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L’impatto della corruzione sugli investimenti diretti esteri in epoca di crisi
Post di Nicolas Giannakopoulos, presidente dello scientific board di Global Risk Profile –
Migliaia di ricerche e analisi hanno dimostrato l’impatto negativo della corruzione sul livello degli investimenti diretti esteri (foreign direct investments, Fdi) e conseguentemente sul Pil (1) dei Paesi. Sono stati costruiti e testati modelli per spiegare in dettaglio il meccanismo attraverso il quale l’incertezza, l’inefficienza e l’esistenza di sistemi di controllo alternativi e corrotti non solo riducono il volume degli investimenti esteri nei Paesi con un alto livello di corruzione, ma tendono anche a incentivare gli investimenti tra Paesi con lo stesso livello di corruzione e diminuire il volume di investimenti nei Paesi a bassa corruzione rispetto a quelli ad alta corruzione.
Tuttavia, da decenni, è stato osservato, sebbene a oggi non molto studiato, anche l’effetto inverso: ovvero l’aumento del livello di corruzione nei Paesi tradizionalmente a bassa corruzione quando hanno a che fare con Paesi ad alta corruzione. Questa tendenza non si riflette nella maggior parte degli studi a causa della difficoltà di trovare fonti affidabili per misurare la corruzione. In tal senso, la principale fonte utilizzata è il TI-CPI. L’indice, pur essendo da lungo tempo l’unico strumento esistente per misurare la corruzione, soffre di alcuni problemi di struttura: si tratta infatti di un indice basato sulla percezione e non sulla realtà dei fatti, che rimane ancora in gran parte sconosciuta, ed è inoltre un indice creato sulla base delle valutazioni rilasciate da gruppi di esperti dei vari Paesi.
Il recente sviluppo di strumenti più completi per misurare la corruzione ha visto in decrescita il ranking di Paesi come la Germania, la Francia o la Svizzera nel corso degli anni, con un’accelerazione durante la crisi Covid-19. Analizzando questa tendenza attraverso il modello Dunning (1988) si può osservare il deterioramento dei tre pilastri del modello OLI (Paradigma eclettico):
(1) possedere un vantaggio netto di proprietà rispetto alle imprese di altri Paesi,
(2) è più vantaggioso internalizzare piuttosto che vendere o dare in concessione a imprese straniere e
(3) alcune località estere sono più vantaggiose per l’impresa rispetto ad altre.
Gli ultimi dati forniti dalla “Italian Trade & Investment Agency” fanno ritenere che il nostro Paese sia tuttora un’economia molto aperta e un luogo accogliente per gli investitori, soprattutto dopo un certo numero di passi significativi effettuati per conquistare la loro fiducia e mitigare i fenomeni negativi, con una serie di riforme iniziate in piccola parte già nel 2011. L’Italia è ora classificata all’8° posto a livello mondiale e al 4° nell’UE nel “FDI Confidence Index” e, salvo aggiornamenti del dopo-pandemia, ha superato persino Paesi Bassi e Svezia.
Inoltre “tra i Paesi del G8, l’Italia è il secondo per minor flessione dell’export”, afferma Carlo Ferro, presidente di ICE “e questo contributo ha consentito di attenuare un più forte calo dei consumi interni. Inoltre, nonostante il calo delle esportazioni ci sono eccellenze settoriali, gli ‘Oscar dell’export’, che hanno performato positivamente su alcuni mercati, indice della capacità delle nostre filiere di resistere agli shock inaspettati“.
Altri modelli hanno introdotto la distanza tra i Paesi (non solo geografica ma anche culturale) come fattore principale per promuovere o scoraggiare gli Fdi. L’effetto opposto sugli investimenti diretti esteri è stato che i deflussi di trasferimenti illegali di denaro da Paesi corrotti a Paesi meno corrotti ha avuto un effetto boomerang di ritorno sui Paesi di provenienza del denaro di tali investimenti. Pochissimi studi sono stati impostati per confrontare il livello degli Fdi e quello del ritorno del denaro illecito ai Paesi “sviluppati” (2). Si stima che il denaro della corruzione restituisca 148 miliardi di dollari (AfDB, 2015) solo dall’Africa, mentre i flussi di denaro illecito raggiungono i 2,2 miliardi di dollari solo per l’Africa, fino al paradiso fiscale e ai Paesi sviluppati dell’UE.
Inoltre, l’illegalità della fonte di questi fondi crea illegalità all’interno del Paese di destinazione. Ad esempio, nel 2019 la Francia era ancora la più grande fonte di investimenti diretti esteri per l’Africa e, nello stesso anno, il parlamento francese ha adottato la legge denominata «Bien Mal Acquis» (beni male acquisiti) per consentire allo Stato francese di perseguire e recuperare questi rendimenti e inoltre preservare il proprio sistema dall’essere infettato dalla corruzione dei Paesi di origine degli stessi, alimentata dai propri Fdi.
NOTE
1) Egger, Peter, and Hannes Winner. “How Corruption Influences Foreign Direct Investment: A Panel Data Study” Economic Development and Cultural Change, vol. 54, no. 2, 2006, pp. 459–486; How corruption affect Foreign Direct Investments;
2) Tackling Illicit Financial Flows for Sustainable Development in Africa