categoria: Vicolo corto
Interesse sul prestito a lungo vietato, ma divieto sempre disatteso
Interesse composto: l’espressione, di per sé, desta qualche sospetto e, talora, genera pure preoccupazione in chi si fa prendere facilmente dal “mal di economia”. Se a essa facciamo pure corrispondere il lemma pertinente, vale a dire il termine con cui, nella lingua di settore, si è soliti indicare questa tipologia d’interesse, le cose possono addirittura peggiorare. La parola al cui uso ci stiamo preparando è anatocismo, non a caso, una voce dotta che, nella pratica bancaria, consiste nella capitalizzazione degli interessi. In altri termini, gli interessi maturati sulla somma dovuta vengono capitalizzati, producendo così altri interessi.
Allo scopo di semplificare ulteriormente il processo di comprensione, aggiungiamo una nota esplicativa: sappiamo tutti che, in genere, la somma dovuta a una banca è gravata d’interessi nella forma “10 (capitale) + 2 (interesse)”, per esempio. Quando l’interesse si fa composto e prende forma l’anatocismo, la quota capitale su cui si effettua il calcolo diventa 12: ecco perché interesse composto o, addirittura, interesse dell’interesse! Anche se è ormai documentato dappertutto che gl’interessi passivi maturati non possono produrre altri interessi, le banche, purtroppo, non hanno smesso del tutto di capitalizzarli. Le numerose pronunce giurisprudenziali, in tal senso, ne sono una triste testimonianza.
In greco, lingua da cui questa parola composita deriva, è nota l’espressione τοκίζειν τόκον (tokìzein tòkon), ovverosia praticare l’usura. L’accezione di sfruttamento eccessivo dell’interesse, pertanto, è consolidata dalla storia e dall’amplissima letteratura di riferimento, sebbene, com’è noto, per la condanna ufficiale dell’usura sia necessario attendere i Padri della Chiesa. All’inizio, insomma, nonostante le controversie, ‘comporre gl’interessi’ non suscitava scandalo. Ἀνατοκισμός (anatokismòs) si compone di ανα- (ana-), sopra, e τοκισμός (tokismòs), parto, frutto e, di conseguenza, interesse, interesse composto, interesse degli interessi. Per traslazione, τοκισμός (tokismòs) si assume come il far l’usuraio, laddove il verbo τοκίζειν (tokìzein) significa proprio prestare a interesse o dare a usura. In latino, invece, essendo il termine più accessibile che in greco, almeno per il lettore inesperto, non è difficile rilevare la linearità morfologica del lessico: ănătŏcismus.
Θαρσύμαχε, πλοῦτον πολὺν ὤλεσας ἐξ ἐπιβουλῆς, / εἰς οὐδὲν δ’ ἥκεις ἄθλιος ἐξαπίνης / φεισάμενος, δανίσας, τοκίσας τόκον, ὑδροποτήσας, / πολλάκι μηδὲ φαγών, ὥστε τι πλεῖον ἔχειν. / ἀλλ’ εἴ μοι λογίσαιο τὸ πεινῆν καὶ τότε καὶ νῦν, / οὐδὲν ἔλαττον ἔχεις, ὧν τότ’ ἔδοξας ἔχειν: tharsỳmache, ploùton polỳn òlesas ex epiboulès, / eis d’hèkeis àthlios exapìnes /pheisàmenos, danìsas, tokìsas tòkon, hydropotèsas, / pollàki medè phagòn, hòste ti plèion èchein. / all’ei moi loghìsaio to peinèn kai tòte kai nyn, / oudèn èlatton ècheis, hon tot’èdoxas èchein [Per un’insidia un’immensa ricchezza, Trasimaco, hai persa, / e sei ridotto d’improvviso a zero. / Hai risparmiato, prestato, con frutti su frutti, hai bevuto / acqua, per arricchirti hai digiunato. / Pensa alla fame d’allora e d’adesso! Non meno possiedi / di quanto ti pareva un dì d’avere (LUCILIO, in Antologia Palatina, 11, 309, vol. III, a cura di F. M. Pontani, 1980, Einaudi, Torino, pp. 604-605)]
Interim cum ego in edicto translaticio centesimas me obseruaturum haberem cum anatocismo anniuersario, ille ex syngrapha postulabat quaternas [Frattanto, mentre io nel mio editto traslatizio avevo di norma che mi sarei conformato al tasso d’interesse dell’uno per cento al mese con interessi composti annuali, Scaptio, invece, in base all’obbligazione scritta pretendeva il quattro per cento (CICERONE, Epistole ad Attico, 5, 21, 11, vol. I, a cura di C. Di Spigno, 1998, UTET, Torino, pp. 499-500)]
