Catasto, cedolare secca al 26% e codice identificativo: che batosta!

scritto da il 15 Ottobre 2021

Post di Sergio Lombardi, dottore commercialista specializzato nella fiscalità delle attività turistiche e delle travel experience, fondatore di Taxbnb.it e di Safexperience 

Ci voleva proprio una bella batosta per il settore immobiliare, dopo la pandemia e una crisi dei rapporti di locazione così forte che per preservare solo parte dei contratti sono stati impiegati miliardi di euro in crediti d’imposta. Ecco i dettagli.

La riforma fiscale arriva in ritardo (era stata annunciata per luglio). In un giorno di autunno, due uomini in abito scuro parlano in modo apparentemente rassicurante dallo schermo: sono Mario Draghi, presidente del Consiglio e Daniele Franco, ministro dell’Economia. Con grandi sorrisi, cercano di convincere tutti che è necessaria la modifica del sistema fiscale (“è vecchio, ha quasi cinquant’anni”, dichiara Franco). La conferenza stampa è più breve del solito e dura solo un quarto d’ora, ma ormai l’inarrestabile macchina riformatrice è partita. In questo articolo esamineremo alcune delle novità fiscali proposte dal Governo, cercando di comprendere dagli scarni testi attualmente disponibili gli effettivi impatti dei cambiamenti sulle tasche degli italiani.

IL CATASTO NON SI TOCCA?
Alla fine ci sono arrivati. Se ne parlava da almeno sette anni: già nel 2014 era stata approvata una legge analoga, che delegava il Governo ad interventi sul sistema di tassazione, compresa una revisione del catasto. Per vari motivi, quanto pianificato con la delega 2014 non venne realizzato.

Fra i vari interventi previsti dalla nuova riforma, quello che sta creando contrapposizione nella maggioranza di governo e reazioni fra le associazioni della proprietà immobiliare è proprio la revisione del catasto, che sicuramente porterà ad un incremento di tasse sia complessivo, che individuale, alla faccia delle recenti rassicurazioni: “Questo governo non tassa e non tocca le case degli Italiani” e “tutti pagheranno la stessa cosa di prima, nessuno pagherà di più e nessuno pagherà di meno”.

La modifica del sistema degli estimi catastali è inoltre uno strappo istituzionale del Governo verso il Parlamento e la sua Indagine conoscitiva sull’Irpef e altri aspetti del sistema tributario  , pubblicata dopo sei mesi di inchiesta e 61 audizioni dalle Commissioni Finanze congiunte di Camera e Senato il 30 giugno, per essere la base della riforma fiscale.

Il documento parlamentare non prevedeva modifiche al catasto e alla cedolare secca, ma “l’Europa ce lo chiede”: fra le righe di una Raccomandazione del 2019 del Consiglio dell’Unione Europea, riportata nel sacro testo del PNRR, si indica la necessità di “una riforma dei valori catastali non aggiornati” (v. immagine, tratta dal PNRR).

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Può una Raccomandazione, che nell’ordinamento giuridico europeo è priva di efficacia vincolante verso gli Stati membri cui è diretta, prevalere sulla volontà del Parlamento? In Italia oggi succede anche questo.

EFFETTO CHOC
Si considera che il solo annuncio della revisione del catasto porterà ad un deprezzamento delle proprietà e una propensione a svenderle, dovuti al terrore di maggiori imposte patrimoniali sulla casa.

Le preoccupazioni dei proprietari di immobili sono legittime: legate alle rendite catastali, oltre all’Imu, ci sono le imposte di registro, le tasse sulle successioni e donazioni, l’Iva sugli immobili, la Tari e l’Isee. E l’Isee oggi è sempre più importante, è già penalizzante per chi possiede immobili.

L’ACCANIMENTO DEL FISCO SULLA PROPRIETÀ IMMOBILIARE
Già oggi in Italia, prima della mazzata che ci aspetta fra cinque anni, la tassazione è sbilanciata a sfavore degli immobili, rispetto ad un equivalente capitale finanziario.

Considerando un immobile con valore catastale di 200mila euro, l’Imu dovuta è di 2.120 euro all’anno*.

La stessa somma di 200mila euro, investita in titoli finanziari, è soggetta solo ad una imposta di bollo di 400 euro (lo 0,2% del capitale).

