Educazione finanziaria? Senza cultura economica non attecchirà mai

scritto da il 20 Ottobre 2021

L’autore di questo post è Marco Gallone, managing director di Kuspide Investments SCF

Non ci siamo! In fatto di educazione finanziaria non ci siamo per niente. E non tanto perché il nostro Paese si colloca ancora al 63esimo posto nel mondo, addirittura dopo lo Zimbabwe. È quanto risulta da una recente indagine effettuata sul tema da Standard & Poor’s e Banca Mondiale!

Finché non capiremo che dietro la finanza c’è l’economia e che l’economia è alla base della produzione di beni e servizi, ossia di tutto ciò che occorre per soddisfare i nostri bisogni e i nostri desideri, resteremo – finanziariamente ed economicamente parlando – degli emeriti analfabeti. Anche se continueremo a leggere la stampa specializzata, ad informarci su internet, a seguire i mercati finanziari, stenteremo a capire cause ed effetti di tanti fenomeni: se l’inflazione è un bene o un male, perché le borse e i Pil sembrano spesso procedere in direzioni opposte, perché uno stesso dato macroeconomico può essere letto ora positivamente ora negativamente (ad es., l’occupazione che sale: ieri faceva salire la borsa, perché indice di ripartenza dell’economia, oggi la fa scendere, perché foriero di surriscaldamento dei prezzi e quindi di aumento dei tassi di interesse).

Ebbene, se vogliamo capire qualcosa di più di questi e tanti altri fenomeni ma, più in generale, se vogliamo comprendere e avere consapevolezza del mondo in cui viviamo, dobbiamo convincerci che – a partire dalla scuola  la nostra cultura di base deve essere fatta non solo di letteratura, matematica, chimica, storia e geografia ma anche di economia. Perché, lungi dal ridurre alla sola economia la complessità e la multiformità del reale, è indubbio che l’aspetto economico permea la vita di ognuno di noi, nelle scelte di ogni giorno, sia in quanto individui sia in quanto membri di una collettività.

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A questi fini, occorre anzitutto sdoganare l’economia, che è una cosa diversa dalla finanza. Non sono sinonimi. Ma non per questo la finanza è una cosa negativa: essa è l‘infrastruttura dell’economia reale: fornisce alle aziende i capitali necessari per produrre offrendo, nel contempo, ai risparmiatori una pluralità di forme di impiego dei loro risparmi. Può, certamente, degenerare nella speculazione fine a sé stessa, nella finanza che genera solo finanza (carta) e non attività reali, ma siamo nel campo della patologia.

E occorre sdoganare anche il concetto di azienda, relegato – insieme all’orrenda forma verbale di “aziendalizzare” – alla mera ricerca del profitto e del tornaconto personale dell’imprenditore, incompatibili – si dice  con l’interesse generale.

Ma, come la finanza non è solo speculazione, così l’azienda non è solo profitto; profitto che a sua volta non è la peste bubbonica ma la remunerazione di un fattore produttivo come un altro (il capitale).

L’azienda è essenzialmente un modo di produrre. Essa, per farlo in maniera sistematica e organizzata (e non estemporanea, come potrebbe fare uno di noi che volesse da solo fabbricarsi un tavolo), deve allestire una struttura produttiva fatta di uomini e mezzi, realizzare investimenti, reperire risorse finanziarie. E deve fare tutto questo operando nel rispetto del c.d. “principio di economicità” che, nella sostanza, significa garantire la sopravvivenza nel tempo dell’azienda, verificando costantemente l’adeguatezza delle risorse impiegate in rapporto ai risultati conseguiti.

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Che poi – è bene ripeterlo  vi siano aziende dominate, per non dire ossessionate, dalla ricerca del profitto e del tornaconto personale dei loro danti causa, nulla toglie all’insopprimibile ruolo che le aziende svolgono nella nostra società: essere a fondamento di ogni fenomeno di produzione  svolta su basi organizzate  di beni e servizi, pubblici e privati. Sì, anche di beni e servizi pubblici, certamente.

Una volta assodato infatti che il profitto o, meglio, l’extra-profitto (la parte cioè che eccede la “giusta” remunerazione del capitale proprio) non è consustanziale all’azienda ma pertiene piuttosto all’imprenditore che vi ha dato vita, perché mai una scuola, un ospedale, un ministero o finanche l’intera macchina statale, non possono essere considerati – sotto l’aspetto economico, in quanto produttori di un particolare tipo di beni e servizi – delle vere e proprie aziende e, quindi, non dovrebbero essere organizzati e gestiti anch’essi secondo “economicità”?

Certo che lo devono essere perché sia ben chiara una cosa: nemmeno i beni e i servizi pubblici sono gratuiti, come a volte si dice argomentando che dovrebbero essere erogati secondo imprecisate logiche extra-aziendali.