Nel latino classico, interesse quale frutto del capitale veniva reso, per lo più, con ūsūra, il cui significato tuttavia era diverso da ciò verso cui il nostro pensiero oggi corre immediatamente. Come si è detto, la connotazione negativa è medievale ed è da rinviarsi all’opera di catechesi della cristianità. Sulle prime, infatti, ūsūra designa, da un punto di vista strettamente lessicale, l’uso o il godimento di qualcosa, originandosi da ūsum, participio passato del verbo deponente ūti, usare, servirsi di, fare uso di. In realtà, a Roma, la pratica di prestare contro interesse era assolutamente vietata, come testimonia una legge del 342 a. C., che però fu quasi del tutto disattesa: addirittura, si pensa che non sia mai entrata in vigore. Tuttavia, già dal 51 a. C., fu contemplato un interesse sui capitali prestati che ammontava al 12%. Sembra quindi che la transizione sia stata rapida o che non sia neppure esistita. Probabile che si trattasse di un proposito scomodo e assai sconveniente per la comunità economica dell’epoca: in ciò, il genere umano appare immutabile e caparbio, quasi ‘virale’ nel riadattarsi continuamente contro il legislatore di turno.
Cum enim uersuram facere publice necesse esset neque eius condicionem aequam haberent, semper se interposuit, atque ita, ut neque usuram umquam ab iis acceperit neque longius, quam dictum esset, debere passus sit. Quod utrumque erat iis salutare: nam neque indulgendo inueterascere eorum aes alienum patiebatur neque multiplicandis usuris crescere [Quando infatti l’erario necessitava di contanti per far fronte ad un rimborso, e non trovava condizioni convenienti, egli interveniva, senza mai pretendere pagamento d’interessi, ma anche senza tollerare che la restituzione fosse differita al di là del termine pattuito: condizioni entrambe vantaggiose per gli Ateniesi, poiché egli così impediva che, per troppa tolleranza, il debito invecchiasse o ingigantisse per l’accumulo degli interessi (CORNELIO NEPOTE, Vita di Attico, in Opere, a cura di L. Agnes, 1977, UTET, Torino, pp. 318-319)]
La storia della lingua e i significati profondi, molto di frequente, però, appaiono sorprendenti, come se ogni parola contenesse una sorta di rivelazione. Se, infatti, torniamo sull’esame di interesse, in qualche misura, ci rendiamo conto d’un’autentica ambiguità semantica, quantunque sia indiretta. Interesse non è altro che l’infinito del verbo latino intersum, infinito che è stato sostantivato proprio nel medioevo, periodo alquanto contorto e pieno di contraddizioni: da una parte la dominante teologia morale, dall’altra un’abilità impareggiabile nell’eludere i precetti disinteressandosene. Anche interesse è termine composto e la sua composizione rappresenta quella base morfematica grazie alle quale siamo in grado di comprendere l’ambiguità cui abbiamo fatto cenno: inter- (fra) ed esse (essere). Il vantaggio che il prestatore trae dal prestito, in sostanza, è fondato sul sintagma verbale “trovarsi in mezzo”, che dà significato al termine in questione. Non si può escludere, di conseguenza, che il valore ‘finanziario’ sia stato acquisito proprio in funzione d’un’ambiguità originaria che faceva ‘fruttare il capitale’ in modo illegittimo, ma senza che le autorità preposte intervenissero a punire il reo: “in mezzo”, per l’appunto.
Il Battaglia, nel GDLI, nel documentare la genesi di interesse nella lingua italiana, riporta il testo di un anonimo monaco del XIII secolo; la qual cosa rinvia direttamente alle contraddizioni epocali di cui abbiamo parlato in precedenza.