Se infine gli stessi 200mila euro sono depositati in un conto corrente bancario, l’imposta di bollo è di soli 34,20 euro (in misura fissa sopra i 5mila euro di giacenza media trimestrale).

CEDOLARE GRASSA?
Mentre tutti guardano al catasto, il cui adeguamento si completerà solo nel 2026, è passata in secondo piano la batosta più probabile presente nella riforma fiscale Draghi-Franco. Secondo il testo del ddl di legge delega diffuso, l’attuale aliquota del 21% della cedolare secca verrà adeguata a quella applicata ai redditi di capitale, ossia il 26%.

Al momento non si conosce se la volontà di aumentare l’aliquota al 26% riguardi anche la cedolare secca al 10% relativa ai contratti a canone concordato, visto che la legge delega indica in modo molto ampio di voler prevedere “l’applicazione della medesima aliquota proporzionale di tassazione ai redditi derivanti dall’impiego del capitale (il 26%), anche nel mercato immobiliare” (articolo 3 comma a1).

Un incremento di cinque punti della cedolare secca corrisponde alla crescita di un quarto del carico fiscale di proprietari e sublocatori, o in parole povere, a 1.200 euro di tasse in più all’anno su un affitto da 2.000 euro al mese. A pensarci bene, se toccano la cedolare al 21% dovranno ritoccare anche quella al 10%, altrimenti miracolosamente tutti i contratti 4+4 diventeranno 3+2.

La cedolare al 26%, oltre a deprimere ancora di più il mercato immobiliare in generale, renderà quasi senza senso l’attività di locazione breve che, fra commissioni degli intermediari, costi, tassazione e tariffe basse post pandemia, sta già stentando.

TROPPI LETTI VUOTI
Il settore dell’ospitalità turistica, dopo una serie di anni record, si era gonfiato a dismisura, in proporzione ai crescenti flussi turistici, fino all’inizio del 2020.

Si pensi che la capacità ricettiva ufficiale di Roma “fotografata” a inizio marzo 2020 era di 200mila posti letto, di cui la metà in hotel e l’altra metà in appartamenti. Mentre per gli alberghi il dato è tragico (almeno un 30% delle strutture alberghiere capitoline non riaprirà più), anche nel settore extralberghiero sono in corso profondi mutamenti, con la riconversione in locazioni transitorie e mid term, molte cessioni di attività e un eccesso cronico di offerta (non è facile riempire 100mila posti letto in una notte).

Ci mancava solo la cedolare secca al 26%….

LA SEMPLIFICAZIONE NON ABITA QUI
Ma non è finita per il settore turistico immobiliare: pochi giorni fa, il Ministro del Turismo Garavaglia ha annunciato di aver finalmente approvato un decreto attuativo per il codice identificativo, che “era fermo da due anni e mezzo”.

Il codice identificativo alfanumerico approvato con il decreto prevede una serie di parametri idonei ad individuare la struttura ricettiva, come la tipologia degli alloggi, l’ubicazione, la capacità ricettiva, le autorizzazioni, il soggetto che esercita l’attività, anche in forma di locazione breve, il codice identificativo regionale, o laddove questo non sia stato adottato, un codice alfanumerico generato dalla banca dati stessa.

Già da questa descrizione, si comprende quanto il potere di questo ennesimo codice sia sopravvalutato. Se in una regione non è previsto il codice identificativo regionale e quindi una locazione turistica non è censita, come farà la banca dati a conoscere quell’immobile ignoto e così ad autogenerare il codice alfanumerico? Sarà onnipotente come il Midichlorian di Guerre Stellari? O riprodurrà codici per gemmazione?

La situazione dei codici identificativi in Italia è già ridondante, con quasi tutte le regioni ad applicare un codice alle strutture ricettive e/o alle locazioni turistiche, utilizzando nomi molteplici (vedi la mappa aggiornata compilata da Taxbnb). Anche in questo, noi italiani siamo glocal, oppure medievali, se preferite: per i codici si va dal CIR (acronimo adottato in otto regioni) al CITRA ligure, dal CUSR campano al CIS pugliese, passando per il CIPAT trentino e lo IUN sardo. In alcuni territori (Roma, Napoli ed altri comuni), ai codici identificativi regionali si aggiunge anche il codice identificativo comunale. Abbiamo così il CIU, il CIC e tante altre sigle, che turbano il sonno degli host.

