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Donne e imprenditoria in Italia, i perché di una bassa propensione al rischio
Come riportato dal IV Rapporto nazionale Imprenditoria femminile di Unioncamere [1], le nuove attività imprenditoriali a guida femminile avviate nel secondo trimestre del 2020 sono diminuite del 42,3% rispetto al secondo trimestre del 2019, mentre la riduzione riguardante le attività a conduzione maschile è stata più contenuta (-35,2%). I numeri testimoniano così come la crisi innescata dal Covid-19 eserciti le sue ripercussioni in particolare sulle imprenditrici. Tra le possibili cause di tale fenomeno, il Rapporto individua una minore propensione all’innovazione (mostrata dal 56% delle imprese giovanili femminili contro il 59% delle imprese giovanili maschili), un minore investimento nelle tecnologie digitali di Industria 4.0 (19% contro 25%), il minore livello di internazionalizzate (9% contro 13%), nonché un rapporto più difficile con il credito (il 46% delle imprese femminili di under 35 si finanzia con capitale proprio o della famiglia). Ma un ulteriore fattore potrebbe essere rilevante: secondo la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, nell’’arretramento dell’imprenditoria femminile gioca un ruolo chiave anche la tendenza delle donne a rischiare meno.
Un sondaggio evidenzia come le donne italiane abbiano un approccio più conservativo, traducendosi in una minore propensione al rischio: il 21% delle intervistate risulta come alto profilo di rischio contro il 38% per gli uomini; il 52% vs. 48% ricade nella fascia rischio basso; mentre nella fascia “nessun rischio” ricade il 26% contro il 14% degli uomini. Questo significa che circa il 79% delle donne sostiene di avere una propensione al rischio medio-bassa. I motivi sembrano risiedere nel loro approccio più conservativo e orientato alla stabilità nel futuro, piuttosto che per raggiungere obiettivi di consumo nel medio termine.
C’è chi sostiene la tesi che sia un fattore biologico a determinare la differenza di propensione al rischio tra i due generi. Secondo Joe Herbert e John M. Coates dell’università di Cambridge [3], il rapporto tra le donne ed il rischio, seppur condizionato da uno stereotipo costruito socialmente, ha infatti anche una base biologica. Gli autori analizzano come l’interazione tra il testosterone, ormone maschile, e il cortisolo possa influenzare la propensione al rischio e un approccio ad esso più razionale. Tuttavia molti sono gli studi a sostenere che la causa principale sia legata a stereotipi culturali. Ad esempio, uno studio pubblicato in PNAS [2] mostra che effettivamente sono proprio cultura ed educazione a plasmare la propensione al rischio fin dalla prima età, alimentando stereotipi di genere radicati nel corso degli anni.
Tuttavia, allargando il punto di vista emerge una realtà più sfaccettata. Il Rapporto Unioncamere evidenzia infatti che dal 2014 al 2019, le imprese femminili hanno visto un aumento maggiore rispetto a quelle maschili: +2,9% vs. +0,3%, rappresentando il 75% dell’incremento complessivo su territorio italiano (+38.08 vs. +12.704 su un totale di +50.784). Nello specifico a livello territoriale si evidenziano in particolare tre regioni del Mezzogiorno (Molise, Basilicata e Abruzzo), seguite dall’Umbria, dalla Sicilia e dalla Val d’Aosta. A livello settoriale, nonostante la prevalenza negli ambiti tradizionali (tra i primi wellness, sanità, tessile e istruzione), viene rilevato un netto aumento delle imprese femminili in settori più innovativi, con una intensità maggiore delle imprese maschili. Nello specifico: attività professionali scientifiche e tecniche (+17,4% contro +9,3% di quelle maschili) e attività nel campo dell’informatica e delle telecomunicazioni (+9,1%,contro il +8,9% delle maschili).
Questi dati appaiono quindi in contrasto con il calo registrato dopo il 2019, rendendo il dibattito sull’’imprenditoria femminile una questione più ampia, che sembra riguardare aspetti prevalentemente di tipo culturale. Infatti, nonostante i progressi degli anni scorsi, le donne continuano ad essere sottorappresentate nel settore imprenditoriale, come evidenziato in questa indagine. Qui vengono individuate diverse barriere che ostacolano l’avvio di un’impresa femminile tra cui atteggiamenti sociali e culturali, le minori capacità/competenze imprenditoriali, il difficile accesso al credito, la minore presenza di imprese femminili rispetto a quelle maschili, la mancanza di politiche che incentivano le donne.
