categoria: Draghi e gnomi
Così le banche centrali fanno prove generali di blockchain
Un piccolo grande successo, si potrebbe dire osservando il primo esperimento di trasferimento di fondi trans-frontaliero di una moneta digitale di banca centrale fra diversi istituti presentato dalla Bis di Basilea. Forse è esagerato scomodare la storia, ma solo perché il tema è esotico e quindi necessariamente poco popolare. E tuttavia il fatto è rilevante: per la prima volta si è verificato un passaggio di monete digitali di banche centrali (Central bank digital currency, CBDC) – utilizzando una blockchain (Distributed Ledger Technology, DLT), in pieno spirito Bitcoin.
Il test ha permesso a “tre banche centrali partecipanti di controllare il flusso della loro CBDC e per monitorare le transazioni e i saldi della loro CBDC emessa”, spiega la Bis. E il buon esito dell’esperimento ha dato il via a una nuova fase – la terza di un progetto iniziato anni fa – che si propone di arrivare a un network pronto all’uso da mettere a disposizione delle banche centrali in open source”.
La prima fase di questo progetto aveva coinvolto la Hong Kong Monetary Authority (HKMA) e la Bank of Thailand (BOT) – Project Inthanon-LionRock – e si era conclusa a gennaio del 2020. Sono stati necessari altri diciotto mesi per arrivare alla fase due, che coinvolge altri soggetti, mentre non è ancora chiaro quanto tempo servirà per completare la fase 3.
Rimane il punto: trasferire fondi fra paesi, utilizzando CBDC su una DLT, diventerà un’opportunità troppo seducente per non essere presa in considerazione. Non a caso Benoît Cœuré, capo del BIS Innovation Hub, parla del prototipo come “parte dei nostri sforzi per progettare la tecnologia CBDC”.
A rendere interessante l’operazione, la semplice ragione che il trasferimento si è svolto in una manciata di secondi a fronte dei giorni normalmente necessari per un pagamento trans-frontaliero con i sistemi attuali. E per giunta a costi dimezzati.
C’è anche un altro motivo: l’esperimento è frutto di una collaborazione istituzionale fra il BIS innovation hub di Hong Kong, l’autorità monetaria di Hong Kong, la Banca centrale Thailandese, il Digital currency Institute della People’s Bank of China e della Banca centrale degli Emirati Arabi Uniti. Una collaborazione sicuramente originale, per il significato anche politico che gli si può attribuire.
Le motivazioni tecniche per questa evoluzione sono ovviamente numerose. Il prototipo di multiple Central Bank Digital Currencies (mCBDCs) “ha dimostrato il potenziale dell’utilizzo delle valute digitali e della tecnologia DLT per pagamenti e regolamenti transfrontalieri in tempo reale, più economici e più sicuri”. La piattaforma, peraltro, funziona sette giorni su sette 24 ore al giorno. Per dirla con le parole di Bénédicte Nolens, responsabile del BIS Innovation Hub, di Hong Kong, “pagamenti all’ingrosso transfrontalieri più rapidi ed economici, anche verso giurisdizioni che non beneficiano di un vivace sistema bancario di corrispondenza, sarebbero positivi per il commercio e lo sviluppo economico”.
Vale la pena ricordare che questa di “internazionalizzazione” di una CBDC non nasce per un colpo di genio di alcune banche centrali – o almeno non solo – ma fa parte di un preciso mandato del G20 per creare “pagamenti transfrontalieri più economici, più rapidi e più resilienti”. Quindi non è un evento spot, ma la conseguenza di una precisa strategia che parte da lontano e che condurrà a un sostanziale cambiamento dell’ecosistema finanziario che ruota attorno ai pagamenti, internazionali ma non solo.
L’indicazione del G20, infatti, si inserisce nel più ampio scenario che vede sempre più banche centrali impegnate nello sviluppo di monete digitali, un oggetto che solo di recente ha iniziato a far breccia presso l’opinione pubblica grazie al notevole lavoro di divulgazione e di analisi fatto proprio dalle banche centrali.
Le banche centrali non solo hanno contribuito a spiegare e studiare il fenomeno, ma hanno espresso un numero crescente di posizioni favorevoli all’adozione di questa tecnologia.
Così siamo arrivati ad oggi. Tutte le principali giurisdizioni stanno lavorando alla costruzioni di una moneta digitale di banca centrale. Alcuni paesi più piccoli, come la Giamaica, hanno annunciato anche di recente di essere pronti al varo. Mentre fra i paesi grandi, la Cina – che partecipa all’esperimento di pagamento transfrontaliero – già da tempo sperimenta un e-yuan in alcuni contesti cittadini e si prepara anche a un utilizzo mirato di moneta digitale in occasione delle prossime olimpiadi invernali del 2022.
E’ presto per dire che nulla sarà più come prima, dopo il test di mCBDC. Ma che quel momento arriverà, ormai pochi ne dubitano fra coloro che seguono queste vicende. Il problema è capire come verrà gestita questa transizione. Il rischio che tutte le banche centrali hanno presente è di “disintermediare” troppo le banche commerciali, finendo col tagliarle fuori dai sistemi di pagamento.
Cosa che nessuno vuole, e in primis proprio le banche centrali, che non sono certo attrezzate per gestire la clientela retail. Per questo fra le varie ipotesi circolate in questi mesi nell’eurozona, è emersa quella di limitare solo a un certo importo la somma in moneta digitale a disposizione di ogni soggetto economico. E poi ovviamente ci sono in ballo difficili questioni legate alla privacy. Ma si tratta di difficoltà superabili. Il processo per la “digitalizzazione” del contante ormai è ben avviato. Dove ci condurrà è tutta un’altra storia.
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