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Purtroppo finora questi codici, oltre a creare complicazione burocratica, poco hanno fatto contro l’abusivismo e l’evasione fiscale e in favore della sicurezza.

Sul tema del codice identificativo, colpisce la cronaca parziale e incompleta nella maggior parte degli articoli e news che circolano sull’argomento, tutti incentrati sulle locazioni brevi, i cui titolari sono ormai definiti stabilmente “furbetti” e sui quali grava una presunzione di abusivismo.

In realtà, la nuova banca dati riguarda sia le locazioni turistiche che le strutture ricettive. Se la scarsa conoscenza di un testo nuovo come quello del decreto ministeriale può essere giustificata, è grave non conoscere la disciplina relativa alle attività turistiche abusive, prima di parlarne in un canale di informazione.

Il concetto di locazione turistica abusiva giuridicamente non esiste, mentre esiste in tutte le discipline regionali la fattispecie di struttura ricettiva abusiva, con il relativo sistema sanzionatorio. Nella realtà, se un alloggio ospita turisti ma non ha alcuna autorizzazione, viene definito struttura ricettiva abusiva e punito in varie regioni con 10mila euro di sanzione, oltre all’immediata chiusura dell’attività.

Per le attività sans papier, tutti i verbali emessi attualmente sono quindi per struttura ricettiva abusiva, perché le sanzioni sono così codificate a causa della competenza regionale, ma anche per comune prassi accertativa.

L’altro fattore che fa scattare sanzioni e chiusure è lo standard di livello “alberghiero”, non consentito ai “piccoli”: servizi turistici di fascia alta offerti di fatto da molte attività non imprenditoriali, quasi sempre senza autorizzazione e senza accordi scritti con i “fornitori di esperienze”, guide turistiche, cuochi, artisti e artigiani, le cui creazioni sono richiestissime dai turisti.

FORMA E SOSTANZA
L’introduzione del codice identificativo ha proprio la finalità di dare l’etichetta di “attività regolare”, ma si resta su un piano formale, che da solo, come vedremo, non può dare risultati.

Poniamo il caso di una struttura ricettiva o locazione turistica, impeccabile per quanto riguarda i molteplici adempimenti a suo carico. L’attività miracolosamente rispetta la disciplina regionale e il regolamento edilizio comunale, e si adegua con il codice identificativo nazionale, ma dimentica una vecchia inserzione su un portale secondario, lasciandola senza codice identificativo. A quel punto, ha senso applicare le nuove sanzioni da 500 a 5mila euro? Essendo la violazione formale e non sostanziale (l’attività rispetta tutte le regole e adotta il codice identificativo nelle inserzioni attive e nelle sue comunicazioni), può essere l’attività considerata abusiva?

Come al solito, in Italia si passa dal Far West alla caccia alle streghe, dalla totale assenza di regole all’hyper-regulation. Ed ha senso la richiesta di moratoria di Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, che così commenta il codice identificativo: “Si tratta di un ennesimo obbligo che si aggiunge ai tanti introdotti negli ultimi anni…. Invochiamo una tregua normativa sul tema”.

Viceversa, il codice identificativo può aver effetto per le attività completamente sommerse, in cui l’assenza di codice fa scoprire l’esistenza della struttura irregolare. Ma come scoprire queste situazioni?

I 4 PILASTRI PER LA LOTTA AL SOMMERSO
Il nuovo codice alfanumerico, e tutti i codici regionali già esistenti, possono essere considerati come la targa di un’auto. Ma in assenza di vigili, autovelox, tutor e telecamere delle zone a traffico limitato, come si fa a rilevare una violazione?

L’operazione codice va completata con le altre attività di controllo e verifica, per renderla un efficace strumento di legalità. Solo questa azione combinata potrà “depurare” il settore dalle numerosissime attività in nero che, oltre ad operare senza autorizzazione e ad alimentare l’evasione fiscale, sono diventati un problema di sicurezza nazionale, con migliaia di ospiti non identificati dalla Questura, perché non comunicati dalle strutture abusive.

