Back to school! Ma in azienda servono ingegneri o intellettuali?

scritto da il 21 Settembre 2021

L’autore del post, Silvano Joly, 55 anni, torinese, guida Syncron in Italia e Spagna. Manager per Innovation Leader come PTC, Reply, Sap, Dassault Systemes e Centric Software, ha lavorato anche con Aziende pre-IPO, start up e collabora con varie Università Italiane. Mentore pro-bono di start-up high-tech è da sempre amico della Piccola Casa della Provvidenza (Cottolengo), il più antico istituto dedicato all’assistenza di persone con gravi disabilità –

Fino alla fine degli anni Ottanta in Italia esistevano 3 tipi di Laurea: Economia e Commercio, Ingegneria e le “altre”, a loro volta divise tra quelle da Scienziati, ad esempio Fisica, Matematica, Chimica, e quelle “inutili” ovvero Lettere, Storia e Filosofia, Magistero (si chiamava così), Scienze Politiche poi era proprio serie B, per studenti lavoratori alla ricerca del “pezzo di carta” (*).

Giurisprudenza aveva una sua popolarità, in funzione della Professione che allora era ancora molto in voga, mentre Medicina faceva categoria a parte, in epoca di pieno Cesarismo.
Sembra un secolo fa, ma a quei tempi si sceglieva un corso di studi pensando non solo all’esito occupazionale ma anche a che ruolo si sarebbe potuto ricoprire in base al tipo di Laurea. La Scuola era davvero un ascensore sociale, ad esempio chi aveva una Laurea in Economia e Commercio entrava in Azienda con la prospettiva quasi certa di ruoli dirigenziali. Spesso completava ulteriormente la sua formazione alla Bocconi, con corsi pagati dalla stessa Impresa che lo aveva assunto. Anche gli Ingegneri erano anche molto ambiti, ma quasi sempre destinati alle Direzioni Tecniche, dove spesso passavano tutta la carriera secondo il cluster dello Scienziato, che era molto definito ed al quale nessuno faceva eccezione o obiettava.

Di rado un Ingegnere arrivava alla Direzione Generale provenendo da un ruolo tecnico o di ricerca, mentre la maggioranza degli Amministratori Delegati erano appunto specializzati negli aspetti economici e gestionali e venivano promossi dopo aver gestito la direzione commerciale o marketing. Erano gli anni di Gordon Gekko, degli Yuppies, dei Bocconiani. Persino il servizio militare – allora obbligatorio – riverberava queste “caste” nelle Scuole Ufficiali ma secondo l’indirizzo di studio e tutti gli altri nel mare magnum dell’esercito a fare i soldati di leva…

Ma si preparava una grande rivoluzione, si affacciava una nuova figura di laureato, un nuovo tipo di Ingegnere: il Gestionale! Non credo tutti ricordino come andò esattamente. In Italia il primo corso del genere venne istituito presso l’Università della Calabria nel 1972 ad opera di Beniamino Andreatta, che era laureato in Legge e specializzato in economia a Cambridge, e che intuì l’opportunità di aggiungere alle competenze tecniche degli Ingegneri quelle gestionali e organizzative delle altre Facoltà. Si legge su internet, che il primo laureato fu Giuseppe Fraia, ma passarono oltre 10 anni prima che il Politecnico di Milano, la miglior fabbrica di Ingegneri in Italia, ne istituisse uno nel 1983.

Quarant’anni dopo, nonostante certe resistenze da parte di Meccanici, Aeronautici che si ritengono i soli veri Ingegneri, quelli con la “I” maiuscola, il successo dei corsi di Ingegneria Gestionale è enorme, ed ha delineato una concorrenza e demarcazione tra “ingegneri” ed “intellettuali” molto sentita, specie in Italia. Di fatto un controsenso, visto che i due termini sono – almeno in base all’etimologia – sinonimi: uno usa l’ingegno, l’altro l’intelletto. Cioè la stessa cosa.

Questa discriminazione è quasi solo Italiana. Nel resto del mondo e sopratutto nei paesi anglosassoni lauree da noi ormai demodé, almeno nel settore aziendale, sono molto richieste. Nel Regno Unito la Laurea in Filosofia – amore per il sapere, materia evanescente per definizione – assicura impiego certo ad un seguace di Aristotele, che viene assunto mentre ha ancora la corona d’alloro in testa.

E ci sono grandi Manager “intellettuali”. Uno per tutti, Sergio Marchionne che si laureò in filosofia a Toronto e disse in un’intervista che aveva scelto quell’Università “perché sentivo che, in quel momento, era una cosa importante per me”. In seguito continuò a studiare, laureandosi in giurisprudenza ed conseguendo un MBA. Lo stesso Marchionne ammise: “Dopo la prima laurea in filosofia mio padre aveva già scelto il colore del taxi che voleva farmi guidare perché diceva che non sarebbe servita a nulla”.

Eppure fu lui a salvare l’Azienda più meccanica ed ingegneristica in Italia, arrivando a dichiarare “Faccio il metalmeccanico, produco auto, camion e trattori”. Non male per un filosofo!

schermata-2021-09-21-alle-11-29-15Allora è vero: la parola Ingegnere derivando da ingegno, non ha solo a che fare con la tecnica o con la gestione. Come essere intellettuale non è solo un ruolo astratto, ma un modo completo di razionalizzare e di decidere.

