalenza da piccole-medie imprese.
Alla luce di quanto sopra e tenuto conto dello scarso interesse che sembra suscitare il fenomeno negli addetti ai lavori e, in generale, nel contesto sociale, auspichiamo una forte accelerazione nel processo di recepimento della direttiva sul whistleblowing, per la corretta gestione di un fenomeno ancora spesso troppo sottovalutato.