Anche il Policy Brief on Women’s Entrepreneurship della Commissione Europea [4] riporta tra le sfide che le donne identificano nell’avvio di un’impresa:
1. Atteggiamenti sociali e culturali
Ormai percepita come norma, la discriminazione nei confronti delle donne ha basi solide a livello culturale, sociale ed economico. Continua a perpetuarsi la figura maschile come unico modello, determinando forti conseguenze sull’accesso alle risorse, sul diritto di potersi affermare nel settore e sulla mancata partecipazione da parte delle donne
2. Mancanza di un’adeguata formazione imprenditoriale
Gioca un ruolo fondamentale la scelta del percorso di studi, dove si evince un forte divario di genere. Infatti, nonostante il numero di donne laureate in Italia sia maggiore rispetto a quello degli uomini (34% donne contro il 21,7% di uomini, Openpolis [5]), è molto bassa la percentuale di ragazze che sceglie percorsi inerenti alle cosiddette materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), le quali possono porre delle basi solide per poter intraprendere un tipo di lavoro autonomo come l’imprenditoria, dove il 59% sono uomini, mentre tra i laureati non STEM prevalgono le donne, che sono quasi due su tre (Almalaurea [6]).
3. Difficoltà nell’accesso ai finanziamenti
Per le imprese femminili italiane l’accesso al credito rappresenta uno degli ostacoli principali. Fin dal principio hanno a disposizione meno capitale per poter avviare l’attività, ma è un problema che si riscontra anche in fase più avanzata. Un altro rapporto di Unioncamere [7] mostra come le donne abbiano meno propensione nel chiedere accesso al credito per timore della negazione, come anche sostenuto da una ricerca condotta dalla Banca Centrale Europea [8], e per il poco interesse da parte degli investitori in settori che hanno un valore inferiore di mercato e che crescono meno velocemente in dimensioni e fatturato.
4. Conciliazione tra attività autonoma di impresa e carichi di cura familiare.
Saper conciliare la propria attività e la famiglia è ancora un punto critico. Nel modello italiano la cura e la gestione è tradizionalmente affidata alle donne. Secondo una ricerca Istat [9], in Italia l’interruzione del lavoro (intesa come intera carriera lavorativa) legata alla cura dei figli riguarda quasi esclusivamente le donne, quasi il 50%.
L’imprenditoria femminile si trova davanti fattori di diverso genere che ostacolano la sua piena realizzazione, a volte fin dal principio. Ma nonostante le difficoltà che hanno affrontato e che devono tuttora affrontare, le imprese rosa stanno crescendo, affermandosi in settori fino a poco tempo fa percepiti come inaccessibili. Occorrerebbe dare maggiore supporto per facilitare ed incentivare questo percorso di crescita, superando barriere esterne che minano l’imprenditoria femminile su diversi piani (economico, formativo, sociale, culturale).
Le autrici di questo articolo sono:
Carlotta Allegra Casati
Candida Distefano
Le autrici desiderano ringraziare le altre componenti del Team di Pari Opportunità: Maria Giulia De Donno, Emma Furlan, Debora Pignotti
Bibliografia
[1] Unioncamere (2020), IV Rapporto nazionale Imprenditoria femminile
[2] Liu E.M., Zuo S.X. (2019), Measuring the impact of interaction between children of a matrilineal and a patriarchal culture on gender differences in risk aversion, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), Vol. 116, N. 14, pp. 6713–6719
[3] Coates J.M., Herbert J. (2008), Endogenous steroids and financial risk taking on a London trading floor, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), Vol. 105, N. 16, pp. 6167–6172
[4] Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion (European Commission), Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), Halabisky D. (2017), Policy Brief on Women’s Entrepreneurship
[5] Openpolis (2019), Le troppe disuguaglianze di genere nell’istruzione
[6] Almalaurea (2019), Lauree STEM: performance universitarie, esiti occupazionali e gender gap
[7] Unioncamere (2016), III Rapporto nazionale sull’imprenditoria femminile Impresa in genere
[8] Ongena S., Popov A., Banca Centrale Europea (BCE) (2015), Gender bias and credit access
[9] Istituto Nazionale di Statistica (Istat) (2019), Conciliazione tra lavoro e famiglia