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Perché il federalismo senza responsabilità fiscale non funziona
Post di Andrea Pradelli, laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, e PhD student in Economics and Management all’Università di Trento –
Politica valutata: Riforma federale belga (1993) e accordo Lambermont (2001)
Obiettivo: Transizionare con successo ad uno Stato federale.
Impatto: La riforma del 1993, che attribuiva agli enti locali autonomia di spesa ma non potere di riscossione delle imposte (Vertical Fiscal Imbalance), ha avuto un impatto negativo sulla crescita economica. Dopo la riforma del 2001, che attribuiva responsabilità fiscale agli enti locali, questo impatto negativo è svanito; anzi, l’accordo Lambermont sembra avere avuto un effetto positivo sulla crescita economica.
Dagli anni ’80 il federalismo è entrato di prepotenza nel dibattito pubblico italiano, prima con l’ascesa delle Leghe, poi con la discussa riforma del Titolo V del 2001. Nonostante ciò, una vera transizione da stato unitario a stato federale non è mai avvenuta. Nel frattempo, si è iniziato a parlare di federalismo anche a un livello superiore, auspicando un’Europa unita come federazione di stati. Dare un giudizio sul federalismo è complicato: per i sostenitori la concorrenza fra territori genererebbe efficienza e avvicinerebbe la politica ai bisogni dei cittadini, per i detrattori il federalismo favorirebbe la spesa clientelare e romperebbe la solidarietà fra regioni più ricche e regioni più povere.
Per rispondere a questa domanda, Alessio Mitra e Anastasios Chymis (2021) hanno analizzato l’unico Paese OCSE che negli ultimi 60 anni ha effettuato la transizione da Stato unitario a Stato federale: il Belgio. Paese multietnico e trilingue, in cui si parlano francese, olandese (fiammingo) e tedesco, il Belgio ha sempre faticato a trovare un’identità unitaria. Gli sforzi per trasformare il Belgio in un Paese federale iniziarono alla fine degli anni ’80: l’Atto Speciale dell’Agosto 1988 devolveva agli enti locali responsabilità su istruzione, sviluppo e spese per investimenti. La vera svolta, però, arrivò nel 1993, quando il primo ministro Jean-Luc Dehaene cambiò la Costituzione per trasformare il Belgio in uno stato federale. L’articolo uno del nuovo testo recita: “Il Belgio è uno stato federale composto da Comunità e Regioni”. La riforma portò all’elezione diretta dei parlamenti delle Comunità e delle Regioni e a un aumento della loro autonomia di spesa. Secondo il Comparative Political Data Set (Armingeon et al., 2020), il Belgio passò da “no federalism” a “strong federalism”.
La riforma, però, aveva un potenziale difetto: attribuiva ampia autonomia di spesa agli enti locali, ma senza responsabilità fiscale. In poche parole, Comunità e Regioni potevano scegliere come spendere, ma i loro fondi provenivano da trasferimenti dallo Stato centrale. Questa situazione in cui la spesa è decentrata e la tassazione è centralizzata si chiama Vertical Fiscal Imbalance (VFI). Con la riforma del 1993 la percentuale della spesa locale non finanziata da gettito fiscale locale arrivò al 70%. Nel 2001 il governo presieduto da Guy Verhofstadt tentò di correggere la rotta approvando l’Accordo Lambermont, che assegnava alle Regioni la responsabilità per la gestione e l’applicazione di 12 tasse regionali, prima di competenza di Bruxelles.
Nel paper “Federalism, but how? The impact of vertical fiscal imbalance on economic growth. Evidence from Belgium”, Mitra e Chymis hanno studiato l’impatto della riforma del 1993 e dell’Accordo Lambermont sulla crescita del PIL. Per farlo, hanno adottato un metodo relativamente nuovo, il Synthetic Control Method (SCM). Semplificando, questa strategia permette di paragonare l’andamento del PIL pro-capite belga (treated unit) prima e dopo la riforma del 1993 con quello di un gruppo di Paesi simili al Belgio per popolazione, economia e cultura, che non hanno effettuato la transizione federale (synthetic control unit). L’obiettivo è simulare quale sarebbe stato l’andamento del PIL belga senza la riforma del 1993, per condurre un’analisi controfattuale.
Belgio e gruppi di controllo hanno un andamento simile prima del 1993, ma dopo la riforma il gruppo di controllo ha risultati migliori di quelli del Belgio, soprattutto dopo le prime elezioni post-riforma, tenutesi nel 1995. Questo significa che senza la riforma federale il Belgio sarebbe cresciuto più rapidamente. Dopo l’accordo Lambermont, che ha ridotto la Vertical Fiscal Imbalance, l’effetto negativo della riforma è svanito, anzi, l’accordo ha avuto un effetto positivo sulla crescita del PIL, seppur meno consistente di quello della riforma.
Secondo gli autori, questi risultati confermerebbero che a frenare la crescita del PIL non sia stato il federalismo in sé, quanto la Vertical Fiscal Imbalance: l’effetto sparisce una volta che il governo interviene per correggere la VFI. Infatti, se le Regioni sono libere di spendere autonomamente ma non di finanziarsi con le tasse raccolte sul territorio, si crea il cosiddetto “common pool problem”: i benefici di un programma di spesa pubblica sono limitati agli abitanti della regione, ma i costi sono sopportati da tutto il Paese. In questo modo si crea un fortissimo incentivo alla spesa clientelare e improduttiva, spesso per scopi elettorali.
Il controllo dei cittadini sui politici, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori del federalismo, viene meno: i cittadini, infatti, “vedono” solo i benefici delle spese regionali, non i costi. Allo stesso tempo i politici sono consapevoli che, indipendentemente dai risultati economici del loro governo, potranno sempre contare sugli stessi trasferimenti dallo stato centrale. L’unica soluzione per rompere questo circolo vizioso è rendere le regioni capaci di autofinanziarsi. In questo modo, le regioni potranno spendere (al netto di eventuali trasferimenti di solidarietà) solo quanto ricavato dalle tasse regionali raccolte sul territorio. Questo, per gli autori, creerebbe un incentivo a spendere in maniera oculata, perché solo politiche favorevoli alla crescita possono aumentare i proventi della regione.
I risultati di Mitra e Chymis possono essere estesi ad altri Paesi federali, come Svizzera, Germania e Austria, che hanno avuto problemi nel controllo della spesa pubblica locale a causa del VFI e hanno provato a correggerli con riforme simili all’Accordo Lambermont. Allo stesso tempo, il caso del Belgio deve suonare come monito per tutti i Paesi dove una parte dell’opinione pubblica chiede la transizione al federalismo, come Italia e Spagna, ma anche per i sostenitori dell’Europa federale: il federalismo senza responsabilità non funziona. La sfida per i federalisti nazionali ed europei sarà disegnare un sistema in cui le entità subnazionali siano in grado di autofinanziarsi con i proventi delle tasse locali, senza che questo porti a divari regionali troppo ampi. Il federalismo è un’opportunità da non sprecare.
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