categoria: Res Publica
Conviene investire (anche) nell’imprenditorialità dei ricercatori?
La formazione dei ricercatori inizia durante i dottorati, percorsi post-lauream diretti a raggiungere una preparazione specialistica, finalizzata allo svolgimento di attività di ricerca di elevato livello in ambito accademico, ma anche in centri di ricerca autonomi e strutture produttive (na abbiamo parlato precedentemente su Econopoly).
Anche così si concorre alla propensione di un Paese ad adottare modelli di sviluppo economico e culturale centrati sulla conoscenza e sulla competitività (ma anche sulla sostenibilità e sulla solidarietà), perchè i futuri ricercatori -grazie al potenziale input prodotto nella creazione del vantaggio competitivo- potranno assicurare elementi concreti in termini di innovazione.
Per questo, conviene che la loro formazione sia il più efficace possibile, ovvero (come risulta dalla letteratura scientifica sul tema) che prepari (riuscendovi efficacemente) e, in più, trattenga i talenti, anche internazionali. Ad esempio, promuovendo le migliori condizioni organizzative, sia rispetto all’effettiva competenza dei supervisor e del tutoraggio, sia alla promozione del benessere lavorativo (anche contrastando il burnout, identificandone i driver e le barriere). Oppure, riguardo al trasferimento di un solido orientamento all’integrità e al rispetto della parità di genere (sia all’interno dei corsi che tra gli esaminatori).
E’ utile anche incentivare tra i futuri ricercatori la mobilità tra frontiere e tra diverse aree professionali e l’acquisizione di competenze multi-disciplinari.
In più, avvantaggia agevolare il trasferimento tecnologico, ovvero la valutazione, la protezione, la promozione e la commercializzazione di tecnologie e, più in generale, la gestione della proprietà intellettuale sviluppata nell’ambito dei progetti di ricerca e sviluppo condotti dal mondo accademico.
Tutto ciò avviene anche con una formazione all’imprenditorialità dei dottorandi in scienze e tecnologia appunto finalizzata a promuovere la creazione di spin-off accademici.
In proposito, uno studio condotto in Svezia individua 4 punti chiave (strumenti di apprendimento efficaci, ispirazione all’imprenditorialità, interdisciplinarità e costruzione di reti) e propone un metodo didattico che generi tra gli studenti l’attitudine e l’abilità all’intraprendenza (utile anche per scongiurare i rischi di precarietà di cui si è detto nell’incipit).
Gli obiettivi del corso attengono alla trasmissione della capacità di discutere e riflettere sul significato dell’imprenditorialità in vari contesti e situazioni; di formulare, sviluppare e presentare un’idea per una nuova impresa, organizzazione, processo o progetto; di cooperare durante lo sviluppo di idee con colleghi di altre discipline e di altri campi di ricerca; di comprendere infine in che modo un approccio imprenditoriale contribuisce allo sviluppo come ricercatore.
La sperimentazione del programma (una combinazione di coaching e networking), realizzata per 12 corsi accademici, ha prodotto ad oggi alcuni risultati promettenti.
Il percorso formativo, non obbligatorio, ha attratto una coorte eterogenea di partecipanti motivati soprattutto da obiettivi di carriera individuale e ha portato alla creazione di oltre 20 start-up, di cui 3 hanno attratto 15 milioni di euro in venture capital e una è stata acquistata per 90 milioni di euro.
L’elemento che si è dimostrato centrale per il successo della creazione di competenze imprenditoriali è la possibilità per gli studenti di sviluppare una propria idea liberamente identificata (ad esempio una nuova società spin-off, la formulazione di un nuovo progetto di ricerca o di nuovi metodi scientifici per l’analisi dei dati di ricerca). Questo avviene componendo un gruppo di 2 o 3 dottorandi provenienti da diverse discipline, che riceve input da più angolazioni e feedback da imprenditori ingaggiati dall’università (anche sul tema della protezione intellettuale, perché la sperimentazione ha posto in luce anche la necessità di trasmettere conoscenze sul tema della commercializzazione delle ricerche). Il successo della sperimentazione si ravvisa anche nell’affluenza, che ha attratto partecipanti di 11 nazionalità diverse.
Anche altri studi hanno indagato ulteriori modi per preparare i ricercatori all’attività imprenditoriale, rendendone evidente la rilevanza. Ad esempio, è stato isolato un modulo composto da 14 fattori e basato su 4 priorità (prontezza e tempistica della tecnologia; decisioni sul percorso della proprietà intellettuale; impegno con l’ecosistema imprenditoriale e scelte di carriera personali).
Altri contributi si sono interrogati sulla conversione digitale dell’educazione all’imprenditorialità per assicurarne lo svolgimento (a distanza) anche in epoca Covid-19 grazie alla tecnologia e offrire uno spazio favorevole alla sperimentazione e alla formazione di mentalità imprenditoriali.
Gli studi sull’educazione all’imprenditorialità tra i dottorandi, pur recenti, suggeriscono fin qui di adottare approcci pratici e preferire modelli di formazione learning-by-doing, approfondendo i concetti e presentando la figura dell’imprenditore come centrale (e non riferendovisi in meri termini di agente di ottimizzazione all’interno di un modello). Alla luce delle evidenze positive riportate dalla letteratura scientifica, ci si aspetta ora che le sperimentazioni e i modelli vengano presto corroborati e introdotti stabilmente tra gli insegnamenti dei corsi di dottorato, promuovendo così la creazione di ricercatori multi-disciplinari e, anche, un impatto positivo sul dinamismo imprenditoriale delle economie.
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Leggi anche:
La ricetta per i talenti in fuga: casa e 2mila euro a chi resta (dal Sole 24 Ore)
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Riferimenti bibliografici (estratto)
Fayolle A. et al., 2021, Effective models of science, technology and engineering entrepreneurship education: current and future research, TJoTT, 46, 277-287
Klofsten M. et al., 2021, Teaching science and technology PhD students in entrepreneurship-potential learning opportunities and outcomes, TJoTT, 46, 319-334
Sansone G. et al., 2021, Academic spinoffs: the role of entrepreneurship education, IEaMJ, 17, 369-399