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Più smart working se c’è più comunicazione interna smart
Si dice “smart working” (anche se dovremmo usare le parole “lavoro a distanza”), ma non si dice che serve più comunicazione interna aziendale. È la cronaca quotidiana a mettere al centro il dibattito sul lavoro fatto in modalità remota: pensiamo, tanto per fare qualche esempio, alla software house australiana Canva che – in linea con quanto deciso da Atlassian (con la possibilità di lavorare da qualsiasi parte del mondo per i 5.700 dipendenti) – ha introdotto la regola del “lavoro sempre in remoto”, fatta salva l’eccezione di otto giorni all’anno. «La pandemia ha smentito l’idea che la collaborazione sia migliore in presenza o in un posto specifico. I luoghi di lavoro tradizionali diventeranno l’eccezione», ha dichiarato l’impresa da Surry Hills.
È la via australiana “senza mezze misure” all’organizzazione del lavoro. D’accordo o contrari, la notizia di Canva ci offre lo spunto per riflettere sugli effetti dello “smart working”: la prospettiva che sceglieremo è quella dei lavoratori.
LAVORATORI ITALIANI: SMART WORKING, MAI PIÙ SENZA
Partiamo dalla percezione del lavoro a distanza. Lo “smart working” ha migliorato l’equilibrio tra vita e lavoro e aumentato il senso di autonomia. È il giudizio positivo (66% e 62%, rispettivamente, degli intervistati) contenuto nello studio realizzato dall’Istituto di management della Scuola Superiore Sant’Anna: +25%, inoltre, di produttività nelle grandi imprese con il telelavoro, ha sottolineato il centro di formazione a Morya Longo sul Sole 24 Ore, riprendendo la ricerca commissionata da LS Lexjus Sinacta. Unico neo l’aumento della percezione di isolamento da parte dei lavoratori.
Gli “smart worker” sono così soddisfatti della possibilità di svolgere il lavoro a distanza che piuttosto che tornare cinque giorni su cinque in presenza sono disposti a cambiare datore. È quanto emerge da un’indagine condotta dall’università di Chicago, ripresa da diversi media italiani: quattro dipendenti su dieci, negli Stati Uniti, pensano di cambiare società pur di mantenere il privilegio (e i risparmi a esso collegati) di lavorare da casa. Questi numeri confermano un recente sondaggio di Apple, secondo il quale il 90% dei dipendenti di Cupertino sarebbe contrario al nuovo sistema ibrido e oltre il 36% pensa, in caso di ritorno forzato, di lasciare la compagnia. Impensabile, dunque, tornare indietro, all’epoca del lavoro pre-covid.
LA DISTANZA NON AIUTA L’ADATTAMENTO RECIPROCO E IL CALORE DELLE RELAZIONI
Consideriamo ora l’effetto dello “smart working” sui processi di coordinamento in azienda. Gli esperti di “organization design” confermano che le organizzazioni necessitano di allineare il lavoro fatto da diverse persone. Utile, sotto questo aspetto, è il cosiddetto “coordinamento ex ante”: a differenza di quello “ex post” che si concretizza ad esempio nella supervisione diretta, quello “ex ante – spiega Raffaella Cagliano, docente al MIP, la business school del Politecnico di Milano – «consiste nell’interazione informale e non pianificata tra le persone o le unità organizzative che necessitano di coordinamento. Pensiamo, ad esempio, a una riunione in cui si scambiano informazioni, ci si confronta e si prendono decisioni che servono per garantire un risultato finale. Pensiamo al fenomeno della “macchinetta del caffè”, ovvero al fatto di incontrare in maniera incidentale un collega e scambiare, insieme ad alcune chiacchiere, alcune informazioni rilevanti che servono per coordinare l’attività da svolgere».
Significativo, a questo propositivo, il commento di Odile Robotti, fondatrice della società di consulenza Learning Edge: «Abbiamo perso il “calore” nelle relazioni lavorative, il senso di appartenenza e la serendipità. A volte la macchina si metteva pure a fare i dispetti: non dava il cucchiaino a chi aveva preso il caffè zuccherato oppure decideva che quel giorno si dovesse tutti bere solo il caffè ristretto. La macchina capiva tutto e ogni tanto si teneva il resto per vendetta», ha spiegato su Manageritalia l’autrice de “Il magico potere di ricominciare”.
LA CARTA VINCENTE DELLA COMUNICAZIONE INTERNA
Ebbene, il lavoro a distanza, con tanti i pregi evidenziati dai professionisti, non favorisce l’adattamento reciproco tra le persone: è vero che esistono le e-mail, le chat o le videochiamate, ma vedersi a quattr’occhi è certamente più immediato che leggere un testo o ascoltare un messaggio vocale. Va bene lo “smart working”, dunque, ma attenzione a non perdere di vista l’obiettivo dell’efficienza organizzativa, per il quale occorre anzitutto promuovere la coerenza interna. Ogni qualvolta che c’è una mancanza di coesione, l’organizzazione necessita di essere riprogettata.
Ed è proprio in questo contesto che entra in gioco la comunicazione interna aziendale: è tempo, oggi più che mai, di IoP ossia di “rete tra le persone” (“Intranet of people”) favorita dall’implementazione di strumenti che permettano ai professionisti di un’azienda di condividere gli obiettivi e gli stati di avanzamento del loro lavoro. La tecnologia ci mette a disposizione tante soluzioni, alcune a costo “quasi zero”, altre per le quali serve preventivare budget più o meno consistenti. La comunicazione interna può essere portata avanti con una intranet aziendale (pensiamo alla piattaforma con un nome italiano lanciata da Microsoft, “Viva”), un’app consultabile tramite cellulare come quella sviluppata da SmartAWARE, una newsletter periodica oppure un social media come Facebook (tramite la piattaforma di collaborazione “Workplace”) o un canale privato in rete che possiamo aprire ad esempio su Telegram.
KNOW-HOW, KNOW-WHY, KNOW-WHAT, KNOW-WHERE E KNOW-WHEN IN AZIENDA
A ciascuno, dunque, la soluzione di comunicazione interna che meglio si adatta alle esigenze e al portafoglio aziendale. Al tempo dello “smart working”, tuttavia, non si può farne a meno, salvo voler perdere in efficienza aziendale (26 mila dollari, secondo uno studio curato da David Grossman su 400 grandi aziende americane e pubblicato qualche anno fa da The Holmes Report, è il costo annuale a lavoratore causato dal calo di produttività derivante dalla mancata comunicazione in azienda). Perché la comunicazione interna permette di condividere il “know-how”, il “know-why”, il “know-what”, il “know-where” e il “know-when”, accorciando la distanza creata dallo “smart working”.
Twitter @filippo_poletti