categoria: Res Publica
Nell’Italia dei mille enti la governance del Pnrr non fa ben sperare
L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, presidente di Assob.it, autore di “Criptoattività, criptovalute e bitcoin” –
Il concetto di Recovery fund sta entusiasmando: recupereremo e #andràtuttobene!
Soldi a pioggia e tutto funzionerà.
Le riforme della Giustizia, del Fisco e della Pubblica Amministrazione vedranno finalmente la luce e sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno!
Non sono bastati slogan e refrain pubblicitari che da oltre un anno ammorbano le illudibili menti?
Nessuno pare voglia scendere a patti con la razionalità, la logica e la realtà italiana: è necessario mistificare la realtà per andare avanti, poiché “l’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari.” (Antonio Gramsci).
Le allucinazioni collettive, ahimé, sono destinate ad infrangersi sugli scogli dei fatti, solido iceberg per il Titanic collettivo.
La situazione non permette ottimismo, dato che l’italico disastro origina da mentalità profondamente radicate, ove si è smarrito il buon senso.
Nelle vicinanze di cantieri stradali o in alcune strade dissestate, viene posto il limite a 10 km: nessuno lo ha mai rispettato dato che a guardar bene, non è stato messo come limite oggettivo, quanto per eliminare in radice le responsabilità di chi svolge i lavori ovvero del gestore della strada.
Tale insignificante esempio non è un caso isolato, bensì l’effetto causato da un sistema distorto: infatti, la struttura italiana appare costruita seguendo “usualmente” questo schema:
1. la politica emana una normativa fumosa e demagogica, finalizzata alla tutela di un diritto tramite repressione (in Italia non vi è neanche la percezione delle fattispecie di reato diverse) senza alcuna analisi costi / benefici;
2. il ministero emette un regolamento di attuazione “rigido”, con interpretazioni “restrittive” e “punitive”, sovente in maniera incompleta ovvero ultra / contra legem;
3. L’applicazione viene esplosa in un rivolo di enti di supervisione, controllo e regolazione.
In questo marasma, ove le competenze si sparpagliano, il soggetto destinatario della norma si trova a dover giustificare a innumerevoli enti le proprie operazioni, con norme confuse e contraddittorie, di regola con autocertificazioni in cui la “dichiarazione di conformità” tranquillizza la pletora dei controllori.
Prevenzione non ne viene fatta, controllo nemmeno, programmazione, Dio ce ne scampi (non porta voti ed è faticosa) e tutte le decisioni sono prese in maniera istintuale.
Ovviamente, qualora qualcosa non vada secondo il verso giusto, il sistema necessita della ricerca del colpevole, pretestuosa, pervicace, sommaria, implacabile: il reo deve esserci per forza, poiché l’alternativa è la presa di coscienza di un sistema che non funziona ed è destinato, per sua essenza, a non funzionare, a causa della sua intima struttura e per le fragili e inconsistenti fondamenta su cui è in realtà instabilmente poggiato.
È assolutamente irrilevante, poi, se l’incolpato di turno venga assolto, magari dopo vent’anni di processi: l’importante è che venga esposto nudo alla mediatica pubblica gogna.
Il corollario è che l’attività principale di ogni operatore sia quella di allontanare da sé il rischio di essere additato come colpevole (ovvero le responsabilità) attraverso due sistemi (soprattutto nella Pubblica Amministrazione):
l’inazione, consistente nell’evitare di entrare in qualunque attività rischiosa ovvero prendere qualsivoglia decisione;
l’avvertimento, consistente nei vari richiami all’attenzione, nei consensi informati, atti obbligati etc.
Non per altro, nel momento in cui la pandemia ha obbligato la Pubblica Amministrazione a prendere decisioni quale conseguenza della situazione di emergenza, dopo i vari siparietti populistico-elettorali, stante la pietrificazione dell’intera struttura burocratica con assoluta incapacità di azione, la nomina è dovuta cadere su di un militare, l’unica professionalità rimasta nel pubblico in grado di prendersi la responsabilità delle scelte, un necessario dictator.
In uno Stato pesantemente ingerito dalla Pubblica Amministrazione, bulimico nella regolazione, seguire le stesse costituisce un atto contro natura, dato che difettano di buon senso, di equità e talvolta sono contrarie alle logiche economiche.
L’Italia è ammorbata da questa onnipresente mentalità che genera lo stritolamento del piccolo da parte del sistema (per avversione al rischio) e l’esaltazione del grande (per i vantaggi aziendali o personali che può generare).
In tale palude è più facile il successo per coloro che violano pesantemente le regole, poiché (i) le regole sono impossibili da rispettare, (ii) in caso di controllo le sanzioni sono uguali sia per chi quelle regole non è riuscito a seguirle, sia per chi ha scientemente deciso di non rispettarle.