Tutto quello che si produce ha un costo e questo costo, in un modo o nell’altro, deve essere coperto, da qui non si scappa. Qualsiasi azienda, pubblica o privata che sia, deve (dovrebbe) rispettare un’altra fondamentale regola, secondo la quale i costi devono trovare competa copertura, non importa se dai destinatari diretti della produzione (sotto forma di corrispettivi o di tasse e balzelli ad hoc), da altri soggetti che se ne vogliono per qualsivoglia motivo far carico o, indirettamente dalla collettività, attraverso la fiscalità generale.

Quando si dice che una scuola, un ospedale o, per fare un altro esempio, il trasporto pubblico devono funzionare come un’azienda, un’affermazione del genere va interpretata nel senso che, se quelle strutture vogliono vivere indefinitamente e non sperperare risorse pubbliche, occorre quanto meno che rispettino la citata regola dell’equilibrio di gestione, nulla di più. Se poi lo stato o il comune, volesse per ipotesi far pagare il biglietto del treno o dell’autobus meno del suo costo, è liberissimo di farlo, nella consapevolezza tuttavia che “qualcun altro” dovrà coprire il differenziale.

Mi rendo conto che parlare di questi argomenti è tabù, in non pochi contesti; sono molti i luoghi comuni da sfatare e c’è anche tanta demagogia sull’argomento, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. E, secondo me, bisogna cominciare proprio dai concetti più elementari, quelli che sono alla base del funzionamento di qualsiasi attività economica, grande o piccola, pubblica o privata che sia: cos’è un costo e un ricavo e quali relazioni li legano nel tempo e nello spazio, cos’è un fattore produttivo e come dev’essere remunerato, cos’è un investimento, come si misura e come varia nel tempo il fabbisogno finanziario, qual è il ruolo del profitto, ecc..

Punteggio del comportamento finanziario calcolato sulla base di una serie di dichiarazioni relative al budget, agli acquisti, al risparmio, all'attento controllo della spesa e dell'indebitamento. Il punteggio massimo possibile è 9. I dati della Francia sono compresi nella media. Fonte: OECD/INFE 2020 International Survey of Adult Financial Literacy

Comportamento finanziario. Punteggio calcolato sulla base di una serie di dichiarazioni relative al budget, agli acquisti, al risparmio, all’attento controllo della spesa e dell’indebitamento. Il punteggio massimo possibile è 9. I dati della Francia sono compresi nella media. Fonte: OECD/INFE 2020 International Survey of Adult Financial Literacy

Se si ignora tutto questo, se si ignorano le modalità attraverso le quali deve svolgersi l’organizzazione della produzione, come si fa ad afferrare i fenomeni più complessi che muovono e, a volte, sballottano, le economie di interi stati e continenti, le correlazioni (positive e negative) tra le molteplici variabili macroeconomiche (produzione, consumi, occupazione, valute, tassi d’interesse, ecc.) o gli effetti delle politiche monetarie e fiscali?

Se non c’è cultura economica, se non c’è nemmeno l’ABC della cultura economica, resteremo indietro, non solo nella comprensione di un mondo sempre più complesso e interconnesso, nel quale mai come nell’epoca attuale l’economia e la finanza hanno avuto un ruolo così preponderante; resteremo indietro anche, più semplicemente, in materia di educazione finanziaria. Non ci sarà verso che essa attecchirà, scivolerà via come il pennello sul muro con una vernice troppo diluita, senza il collante” dell’economia, che lega i bisogni umani al loro più idoneo soddisfacimento. E le poche o molte nozioni finanziarie che raccoglieremo qua e là, in ordine sparso, non ci aiuteranno nemmeno per capire bene dove mettere i nostri sudati, benedetti risparmi!

E allora ognuno di noi, chi nel proprio piccolo chi nelle “alte sfere del potere”, si dia da fare affinché l’economia – che in sé comprende anche la finanza  non sia più considerata una materia di serie B ma entri a far parte del bagaglio culturale che ogni persona che si definisce “istruita” dovrebbe avere.

Lo dobbiamo al nostro Paese che non solo ha dato vita alla partita doppia e alla ragioneria ma può vantare una scuola di economisti che tutto il mondo ci invidia: da Maffeo Pantaleoni a Francesco Ferrara, da Luigi Einaudi a Federico Caffè, da Gino Zappa a Pietro Onida, da Luigi Guatri a Pellegrino Capaldo.

Le loro opere sono un tesoro letterario, oltre che tecnico. Leggerle e rileggerle è un piacere anche estetico.

Twitter @MarcoGallone_

 

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Video: Young Finance. Una serie video originale del Sole 24 Ore per avvicinare i giovani al mondo del risparmio e dell’investimento