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Il turismo delle radici. Radiografia di un fenomeno tutto italiano
L’autore di questo post è Luca Martucci, consulente ed esperto di marketing di destinazione –
Questa volta gioco in casa. Il Brasile è infatti considerato il paese con la più grande comunità italiana nel mondo e quindi con il maggior potenziale per il cosiddetto turismo delle radici. Questo segmento, detto anche di ritorno o delle origini, sta diventando un leitmotiv del turismo nostrano. L’ importanza che si attribuisce a questi flussi turistici è frutto di una visione sociopolitica sicuramente apprezzabile, ma elucubrazioni accademiche e soprattutto certi numeri meritano qualche riflessione.
Oggetto di un’attenzione cresciuta in modo esponenziale negli ultimi cinque anni, questa “nicchia“ avrebbe assunto per molti esperti e gestori pubblici una valenza strategica per le sorti del turismo internazionale in Italia. Il merito principale è della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero della Farnesina, che nel 2018 ha abbracciato la causa con molto entusiasmo. È stato creato un esteso tavolo di coordinamento per poi supportare la realizzazione di una guida dedicata e addirittura un Master per la gestione del turismo delle radici organizzato dall’Università della Calabria.
Nonostante sia spesso citato come un nuovo segmento da sviluppare, di nuovo c’è poco. Nella letteratura si citano altri casi internazionali come l’iniziativa puntuale dell’Irlanda nota come The Gathering o i viaggi dei root tourists Afroamericani dagli Usa in Africa o in Brasile (che non hanno mai espresso numeri rilevanti ).
Per l’Italia, che non ha mai potuto contare sui flussi dalle ex colonie come Portogallo, Spagna, Francia e Regno Unito, la comunità italiana nelle Americhe è sempre stato un modo di fare “imperialismo” all’italiana. “Dove ci fosse un oriundo, lì ci sarebbe stata l’Italia”.
L’ attenzione verso la comunità emigrata è stata da sempre una bandiera della destra già da quando Mussolini invitava i “forestieri del nostro sangue “ad un bagno di Italianità”. A dicembre compie vent’anni la legge Tremaglia, che introdusse il voto all’estero e che prende nome dall’allora ministro degli italiani all’estero e noto esponente del Msi. Oggi comunità oriunda e turismo ad essa collegato sono un cavallo di battaglia anche per molti eletti di sinistra nelle circoscrizioni estere.
In realtà il turismo delle radici è una sottocategoria tutta italiana del turismo motivato dalla visita a parenti od amici, riassunto nell’acronimo inglese VFR (visiting friends and relatives). Il turismo VFR rappresenta la più antica motivazione di viaggio ed ancora oggi è la seconda motivazione personale dopo la vacanza per molte destinazioni primarie come l’Italia. Non solo per il turismo in arrivo , ma anche per i flussi contrari verso l’estero di Italiani e di stranieri residenti in Italia , ed anche per il turismo domestico sopratutto dal nord verso il sud in estate e durante le festività.
“La ventunesima regione” conterebbe tra i 60 e gli 80 milioni di oriundi italiani
Questa stima, che circola da molto tempo, è la principale argomentazione a sostegno dell’importanza del turismo delle radici. Qualche perplessità sorge quando si scende nel dettaglio dei principali paesi interessati e dei flussi migratori storici. Perché per la Germania, che ha un saldo migratorio più recente e più consistente del Brasile, si citano sempre solo gli iscritti all’ AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero)? Davvero la comunità italiana in Brasile sarebbe cresciuta da 1 milione circa nel 1920 a 30 milioni (+2.400 %), mentre la popolazione totale del Paese sarebbe passata da 30,6 milioni nello stesso anno (Fonte IBGE- Istituto Brasiliano Geografia Statistica) a 214 milioni oggi (+600 %) ?
La grande emigrazione italiana in Brasile è concentrata nel periodo tra il 1880 ed il 1920, ma non bisogna scordare che non è stata l’unica. Gli Italiani si sono integrati perfettamente in una società multirazziale, fatta di portoghesi, tedeschi, libanesi, giapponesi, nativi indiani e milioni di africani arrivati come schiavi.
Nella vicina Argentina, ben più piccola in termini geografici e di popolazione totale, la comunità oriunda ha conservato una maggior compattezza ed è stata meno esposta alla contaminazione avvenuta in Brasile. Non a caso secondo un vecchio proverbio “Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e credono di essere inglesi”.
L’incrocio tra le statistiche del turismo (lette bene) e quelle demografiche
Anche prendendo per buona la stima di 30 milioni di oriundi in Brasile, il dato va innanzitutto riparametrato allo scenario di riferimento. Prima della pandemia il totale dei turisti brasiliani all’estero era pari a circa 11 milioni (solo il 5% della popolazione totale), dei quali poco più di 4 in Europa e circa 800 mila in Italia, che si disputa con Francia e Portogallo il primato delle preferenze del mercato.