L’incapacità di programmazione e controllo permette quindi la concorrenza sleale degli attori che non seguono le regole dato che ottengono margini superiori, maggiore capacità di movimento e velocità: chiedere un’autorizzazione, un permesso, una “benedizione” è costoso, lento e pericoloso per i corti circuiti normativi, mentre la repressione dei “predoni” è lenta, farraginosa e talvolta inconcludente.
Promettere, minacciare e proteggere, senza agire, mandando poi allo sbaraglio gli organi verificatori e delegando poi all’autorità giudiziaria qualunque intervento, pur di non affrontare i problemi e per gettare ancora di più nella minorità mentale il popolo italiano, ormai relegato al ruolo di suddito senza sovrano.
I mille enti, istituzioni, authority, agenzie, società statali, parastatali e concessionarie, peraltro, ben si guardano di perseguire l’interesse pubblico, impegnati nel gestire il proprio potere scaricando responsabilità e controlli su chiunque passi .
In tale guerra tra bande, il becero giustizialismo si esalta per la capacità di generare l’illusione di pulirsi la coscienza tramite la gogna del malcapitato di turno, reo di aver intrapreso in un paese oramai avviluppato nel suo declino radioso di diritti e di tutele.
La necessità di invertire tale circolo vizioso è assoluta, pena l’inutilità di qualunque Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che vedrebbe scorrere via l’ultima opportunità offerta al paese per la sua ripresa.
La linearità delle scelte, congiunta all’impossibilità di effettuare il solito scaricabarile, costituisce il primo mattone per poter invertire la tendenza.
Purtroppo il DL 31 maggio 2021, n. 77, recante: «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure” non pare intraprendere questa direzione, dato che introduce (art. 1 comma 4) sei nuovi organismi:
a) «Cabina di regia», organo con poteri di indirizzo politico, impulso e coordinamento generale sull’attuazione degli interventi del PNRR;
g) «Segreteria tecnica», struttura costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per il supporto alle attivita’ della Cabina di regia e del Tavolo permanente;
i) «Servizio centrale per il PNRR», struttura dirigenziale di livello generale istituita presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato;
p) «Tavolo permanente» il Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, organo con funzioni consultive nelle materie e per le questioni connesse all’attuazione del PNRR;
q) «Unità di audit», struttura che svolge attività di controllo sull’attuazione del PNRR ai sensi del Regolamento (UE) 2021/241;
r) «Unità di missione», l’Unità di missione di cui all’articolo 1, comma 1050 della Legge 30 dicembre 2020, n. 178, struttura che svolge funzioni di valutazione e monitoraggio degli interventi del PNRR;
Ogni centro di potere genererà le proprie procedure, circolari, interpretazioni e controlli, aumentando a dismisura l’incertezza, rendendo poi impossibile qualsivoglia controllo ex post.
L’inversione di tendenza potrebbe partire nel diminuire le strutture centrali ed intermedie, riordinare organi di supervisione distinguendoli da quelli di controllo con chiare attribuzioni nelle fasi di prevenzione, di controllo e di contrasto, evitando gli eccessi ed accettando alcuni avvenimenti come conseguenze dei rischi accettati, senza indispensabili ricerche di rei e colpevoli.
Ogni normativa europea ha una base di analisi solida, su cui è possibile valutare (e giudicare) motivazioni, il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi di proporzionalità, nonché analisi dei costi e dei benefici: l’Italia invece continua a colpi di decreto legge e successivi emendamenti (spesso proposti dagli stessi ministeri) imposti con il voto di “fiducia” o con decreti legislativi viziati da eccessi di delega.
Tale atteggiamento, congiuntamente alla paralisi della pubblica amministrazione, continua a far avvitare la Repubblica Italiana, incapace anche di rispettare i minimi requisiti richiesti dalle direttive comunitarie: gli esempi negativi da non ripetere sono molteplici, dalla mancata introduzione del Registro Italiano dei Titolari Effettivi richiesto dalla normativa antiriciclaggio europea (e già attivo in quasi tutti i paesi), alla mancata istituzione della Registrazione per gli Exchanger di valute virtuali (permettendo a chiunque di operare senza dare alcuna bussola agli organi verificatori), alle gare di appalto al massimo ribasso (stupendosi poi del mancato rispetto di minimi salariali o di versamento di contributi).
Per concludere, saccheggiando “La Ginestra” di Leopardi, è vitale recuperare ragione e pensiero scientifico, altrimenti verranno esaltate le magnifiche sorti e progressive dell’umana gente, quando in realtà si sta andando all’indietro.
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami.