categoria: Distruzione creativa
Il pianeta verso la COP26. Come rane bollite o come Michael Jackson?
Post di Paolo Raineri, Chief Digital Officer presso Yumi.network e corsista dell’ Executive MBA Ticinensis –
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
A chi già conosce il principio della rana bollita queste parole avranno ricordato pensieri e ragionamenti orwelliani fatti in giovinezza. Gli scienziati sanno che non c’è nulla di scientifico in quel racconto ma sono semplici parole di Noam Chomsky. Tratte, per la precisione, dal suo libro “Media e potere” [0].
Serve a poco spiegare quelle parole più di quanto non si spieghino da sole. Il punto è che sono dannatamente realistiche quando si pensa al modo in cui abbiamo affrontato il cambiamento climatico nell’ultimo secolo. Il parallelismo tra il principio della rana bollita e la situazione degli esseri umani oggi è quanto mai azzeccato. Stiamo accettando pacificamente il rischio senza “saltare fuori” dalla pentola. Analogia che è stata ampiamente utilizzata in vari contesti. [1] Il dramma è proprio questo: continuare a percepire questo aneddoto come perfettamente calzante con la realtà e constatare da anni l’assenza di azioni concrete per salvarci.
Quando studiavo biologia ero sempre molto affascinato dai report mondiali sull’andamento del Cambiamento Climatico. Ad agosto – precisamente il 9 agosto – ho ricevuto il primo report del “sesto assessment” (valutazione) globale dell’IPCC sui numeri del cambiamento climatico. [2] I numeri erano spaventosi.
Cosa sono l’IPCC e il sesto assessment?
Infografica dei contributi dell’IPCC per i policy makers e per la scienza negli anni. Fonte: The IPCC and the Sixth Assessment cycle
L’IPCC è l’ente intergovernativo globale che si occupa di analizzare e divulgare i dati e le evidenze che riguardano il cambiamento climatico – Intergovernative Panel on Climate Change -. IPCC non svolge ricerche proprie, non è guidato dai governi, non deve proteggere nessun interesse privato. I risultati descritti in queste valutazioni non sono né arbitrari né, tanto meno, derivano da ricerche che l’IPCC svolge in forma privata o in autonomia. Sono invece derivanti dalle ricerche degli scienziati di tutto il mondo. Numeri visti, rivisti, verificati e discussi in un processo lungo e rigoroso che coinvolge tantissimi scienziati e ricercatori. [3] [4] [5] [6] In particolare il sesto ciclo di valutazione dell’IPCC è il più ampio ed ambizioso mai svolto dal 1988 (anno di fondazione dell’IPCC).
“il sesto ciclo di valutazione dell’IPCC è il più ampio ed ambizioso mai svolto dal 1988 (anno di fondazione dell’IPCC) ad oggi.”
L’assessment è stato diviso in 3 gruppi di lavoro:
I. le evidenze scientifiche
II: impatti, adattabilità e vulnerabilità
III. mitigazione
In aggiunta ai lavori dei tre gruppi principali saranno prodotti dei “report speciali” su Global Warming (riscaldamento climatico) sul Cambiamento climatico e la terra (suolo) e sull’Oceano e la Criosfera. Tutti i report saranno rilasciati tra l’agosto 2021 e il settembre 2022, data in cui verrà pubblicata la sintesi finale che unirà tutte le ricerche e le deduzioni raccolte.
Dati alla mano per i politici e i decision makers
Molte sono le evidenze degne di nota. Qui ci limiteremo a quelle che più colpiscono del report rilasciato il 9 agosto [7] soprattutto considerando che ogni parola è stata soppesata da lunghe discussioni validate dalle ricerche e, di conseguenza, non va letta come un mero esercizio di stile di un giornalista, bensì come un “monito” scientifico:
• “A meno di interventi immediati, rapidi, e su larga scala per ridurre le emissioni dei gas serra, limitare il riscaldamento globale a 1,5° C sarà un traguardo irraggiungibile”;
• “Il cambiamento climatico sta già devastando ogni regione della terra, in molti modi. Il cambiamento che notiamo ora peggiorerà ulteriormente con l’aumentare delle temperature del pianeta”;
• “È indiscutibile che siano le attività umane a causare il cambiamento climatico, producendo eventi climatici estremi, incluse ondate di caldo e violente precipitazioni, più frequenti e severe”. Su questo punto vale la pena fare una parentesi per ringraziare Klaus Hasselmann che ricevuto in questi giorni il premio Nobel per la fisica assieme all’italiano Giorgio Parisi [8] e che ha, tra le altre cose, dimostrato che la maggior parte della CO2 emessa nell’atmosfera sia di origine umana;
• “Alcuni dei cambiamenti climatici che abbiamo avviato sono ormai irreversibili. Ma alcuni cambiamenti possono ancora essere rallentati e altri fermati limitando il surriscaldamento terrestre.”
Questo rapporto, in buona sostanza, lascia davvero poco spazio alla speranza che ci sia ancora tempo sufficiente per dilungarsi in discussioni poco concrete. Risulta chiara l’urgenza delle azioni da intraprendere.
La COP26 come punto di non ritorno
Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 si terrà la COP26. Le COP (Conferenze delle Parti) sono i summit annuali delle Nazioni Unite (UN) che da decenni si tengono per parlare di temi globali riunendo attorno ad un unico tavolo praticamente ogni nazione della Terra. Il cambiamento climatico è passato dall’essere un argomento marginale di queste conferenze a divenire, purtroppo, il principale problema da affrontare.
