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Crisi d’azienda: arriva la Composizione Negoziata. Facciamo chiarezza
Come previsto e come abbiamo commentato in questo spazio alcune settimane fa, il Governo ha messo mano al “cantiere” del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza: il decreto n. 118 del 24 agosto 2021 infatti introduce due rinvii, entrambi attesi, ed un nuovo strumento di gestione della crisi, anche questo annunciato dalle parole di Ilaria Pagni, presidente della Commissione Governativa sulla revisione del nuovo Codice, in un’intervista al Sole 24 Ore che abbiamo commentato nel pezzo ora richiamato.
I due rinvii sono al 16 maggio del 2022 per l’entrata in vigore del nuovo Codice e al 31 dicembre 2023 per la parte concernente le (molto discusse) procedure di allerta esterna; è appena il caso di tornare sulla ratio di questi due rinvii: il legislatore ha sostanzialmente voluto separare il momento di entrata in vigore del nuovo Codice rispetto al momento attuale di uscita – come pare – dalla crisi pandemica; ciò al fine di non contribuire, con la partenza di nuovi strumenti, a peggiorare la situazione di molte imprese, e al contempo a rendere difficile la comprensione della reale applicabilità ed efficacia delle nuove norme, in un momento naturalmente del tutto peculiare ed insolito della vita delle aziende (momento che pare fortunatamente in fase di rientro alla normalità).
Il piatto forte del Decreto, come pareva chiaro dagli annunci, è però senza dubbio quello contenuto dall’articolo 2 dello stesso: l’introduzione della “Composizione negoziata della crisi d’impresa” (“CnC”).
Entreremo nel merito di questo strumento affrontandone, come sempre facciamo, gli aspetti più di carattere manageriale ed imprenditoriale, lasciando agli esperti le trattazioni più prettamente giuridiche (per quanto in tema di crisi d’azienda queste ultime siano sempre da tenere in dovuto conto anche per gli imprenditori e manager che gestiscono l’azienda); prima però serve un minimo di premessa, di nuovo, sull’evoluzione che da una quindicina d’anni ha caratterizzato l’inquadramento giuridico della crisi aziendale, che si è progressivamente spostata, con nuovi strumenti, verso la salvaguardia del bene primario di ogni azienda che abbia delle possibilità di stare sul mercato in maniera competitiva: la sua continuità.
Se da un lato di un ipotetico continuum posizioniamo la classica procedura concorsuale liquidatoria sotto il pieno controllo del Tribunale (si chiamava “fallimento”, si chiamerà “liquidazione giudiziale”), che è ovviamente quanto di più lontano ci sia dal mantenimento di un complesso aziendale in continuità, ecco che vi sono stati negli ultimi anni nuovi strumenti per allontanarsi da questo tipo di procedura: il concordato in continuità, poi rafforzato dal “concordato in bianco”, e i “piani attestati” hanno fornito ad imprenditori, consulenti e managers la possibilità di mantenere in operatività il complesso aziendale, salvaguardare la posizione di mercato dell’azienda o di rami di essa, tutelare ove possibile i livelli occupazionali, il tutto all’interno di procedure atte a salvaguardare il corretto e paritario trattamento dei creditori (che alfine sono coloro che sopportano, insieme a chi mette capitale di rischio, il rischio di impresa).
La Composizione negoziata si inserisce pienamente in questo solco, ed anzi, a nostro avviso, riafferma con forza un ulteriore elemento distintivo: oltre a quello del mantenimento in continuità dell’impresa, a noi pare che il tentativo, pregevolissimo, del legislatore sia quello di affidarsi quanto più possibile alla volontà negoziale e contrattuale delle parti coinvolte, che sono, in definitiva, l’impresa ed i suoi creditori (nelle loro diverse categorie).
Vediamo un attimo i termini fondamentali di funzionamento della CnC: essa si apre (art. 2) con un’istanza da parte dell’imprenditore (di qualsiasi genere, anche piccolo imprenditore o imprenditore agricolo) alla propria Camera di Commercio che chiede la nomina di un esperto, che è la figura di terzo indipendente che questa disciplina prevede di affiancare all’imprenditore nel processo di soluzione della crisi.