Gli elementi necessari al contrasto delle attività sommerse nel turismo sono quattro:

・Codice Identificativo

・ Portali collaborativi

・ Incrocio dei dati fiscali

・ Controlli (porta a porta e informatici)

IL “MODELLO GRECO”
La prima mossa (solo apparentemente semplice) per mettere in scacco gli abusivi richiede la collaborazione dei portali delle OTA (online travel agency) e dei property manager che, in assenza del codice identificativo nazionale o regionale, dovranno impedire la pubblicazione di nuovi annunci di ospitalità turistica e rimuovere gli attuali annunci.

Ciò avviene già in Danimarca, in Spagna, nel Regno Unito, e in Grecia, dove è stato recentemente siglato un accordo che comprende tutte le maggiori OTA.

Finora in Italia la complessità informatica, la logica commerciale e la contrapposizione giudiziaria hanno impedito ai portali di essere realmente collaborativi con le autorità turistiche e fiscali italiane.

Attualmente, negli annunci della versione italiana dei portali sono stati previsti appositi spazi per inserire il codice, ma l’assenza o l’incongruità (codice falso) non impedisce il funzionamento dell’annuncio, che continua a portare ospiti e quindi denaro.

Già solo rimuovendo gli annunci senza i codici in regola e bloccandone i pagamenti, si eliminerebbero buona parte delle attività irregolari. Ma le OTA sono pronte a questa mossa? La situazione non è così semplice: mentre più volte hanno dichiarato la loro volontà di collaborare per la legalità, purtroppo ancora oggi, dopo quattro anni dall’introduzione dei primi codici regionali, i portali di prenotazioni consentono a chiunque di pubblicare il suo annuncio sui portali internet ed ospitare.

A complicare il quadro, è anche l’importante contenzioso dei due maggiori portali con l’Agenzia delle Entrate. Quello di Airbnb riguarda l’obbligo di ritenuta fiscale sui redditi da locazione breve pagati agli host in Italia ed è al momento al giudizio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il contenzioso di Booking è dovuto all’applicazione dell’Iva alle commissioni sui propri servizi forniti in Italia ed è ancora in fase di accertamento.

Potrebbe essere un incentivo a collaborare il fatto che anche i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare e i soggetti che gestiscono portali telematici sono obbligati al codice e ugualmente sanzionati con multe da 500 a 5mila euro ad annuncio?

INCROCIO DEI DATI FISCALI
Ma mi possono beccare?” “E quanto tempo hanno?” Sono le principali domande di chi “dimentica” di pagare le tasse, anche nel settore turistico.

Attualmente la prescrizione fiscale, per chi omette la dichiarazione, arriva fino a sette anni, e le sanzioni per la cedolare secca arrivano fino al 480%, ovvero cinque volte le imposte evase. Finora questo non è bastato a scoraggiare l’evasione, ma di recente sono stati rafforzati gli incroci dei dati fiscali nel settore turistico.

Dal 2020 i dati forniti ad Alloggiati Web vengono regolarmente trasmessi ai comuni e all’Agenzia delle Entrate, e da questa confrontati con gli incassi bancari, con sicuri accertamenti in arrivo. Dal 2023 tutti i portali di prenotazioni saranno obbligati a fornire tutte le informazioni su pagamenti, beneficiari e immobili direttamente al Fisco.

I controlli, infine, saranno fondamentali per l’efficacia del codice e andranno effettuati sia porta a porta che in modo informatico (esistono software in dotazione alle Forze dell’ordine e ai Comuni, che da un annuncio riescono a risalire alla licenza o all’abusivo, già prima di considerare i codici identificativi).

FINALE
Questo è il terzo articolo della mia trilogia sulla riforma fiscale pubblicato da Econopoly.
Anche le precedenti puntate, L’addio a regime forfettario e cedolare secca: storia di un tradimento fiscale e No-Tax: meno tasse per tutti? Ecco la riforma fiscale, contengono oscuri presagi, a volte disattesi, e il tentativo di comprendere che forma avrà la riforma più misteriosa e mutevole mai vista in Italia, che si trasforma quotidianamente nelle cronache e nei testi.

Fisco, abbi pietà di noi!

Twitter @Taxbnb

 

NOTA

* fabbricato diverso dall’abitazione principale ed Imu con aliquota massima del 10,60 per mille