Da qualche anno circolano nuovi numeri sul potenziale del turismo delle radici ripetuti in comunicati della Farnesina, nei vari convegni e sui media, e probabilmente anche nelle dispense del sopracitato Master. La fonte sarebbe una rilevazione dell’Ufficio Studi di ENIT sui dati di Banca d’Italia: 10 milioni di turisti, 65 milioni di pernottamenti e 4 miliardi di spesa nel 2018.
Si tratta però di un clamoroso abbaglio. I dati di Banca d’Italia sono basati su autodichiarazioni alla frontiera di viaggiatori residenti all’estero a prescindere dalla loro nazionalità e si riferiscono a tutti i flussi di turismo VFR in Italia. Oltre agli oriundi ne fanno parte i flussi originati dalle comunità di residenti stranieri in Italia, così come i viaggi di chi visita amici e parenti che vivono, studiano o lavorano in aziende italiane, ambasciate, agenzie internazionali, basi militari, etc.
Depurato il dato per visita ad amici, la classifica dei pernottamenti daI principali paesi di provenienza per visita a parenti o famiglia include i soliti grandi bacini europei , compresi quelli non toccati dalla storica emigrazione italiana ma da quella più recente come Inghilterra (6ª nel ranking AIRE ) e Spagna, e quelli relativi appunto alle comunità di residenti stranieri in Italia. Un dato poco incoraggiante per gli albergatori italiani è quello relativo alla forte predominanza dell’alloggio come ospiti di parenti od in case di proprietà.
Anche i dati ISTAT del movimento negli esercizi ricettivi, che prescindono dalla residenza abituale dell’ospite e sono basati invece sulla nazionalità da passaporto, mostrano un sempre più crescente peso dei flussi dai paesi esteri con la maggiore comunità residente in Italia. Nel 2020 il turismo VFR è stato quello più resiliente: la Romania ha scalato la classifica dei principali mercati di provenienza posizionandosi al decimo posto a ridosso di quello USA.
Se gli Italiani iscritti all’AIRE nel mondo sono quasi 5,5 milioni, il Brasile ne conta circa 480 mila. Numero questo cresciuto vertiginosamente negli ultimi quindici anni grazie alla corsa al riconoscimento della cittadinanza italiana. Secondo il Rapporto Immigrati Mondo 2020 della fondazione Migrantes il Brasile dal 2006 avrebbe registrato un’ incremento del 221% di queste iscrizioni. Non sempre la cittadinanza comporta però una relazione più stretta con l’Italia visto che molti brasiliani, dopo averla acquisita, vanno a vivere in altri paesi dell’ Unione Europea più attrattivi.
Tuttavia, come evidenziato in questa analisi il peso della vecchia emigrazione, soprattutto dalle regioni del sud nel secondo dopoguerra, pur decrescendo per ovvie ragioni, è ancora rilevante. La conclusione più che condivisibile, almeno per il Brasile, è che “i figli di coloro che partirono 50, 60 o 70 anni fa, definibili come oriundi, hanno legami con il nostro Paese sempre più deboli”.
È davvero comune incontrare brasiliani che, felici, dicono di essere di origine italiana. Tuttavia, quando si chiede loro la provenienza, pochissimi sanno il nome del comune di nascita degli avi, qualcuno conosce la regione o sa dire soltanto se è al Nord o al Sud, mentre la stragrande maggioranza risponde che non lo sa, e non sembra preoccupata di saperlo.
Il confronto tra cittadini italiani in Brasile, presenze di turisti brasiliani, e comunità brasiliana in Italia (al 21º posto del ranking) dimostra che, dietro le solite 4 grandi regioni, alcune tra quelle con la maggior percentuale di iscritti all’AIRE, come Calabria e Trentino, sono nella parte bassa del ranking turistico, al contrario del Piemonte che ha meno attrattività turistica, ma conta con una discreta colonia di Brasiliani grazie alla FIAT (oggi Stellantis) d’oltremare.
Insomma quando si parla di turismo VFR non si può ignorare che l’Italia da Paese di antica emigrazione sia diventata terra di immigrazione.
Numeri a parte, il turista delle radici non è poi così diverso dagli altri.
Gli accademici si sforzano di teorizzare un turista delle radici diverso da quello che chiamano convenzionale, spesso bollato come turista di massa. Teorie che si sposano perfettamente con altri dogmi imperanti del turismo nostrano quali dispersione e destagionalizzazione dei flussi, turismo esperienziale od enogastronomico, e ripopolamento dei borghi. Quest’ultimo, che in realtà deve valere qualche decina di casi, va per la maggiore, ma chi si stabilisce definitivamente in un borgo diventa un cittadino e non è più un turista.