Quando è che l’imprenditore ricorre alla Composizione negoziata? Quando si “trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” (art. 2, c.1): la nomina dell’esperto, e l’apertura di trattative con i creditori, hanno la finalità di “individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa”.
Il ricorso a questa figura di esperto ci pare molto interessante e positivo: ma chi sono gli “esperti”? La legge determina i requisiti per entrare a far parte di coloro che possono essere nominati, ed anche qui ci sono alcune novità: oltre alle figure dei Commercialisti ed Esperti Contabili, degli Avvocati con esperienza in crisi d’azienda, la normativa apre ad altri due tipi di figure: i consulenti del lavoro e i consulenti manageriali e finanziari non iscritti ad albi (come chi scrive) che dimostrino di aver avuto esperienza nel campo della crisi d’azienda; si tratta di un’apertura molto importante e positiva, a nostro parere, perché come sappiamo e abbiamo spesso documentato in questo spazio, la crisi d’azienda richiede professionalità specifiche, non sempre rinvenibili nella tipiche figure dei professionisti legali e di revisione contabile, che ovviamente sono fondamentali per altri versi.
Ma torniamo alla nostra Composizione negoziata: l’imprenditore chiede la nomina di un esperto e con l’assistenza di questo inizia le trattative con i creditori per individuare soluzioni; qui il senso è chiaro: l’obiettivo è individuare un piano idoneo a far uscire l’impresa dalla situazione di crisi o di pre-crisi e “convincere” di questo piano i creditori, proponendo loro termini e condizioni del trattamento dei loro crediti verso l’impresa.
Il Decreto disciplina molti aspetti della nuova procedura; qui ne prendiamo in considerazione alcuni che ci paiono quelli più rilevanti al fin della valutazione di questo nuovo strumento.
1. Criteri generali
In primo luogo, il decreto stabilisce alcuni criteri generali di correttezza e di buona fede nelle trattative (Art. 4, c.4): è nella trattativa fra creditori e debitore che la norma trae la sua ragione di esistenza, quindi la norma pone in carico ai creditori (in particolare finanziari, cioè le banche) l’onere di farsi carico “in modo attivo e informato” (art. 4, c. 6) di partecipare alle trattative; e aggiunge che “tutte le parti …. hanno il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto” (art. 4, c.7) al fine di instaurare un dialogo costruttivo.
2. Misure protettive
In secondo luogo, tuttavia, come ben sa chi partecipa o gestisce “tavoli di crisi”, spesso ci sono creditori refrattari al confronto, che, talvolta, all’interno delle prerogative e delle azioni che l’ordinamento loro attribuisce, assumono atteggiamenti ostili o promuovono azioni esecutive sul patrimonio aziendale: ecco allora che la norma, molto opportunamente, all’art. 6 istituisce “Misure protettive” del patrimonio aziendale, ottenibili con un’istanza da pubblicarsi nel Registro Imprese ad esito della quale i creditori “non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore”, ma soprattutto, quel che più importa, non possono “iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività di impresa”. E’ ovviamente una previsione rilevantissima: con questa semplice istanza, infatti, l’imprenditore ottiene effetti potentissimi poiché come noto sono proprio le azioni monitorie dei creditori che spesso creano perturbazioni o, talvolta, fanno saltare le trattative stragiudiziali vòlte alla creazione di condizioni idonee all’uscita della crisi; con questa norma, la capacità perturbativa dei creditori viene molto depotenziata, considerando inoltre che, molto opportunamente, il comma 4 dello stesso articolo 6 rende improcedibile anche l’estrema arma (impropria a ben vedere) che talvolta i creditori decidono di usare negozialmente: l’istanza per ottenere sentenza dichiarativa di fallimento (che “non può essere pronunciata” in pendenza di CnC, dice il comma 4 dell’articolo 6).