E ‘l terzo dì dopo la morte aparve al vescovo di notte e dissegli: vieni al sepolcro dov’io sono sepolto, e to’ti la scritta, che tu mi facesti di tua mano de’ denari ch’io ti diedi a dispensare a’ poveri; perocch’io ho riavuto il mio capitale e sono soddisfatto dello interesso (Corona de’ monaci, testo del buon secolo della lingua compilato da un monaco degli angeli, VIII, a cura di don C. Stolfi, 1862, Guasti, Prato)
Nel tentativo di dare un certo compimento alla sfera semantica finora trattata, cioè quella di anatocismo, usura e interesse, introduciamo un ultimo elemento, prestito. La sua analisi è più ricca e complessa di quanto, di primo acchito, si possa immaginare. Pertanto, non essendo questa la sede opportuna per un esame filologico accurato, rinviamo il lettore che volesse approfondire allo studio di Ernout-Meillet (2001) e Valpy (1828). Qui, ci limitiamo a riferire semplicemente che il verbo latino praestāre è un denominativo formato dal tema dell’avverbio praesto e può significare sia fornire, offrire, mettere a disposizione sia eccellere, primeggiare, essere superiore. Da quest’ultimo significato, avvalendosi d’un minimo di ‘fantasia deduttiva’, si può intuire come sia avvenuto il passaggio alla dimensione creditizia: colui che forniva il denaro era indubbiamente in una condizione di superiorità. Du Cange (1840), per esempio, distingue praestitus, usufrutto, da praestitum, mutuo, prestito. La distinzione può apparire ininfluente e speciosa, ma, a ben vedere, è decisiva, se si tiene conto del fatto che ūsusfructŭs nasce dall’incontro di ūsŭs e fructŭs e corrisponde, grosso modo, all’impiego del reddito (frutto).
Molto interessante, a questo punto, risulta l’occorrenza che troviamo in Svetonio perché ci dà l’idea d’una certa pratica in piena età imperiale.
Legatum etiam ex testamento Rusci Caepionis, qui cauerat ut quotannis ingredientibus curiam senatoribus certam summam uiritim praestaret heres suus, irritum fecit [Invalidò anche una clausola del testamento di Ruscio Cepione, che aveva disposto che ogni anno il suo erede versasse (desse) una determinata somma ad ogni senatore che faceva il suo ingresso nella Curia (SVETONIO, Vite dei Cesari, Domiziano, 9, a cura di F. Casorati, 1995, Newton, Milano, pp. 500-501)]
Battaglia e De Mauro, invece, sono concordi nel fare risalire l’uso in volgare al 1385 e forniscono come indicazione letteraria il Codice dei beccai ferraresi:
Per cason de prestedo de carne (…) adevegnisse alguna questione overe controversione pecuniaria (Testi volgari ferraresi del secondo Trecento, in Studi di filologia italiana, XXVI, a cura di A. Stella, 1968, Fausto Fiorentino, Napoli, p. 241)
In poche parole, chiedere interessi sul prestito è stato a lungo vietato, ma nessuno se ne dava pensiero: si era escogitato addirittura l’espediente della vendita revocabile di un bene (Cfr. Treccani online), una diavoleria bell’e buona, ma assai raffinata.
Bibliografia minima
BATTAGLIA, S., 1961-2002, Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino
DE MAURO, T., 1999-2000, Grande dizionario italiano dell’uso, UTET, Torino
ERNOUT, A., MEILLET, A., 2001, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Klincksieck, Paris
LIDDELL, H. G., SCOTT, R., 1982, Dizionario illustrato greco-italiano, a cura di Q. Cataudella, M. Manfredi, F. Di Benedetto, Le Monnier, Firenze
DU CANGE (Charles du Fresne), Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, 1883-1887, Niort, L. Favre
VALPY, F. E. J., 1828, An Etymological Dictionary of the Latin Language, London, A. J. Valpy
MONTANARI, F., 1995, Vocabolario della lingua greca, Loescher, Torino
CASTIGLIONI, L., MARIOTTI, S., 1966, Vocabolario della lingua latina, Loescher, Torino
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