Si legge già di enti locali interessati a formare a loro volta esperti di turismo delle radici e di come quanto studiato in Calabria possa trovare sviluppo a livello nazionale. Non sarebbe poi così strano leggere a breve anche di certificazioni di territori o strutture “oriundi friendly”! Le risorse non mancheranno, visto che nel PNRR sono stati stanziati 20 milioni di euro per lo sviluppo del turismo delle radici.
Si continua a parlare di protocolli (dal contenuto non meglio identificato) con altri governi, di improbabili accordi con compagnie aeree e di sconti per i musei pubblici ( sic !).Qualcosa di già sperimentato con la speciale tessera turistica lanciata da ENIT durante il fascismo per i 10 milioni di Italiani sparsi nel mondo, e più di recente con la card denominata Made of Italians per Expo 2015, che avrebbe dovuto portare nello Stivale un milione di oriundi, e dell’esito della quale come spesso accade, non si è più saputo nulla.
La forte componente di Dna italiano nei Brasiliani è un vantaggio per la destinazione Italia, ma è qualcosa di “intangibile” che fa parte della storia come del quotidiano del Brasile. Sta nei gesti, nella gastronomia, nelle passioni e nei costumi di questo popolo, ma “captare e convogliare” questo Dna a fini turistici non è facile come in passato.
Almeno in Brasile non esistono più quelli che in Alitalia chiamavamo fino a 20 anni fa gli agenti di viaggi del segmento etnico con proprietari e manager italiani o discendenti, molti dei quali avevano iniziato come agenti marittimi per poi arrivare ad organizzare anche voli charter. Sorteggiavamo biglietti per le feste patronali, trasportavamo ingenti gruppi della comunità di oriundi grazie a condizioni speciali di prezzi ed eccesso di bagaglio al ritorno per le valigie pieni di salumi e di formaggi!
In realtà a parte l’aspetto affettivo della visita a luoghi di origine e parenti o la specifica attività di reperire personalmente la documentazione necessaria al riconoscimento della cittadinanza, il turista oriundo italiano è uguale a tutti gli altri.
I bisogni in termini di accoglienza, infrastrutture, offerta turistica sono gli stessi, così come impattano allo stesso modo sulla scelta del suo viaggio la distanza geografica, tempi e budget, con chi si viaggia, ma soprattutto il fatto che si tratti o meno della prima visita in quel paese.
L’Italia fa parte dell’immaginario collettivo dei brasiliani, più di quanto conti per i turisti di tutto il mondo. C’è davvero bisogno di promuovere il Bel Paese a chi ce l’ha nel sangue? La Destinazione Italia, soprattutto quella meno conosciuta, va promossa ai turisti cosmopoliti e di qualsiasi discendenza. Dobbiamo scrollarci di dosso la retorica nostalgica ed autoreferenziale, spesso zeppa di stereotipi come “pizza, mandolino e coppola“ che ci accompagnano da troppo tempo.
Un approccio in tal senso è quello del movimento nato dal libro-manifesto di Pietro Bassetti “Svegliamoci Italici”, rivolto non solo agli oriundi ma anche agli italofoni e tutti coloro che includono nel loro stile di vita i valori e le tradizioni del nostro Paese. Un target che sale a 250 milioni di italici per una stima che questa volta potrebbe essere davvero per difetto visto quanto è amata l’Italia e quanto vale il suo brand nel mondo.
Se la raccomandazione ad assessori e player del turismo ricettivo è di non riporre eccessive speranze nella consistenza di certi numeri e teorie, alla Farnesina dovrebbero preoccuparsi di ben altri e noti problemi: primi fra tutti il miglioramento dei servizi consolari ed un impegno fattivo per combattere le numerose truffe per il rilascio della cittadinanza.
La divulgazione della lingua è fondamentale e non bastano gli Istituti di Cultura. A San Paolo esiste un’ottima Scuola Dante Alighieri ed in alcune scuole pubbliche si studia l’italiano, mentre a Rio de Janeiro la scuola italiana ha chiuso trent’anni fa. Francia, Svizzera, Germania ed Inghilterra contano invece sui rispettivi istituti d’insegnamento. La lista della spesa è lunga. Servono vere agevolazioni fiscali, come l’abolizione dell’IMU sulla seconda casa, e di altro tipo per studenti, giovani o pensionati (non solo oriundi!) che intendano tornare o emigrare in Italia.
Infine, visto che per seguire l’Italia agli Europei qui in Brasile non possiamo contare su Rai Italia, anche una totale rivisitazione del suo attuale palinsesto servirebbe alla causa.
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