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Fare business in Cina in 5 mosse: consigli per le imprese italiane
Post di Isabel Ye, China director di Ebury –
A pochi mesi dall’elezione di Joe Biden, se i rapporti fra gli Stati Uniti e la Cina sono cambiati nei toni della copertura mediatica – che ha abbandonato il lessico belligerante di Trump – la guerra commerciale è rimasta però, sotto ogni aspetto, esattamente come il suo predecessore l’aveva lasciata: Washington continua ad applicare tariffe sull’importazione di prodotti cinesi per un controvalore di 360 miliardi di dollari.
Bisogna, inoltre, ricordare che l’accordo commerciale di Fase 1 raggiunto fra i due Paesi nel gennaio 2020 non è stato rispettato da Pechino. Il patto prevedeva l’importazione di beni e servizi americani aggiuntivi per 200 miliardi di dollari (rispetto ai livelli del 2017) ma secondo le stime del Peterson Institute for International Economics tale obiettivo è stato disatteso in una misura pari al 40% nel 2020 e al 30% in questa prima metà del 2021.
Si può ipotizzare che la tensione tra Washington e Pechino continuerà a caratterizzare i rapporti bilaterali da svariati punti di vista e potrebbe causare anche misure abbastanza rilevanti, una di queste potrebbe portare al decoupling di alcune supply chains, alla revisione delle catene produttive o alla rilocalizzazione di alcune fasi dei processi produttivi direttamente negli Stati Uniti, considerando soprattutto il progressivo aumento della dipendenza del settore manifatturiero americano dalle importazioni cinesi. Una tensione che ha indubbiamente una ricaduta sul commercio internazionale e che potrebbe causare ai paesi europei – e all’Italia – perdite molto importanti nella bilancia commerciale, soprattutto se si considera che nel 2021 l’export italiano è tornato sopra i livelli precedenti all’emergenza Covid e che nel primo quadrimestre di quest’anno è proprio verso la Cina che le esportazioni del Bel Paese hanno registrato la maggior crescita, pari al +55,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Attualmente, una delle maggiori sfide per le aziende che operano con la Cina ha a che fare con le restrizioni che ancora gravano sui viaggi nel Paese e le rigide normative imposte dai governi a causa delle quarantene da Covid. Si tratta di limitazioni che si sono aggiunte ad altre di natura geografica, culturale, amministrativa o finanziaria.
Durante la pandemia i prezzi di acquisto in Cina sono aumentati sia per via dell’impennata delle materie prime, sia per i costi di trasporto che sono saliti ai massimi storici, ma anche per i tassi di cambio sfavorevoli a causa di un rafforzamento del Renminbi (RMB). Sebbene questi fattori siano in gran parte al di fuori del controllo delle PMI in tutta Europa ci sono alcuni elementi di cui le aziende dovrebbero tener conto per facilitare il commercio con il Paese asiatico:
1. Gestire il rischio di cambio: è sempre meglio chiedere i preventivi nella valuta locale dei fornitori, in questo caso in Renminbi. I fornitori cinesi normalmente fissano i loro prezzi all’esportazione considerando i movimenti del tasso di cambio USD/RMB. Data la volatilità del mercato, è normale che i venditori cinesi aggiungano un po’ di margine ai loro prezzi in valuta estera per proteggersi da piccole fluttuazioni, ma se la situazione è ancor più sfavorevole, tendono ad aumentare molto di più le quotazioni in valuta estera per minimizzare il rischio. Chiedendo di essere fatturati in RMB, gli acquirenti si garantiscono prezzi stabili alla fonte, che non saranno influenzati arbitrariamente.
2. Negoziare sempre i prezzi: la contrattazione potrebbe non essere molto comune in Occidente, ma in Cina è una pratica diffusa. I fornitori si aspettano che i prezzi vengano negoziati e non farlo potrebbe, in sostanza, causare perdite inutili. Alcuni semplici strumenti di negoziazione sono la possibilità di stabilire una relazione a lungo termine, aumentare i volumi degli ordini nel tempo oppure di offrire nuove opportunità di mercato segnalando altri potenziali clienti.
3. Comunicare come farebbe un cliente locale: Wechat è lo strumento di comunicazione più diffuso in Cina ed è anche molto usato nel mondo degli affari. È importante che le aziende siano in grado di utilizzare Wechat per garantire comunicazioni fluide con i fornitori e costruire relazioni solide. Inoltre, è probabile che acceleri notevolmente i tempi di risposta rispetto alle tradizionali e-mail.
4. Sviluppare legami personali al di là degli affari: nel business asiatico i partner commerciali sono spesso considerati amici e si registra una maggiore commistione di relazioni personali e lavorative. Ad esempio, è normale che le aziende cinesi ospitino i clienti nel loro ufficio con una cerimonia del tè, mentre gli affari vengono spesso discussi al tavolo di un ristorante. Rivolgersi ai propri fornitori in modo meno “formale” rispetto ai tradizionali dettami della cultura aziendale occidentale, rafforzerà le relazioni commerciali e renderà più fluide le trattative.
5. Comprendere usi e costumi locali: la barriera linguistica, le abitudini cinesi e le differenze culturali sono ostacoli significativi da superare per le imprese occidentali durante le trattative, pertanto, è importante che le aziende si dotino di risorse specifiche per facilitare le negoziazioni. Esistono una serie di opzioni diverse che le aziende possono esaminare a seconda delle dimensioni e delle risorse disponibili: dall’utilizzo di un agente locale per coordinare le comunicazioni con i fornitori, fino alla creazione di una propria filiale in Cina con personale locale. In alternativa potrebbe bastare l’assunzione di personale madrelingua cinese nel proprio Paese per gestire i fornitori.
La Cina può essere spesso percepita come un mercato non facile da comprendere, con tante sfumature che si intrecciano nel modo di fare impresa. Tuttavia, con la crescita della sua economia, vediamo che la Cina sta cercando di aumentare la sua rilevanza internazionale e di aprirsi sempre di più all’Occidente.
Ebury
Ebury è una società fintech specializzata in pagamenti internazionali, incassi e servizi di cambio. Offre soluzioni finanziarie rivolte principalmente a PMI e midcap. Ebury offre operazioni di cambio in oltre 130 valute, sia per i mercati principali che per quelli emergenti, nonché strategie di gestione della liquidità, finanza commerciale e gestione del rischio di cambio. Fondata a Londra nel 2009 dagli ingegneri spagnoli Juan Lobato e Salvador García, l’azienda ha ampliato la propria presenza sul mercato globale fino a una rete di 24 uffici in 20 paesi e oltre 1.100 dipendenti. Nell’ultimo anno, il volume delle transazioni eseguite da Ebury è stato di 21 miliardi di dollari. Nel corso della sua storia, l’azienda ha ricevuto più di 20 premi internazionali, tra cui il Financial Times 1000 Europe’s fastest-growing companies 2020 o il Sunday Times Tech Track 100. Tutti questi riconoscimenti posizionano Ebury come una delle principali fintech a livello europeo.