3. Il ruolo del Tribunale
Terzo punto: il ruolo del Tribunale. Abbiamo visto che finora, tramite piattaforme telematiche, l’imprenditore può aprire la Composizione negoziata, nominare l’esperto e chiedere misure protettive; ma il Tribunale, che ha ampio spazio nelle procedure di crisi come entità che vigila e sorveglia la corretta applicazione delle leggi, che ruolo ha? Sul tema delle misure protettive, che abbiamo appena trattato, l’articolo 7 sposta di fatto la sede decisoria in relazione a tali misure nel Tribunale competente; infatti l’imprenditore, ottenuta la misura con l’istanza, deve comunque presentare un apposito ricorso col quale chiede al Tribunale “la conferma o la modifica” delle misure protettive” presentando idonea documentazione; ecco quindi che in una materia così delicata come il contemperamento dei diritti dei creditori e le esigenze protettive di un’azienda in crisi, il legislatore ha voluto inserire il ruolo del giudice, a equilibrare le azioni che i creditori possono avere avviato con le esigenze di tutela della protezione che le trattative devono avere. Anche l’articolo 10 introduce una serie di autorizzazioni che l’imprenditore può richiedere al Tribunale, ad esempio sulla contrazione di finanziamenti prededucibili, sul trasferimento d’azienda, o sulla rideterminazione delle obbligazioni di taluni contratti. Ci pare di intravedere, in queste disposizioni, una sorta di facoltà data all’imprenditore di “santificare” tramite il ricorso al giudice una serie di scelte imprenditoriali compiute all’interno della CnC, al fine, sostanzialmente, di ottenere conferma della loro coerenza con l’obiettivo del riequilibrio aziendale. E’ una sorta di “collaborazione” fra l’impresa e il Tribunale, su richiesta della prima, che potrebbe avere buon accoglimento, poiché ne è lasciata la facoltà, come detto, all’imprenditore; certo è che, nel dubbio, quest’ultimo potrebbe essere portato a ricorrervi sempre, anche solo al fine di avere meno responsabilità, e ciò sarebbe deleterio, perché farebbe tornare in seno al Tribunale la gran parte delle decisioni gestorie, con conseguenti ritardi e lungaggini, che spesso danneggiano la celerità necessaria nei processi di risanamento.
4. Esito delle trattative
Ultimo tema di interesse che vogliamo trattare qui è la formalizzazione della volontà di quanto emerge dalle trattative: le attività della Composizione negoziata sono come abbiamo detto finalizzate a individuare un piano idoneo a far uscire l’azienda dalla crisi, e a ottenere l’assenso dei creditori a tale piano. Ma come si concretizza questo ipotetico accordo? L’articolo 11 dà grande flessibilità alle modalità di formalizzazione degli accordi raggiunti, di fatto tramite tutti gli strumenti messi a disposizione dalla normativa, sia quella vecchia che quella nuova. L’imprenditore in altre parole, individuato il da farsi, avendo svolto le trattative, eventualmente con una protezione dalla aggressioni di creditore, ed avendo avuto l’assenso delle parti coinvolte, può in seguito adottare uno qualsiasi degli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento: il piano ex art. 67 (ma senza attestazione, che non servirebbe essendoci già l’esperto); il piano ex 182 bis (ma con la potentissima previsione della sufficienza del 75% delle adesioni, previsto da questo Decreto); oppure proporre un concordato semplificato, anch’esso introdotto dal Decreto 118; oppure concludere un semplice “contratto, con uno o più creditori” (art. 11, c.1) o una “convenzione di moratoria ai sensi del 182-octies” della Legge Fallimentare. Questa grande flessibilità degli strumenti ci pare positiva: infatti il difficile non è tanto lo strumento, ma l’ottenimento dell’accordo con i creditori, ed è proprio questa fase che la CnC va a tutelare e a cui viene attribuita forte dignità ed importanza.
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Ci sono ovviamente molti altri aspetti interessanti in questo Decreto e qui ne abbiamo toccati solo alcuni che ci sono parsi i più rilevanti per imprenditori e manager che abbiamo a che fare con questa particolare forma di “malattia” che è la crisi d’azienda; vedremo nella pratica come sarà usato per nuovo strumento, la Composizione negoziata della Crisi, che potrebbe avere i giusti requisiti di semplicità, di equilibrio e di rapidità per raggiungere l’obiettivo di fondo, che è la salvaguardia in tempi compatibili con il business di complessi aziendali competitivi e risanati.
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