Secondo Irene Lamberti, Manager di Michael Page Engineering & Manufacturing, “le soft skill sono alla base di qualsiasi carriera di successo. Ad esempio, grazie all’avvento di tecnologie come l’intelligenza artificiale (AI) e l’automazione, queste competenze sono sempre più richieste sul posto di lavoro come ‘elemento umano’ fondamentale per l’analisi e l’interpretazione dei dati tecnologici. Nei processi di selezione che mi trovo a gestire, fra i requisiti ad oggi richiesti dalle aziende rientra proprio la presenza di un soft skill set decisamente ampio, che deve emergere dai candidati già in fase di selezione. Come? Attraverso domande specifiche che permettano di fare emergere i diversi ‘indicatori comportamentali’ che dimostrano l’effettiva presenza della soft skill ricercata”.

Va quindi corretto l’assunto che siano le conoscenze tecniche il fattore chiave per ottenere un lavoro o per farlo bene. Non c’è più spazio per i “cervelloni”, tutti devono collaborare con molte e diverse aree, divisioni e persone all’interno di una singola azienda. Le soft skill – cioè le abilità non tecniche e intrinseche in ogni persona – servono per distinguersi in un mercato del lavoro competitivo – quando associate a un set di competenze tecniche adeguato.
Irene Lamberti suggerisce anche quali siano le migliori soft skill da individuare e sviluppare:

1. Solide doti comunicative. Le conoscenze tecniche sono fondamentali, ma la capacità di comunicarle in modo accurato e conciso, chiaro e lineare, a un pubblico non esperto è altrettanto importante perché tutte le parti interessate siano incluse nella conversazione.

2. Leadership. Per un reale avanzamento professionale, bisogna saper gestire team, individui, progetti o intere organizzazioni. Alcune persone possiedono naturali capacità di leadership, che possono essere affinate anche con un percorso formativo.

3. Analisi e problem solving. La capacità di analizzare in autonomia le diverse situazioni, scomporle, porsi delle domande che valutino le varie possibilità e risolvere i problemi, a volte anticipandoli, è competenza sempre utile. Occorre mantenere il sangue freddo in una crisi e trovare soluzioni creative a problemi complessi.

4. Networking e capacità di influenzare. Il concetto di networking sta prendendo sempre più piede in azienda, non solo quindi come skill richiesta in ruoli di marketing e vendite, ma anche in tutti i ruoli che presuppongano la relazione con colleghi a diversi livelli aziendali o terze parti. La capacità di trattare con persone a tutti i livelli aziendali, creare relazioni produttive e presentare in modo persuasivo idee e opinioni è parte cruciale dei moderni ruoli tecnici e manageriali.

5. Organizzazione e gestione della delivery. Saper lavorare con altri ed organizzare il proprio ed altrui lavoro con metodo, ordine e al contempo flessibilità risulta essere un requisito imprescindibile.

6. Empatia. Forse la soft skill più apprezzata oggi: ascoltare ed entrare in condivisione con ciò che l’interlocutore sta esprimendo getta le basi alla creazione e sviluppo di relazioni solide e stabili nel tempo.

Probabilmente i ruoli seguono evolvendo come le organizzazioni che si fanno liquide e richiedono tecniche di gestione nuove e moderne. Oltre oceano, 3 anni fa, Google ha istituzionalizzato il ruolo di Chief Philosophy Officer creando un nuovo C-level, strategico proprio con la sua astrazione in un mondo sempre più tecnologizzato, dove le imprese cercano il lato più “umano”, forse andato perduto proprio nella tecnologia, nella automazione dei processi, nella digitalizzazione dei rapporti.

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Raffaele Tovazzi, classe 1980, Filosofo Esecutivo

Così in Azienda serve non solo chi ha le competenze ma anche chi ha capacità di analisi critica, di ragionamento, di speculazione come spiega Raffaele Tovazzi, di mestiere Filosofo Esecutivo: “Questa professione in verità non è poi così innovativa, a ben pensarci la relazione tra Aristotele ed Alessandro Magno – con tutte le dovute distinzione storiche – non differisce molto da quel che faccio io ogni giorno con i miei clienti. Ma se parliamo dell’epoca contemporanea e quindi del filone a cui io appartengo, è innegabile che il consolidamento di questa tendenza sia partita nella cultura anglosassone, ed in particolare negli Stati Uniti e nella Silicon Valley, dove i filosofi esecutivi non vengono considerati meno importanti di ingegneri e programmatori quando si parla di innovazione. Perché ogni innovazione parte dal pensiero.” Vale la pena vedere il suo video su YouTube .

Per approfondire, suggerisco anche di leggere “Il filosofo in azienda. Pratiche filosofiche per le organizzazioni” di Paolo Cervari, che è convinto dell’utilità di un approccio speculativo e non risolutivo, facendo un esempio relativo ai Big Data: per gestirli con la AI (intelligenza Artificiale) occorrono approcci nuovi, imprevedibili, domande strane ma intelligenti, come quelle che faceva Socrate con la Maieutica.

Ma quindi quale risposta alla domanda Ingegneri o Intellettuali? Ovviamente non c’è.
Meglio ammettere che Scio me nescire, so di non sapere, come diceva Socrate ed impegnarsi nel cambiamento e nell’evoluzione di ruoli ed organizzazioni, non pensare solo a nozioni e tecnica ma alla capacità di usare la straordinaria risorsa di cui siamo dotati, il cervello, in tanti nuovi ed intelligenti modi.

Twitter @sjoly_ita

(*) chi scrive si è laureato in Scienze Politiche nel 1990 con il professor Piero Bairati.