Gli obiettivi dichiarati [9] della conferenza di questo anno, la ventiseiesima, sono infatti divisi in quattro punti:
1. Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C;
2. Adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali;
3. Mobilitare i finanziamenti (per raggiungere i primi due obiettivi ndr.);
4. Collaborare (accettando il fatto che un singolo paese non possa in solitudine salvare il Pianeta ndr.).
Pur essendo evidente che, anno dopo anno, i buoni propositi sono stati troppo spesso disattesi, questa edizione della COP ha tutte le carte per costituire un reale cambio di passo. I recenti risvolti (negativi) della geopolitica mondiale sembrerebbero essere di impedimento ad una azione comune dei governi verso attività tese a risolvere questa grave situazione.
Alla geopolitica si aggiunge il ritardo che hanno i paesi in via di sviluppo nella transizione alle energie rinnovabili e gli attuali legami con fonti di energia fossile. Si pensi ad esempio a quasi tutti i paesi del continente Africano in cui i passi avanti da fare dal punto di vista delle energie rinnovabili sono senza dubbio enormi, nonostante ci siano forti evidenze che molti di essi stiano spingendo per una transizione rapida verso energie pulite [10].
Altre realtà gigantesche, come la Cina e l’India, sono ancora troppo dipendenti dal carbone per la produzione di energia (56,8% dell’energia proviene dal carbone nel 2020 in Cina; 56,9% nel 2018 in India) [11] [12]. La Cina ha addirittura annunciato, meno di un mese prima della COP26, di avere chiesto (meglio, ordinato) alle proprie imprese di aumentare la produzione di carbone, per far fronte alla gravissima carenza di energia nel paese. All’aumento della produzione si assocerà ovviamente un aumento del numero di centrali [13].
Anche in Europa, del resto, abbiamo paesi che si trovano in situazioni molto simili, come la Polonia, con il 47% dell’energia prodotta dal carbone nel 2020, che, sommata con la lignite cuba il 71,9% dell’energia prodotta nel paese [14]. Risulta in effetti incredibile come l’industria del carbone sia in realtà in aumento nonostante il dibattito sul clima stia prendendo spazi centrali nei tavoli di discussione di tutto il mondo. Come scrive bene Kathrin Witsch sull’Handelsblatt [15].
Nonostante questo, in realtà, le ultime dichiarazioni dei più influenti decisori politici (compreso l’attuale Presidente del Consiglio Italiano Mario Draghi) sembrano foriere di buone speranze perché questa COP26 possa essere un punto di svolta concreto. Con la consapevolezza che la transizione non potrà avere la stessa velocità per tutti. Durante le conferenze Pre-Cop tenutesi a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre si sono captate varie dichiarazioni di intenti che fanno ben sperare. Che sia la volta buona? [16]
Alternative e speranze
Non ci sono alternative ad una collaborazione collettiva tra la maggior parte dei paesi del mondo. Purtroppo (o per fortuna) le regole dell’ecologia e della biologia non hanno un colore politico e non sono condizionate dalle convinzioni di questo o di quel governo. Prima riusciremo a capire che il problema del Cambiamento Climatico è una questione che non risparmia nessun essere vivente – dunque nessun partito – prima potremo abbandonare le chiacchiere e le dichiarazioni facendo spazio ad attività concrete per salvare le nostre sorti e quelle delle generazioni a venire.
Sembrano averlo capito meglio di altri i giovani che da anni si impegnano a ricordarci l’importanza di questa tematica. Nonostante questi ragazzi, capitanati (per così dire) dalla svedese Greta Thunberg, siano giovani e immaturi (anagraficamente parlando) dimostrano di avere a cuore le tempistiche di risoluzione del problema molto più dei cosiddetti adulti che, invece, persistono nel guardare il proverbiale “dito”, magari approfittandone per derubricare il tema, anziché puntare lo sguardo verso la “luna” (nera) che incombe. Il cambio di mentalità e la responsabilità dell’inerzia non possono però essere affidate solo ai “grandi decisori” ma va chiarita la responsabilità personale di ognuno di noi in questa storia.
L’indimenticabile Michael Jackson, nel brano “Man in the mirror”, scrisse un messaggio che (parole sue) non potrebbe essere più chiaro: “If you want to make the world a better place, take a look at yourself and then make the change”. Se vuoi rendere il mondo un posto migliore, guarda te stesso e inizia a cambiare [17].
Ai lettori, dunque, il diritto e la responsabilità di scegliere se essere rana bollita o uomo nello specchio.
Post scriptum: per i più curiosi, o per chi avesse ancora dubbi, rendiamo disponibile un utile link in cui l’IPCC ha riportato le mappe con tutte le previsioni scientifiche di ogni effetto che il cambiamento climatico avrà sulla Terra -> GUARDA LE MAPPE
Twitter @PaoloRaineri
NOTE
[0] Noam Chomsky. Media e Potere. Bepress, 2014
[1] Jen Christensen. Humans are frogs in hot water of climate change, research says. CNN, 2019.
[2] IPCC – Sixth Assessment Report, 2021
[3] How does the IPCC select its authors
[4] What literature does the IPCC assess?
[5] How does the IPCC review process work?
[6] How does the IPCC approve reports?
[7] AR6 Climate Change 2021: The Physical Science Basis
[9] UN Climate Change Conference 2021, UK
[12] Energy policy of India. Wikipedia, 2021.
[13] Cina e carbone: contrordine, compagni! ISPI, 8 ottobre 2021.
[14] Poland Energy Sector. Trade.gov, 2021.
[17] Michael Jackson. Man in the mirror. Musixmatch.com, 2021