categoria: Vicolo corto
Lavoro, quali settori sono stati protetti dalle politiche anti-Covid?
Post di Francesco Filippucci, dottorando in Economia del Lavoro alla Paris School of Economics. Ricercatore presso l’Osservatorio del Terziario, Manageritalia –
Un report del neonato Osservatorio del Terziario di ManagerItalia mette in luce come la crisi ha colpito in maniera fortemente diseguale i diversi settori economici.
La Figura 1 sottostante riporta, sull’asse orizzontale, la differenza in % tra il valore aggiunto del 2020 e il valore atteso secondo il trend stimato sugli anni pre-crisi in blu e in arancio la stessa deviazione percentuale dal trend per il 2020, ma per il numero di occupati. Duramente colpiti risultano i servizi di alloggio e ristorazione, con una perdita di valore aggiunto (VA) del 36% ed una perdita occupazionale del 7,5%. Al contrario, settori come quello dell’informazione e comunicazione hanno variazioni vicine allo zero sia per quanto riguarda il valore aggiunto che per quanto riguarda l’occupazione.
La stessa Figura 1 riporta infine, in giallo, il residuo di una regressione della perdita in termini di occupazione sulla perdita in termini di VA. Questa stima rappresenta quanto, data la perdita di valore aggiunto, la perdita occupazionale nel settore eccede la perdita che dovremmo attenderci in media. Settori come l’alloggio e ristorazione o sanità e assistenza sociale hanno perdite occupazionali in linea con le attese data la perdita di valore aggiunto, poiché riportano residui vicini allo zero. Invece, settori come le attività manifatturiere o l’istruzione hanno residui largamente positivi, testimoniando perdite occupazionali minori di quelle attese data la perdita di valore aggiunto. Infine, settori come il commercio, i trasporti e le attività artistiche riportano residui negativi: hanno quindi perdite occupazionali addirittura maggiori di quelle medie data la perdita del VA.
Il ruolo delle politiche del lavoro
In generale, emerge una considerazione: i settori non-terziari (manifattura, utilities, attività estrattive, e l’eccezione non casuale dell’istruzione) riportano perdite occupazionali minori rispetto a quelle che potrebbero essere attese data la diminuzione del valore aggiunto. In altre parole, esse si trovano al di sopra della linea di regressione nella figura, che rappresenta la relazione media fra perdita di occupazione e perdita di valore aggiunto in un settore. Per quale motivo? Viene spontaneo pensare che questo fenomeno sia legato alle caratteristiche dell’occupazione e alle forme contrattuali prevalenti in questi settori, interagite con le politiche del lavoro messe in campo per fronteggiare la crisi. Queste politiche – espansione della Cassa Integrazione Guadagni e blocco dei licenziamenti – si applicano esclusivamente ai lavoratori a tempo indeterminato (mentre per alcuni dei lavoratori negli altri settori viene previsto lo strumento dell’indennità).
La Figura 2 riporta l’opposto dei residui, ossia la distanza verticale tra i punti e la linea di regressione della Figura 1 descritta precedentemente, plottati sulla percentuale di lavoratori a tempo indeterminato secondo l’Istat, nel 2018. In generale si può vedere come, sempre con una regressione puramente descrittiva, siano i settori con una % maggiore di dipendenti a tempo indeterminato quelli che riportano una perdita occupazionale minore data la perdita di valore aggiunto intercorsa. Questa semplice constatazione va interpretata con cautela, ma potrebbe segnalare che le tutele messe in campo hanno protetto in maniera diseguale i lavoratori di diversi settori.
Da un lato, i lavoratori a tempo indeterminato, maggiormente presenti nei settori manifatturieri o in servizi come l’istruzione, protetti grazie al blocco dei licenziamenti e alla cassa integrazione. Dall’altro lato, vediamo invece che settori importanti dei servizi come il commercio, le attività artistiche e i trasporti hanno avuto una diminuzione dell’occupazione maggiore rispetto alla loro perdita di VA, a fronte di percentuali minori di lavoratori a tempo indeterminato.
È interessante infine notare come la relazione sia meno chiara considerando le ore lavorate. Il P-value della regressione nella Figura 2 in basso è infatti minore rispetto a quello della Figura 2 in alto, segnalando una maggiore significatività della relazione, pur rimanendo al di sotto dei livelli di confidenza standard, e l’R2 è maggiore. Un’ipotesi è che siano state proprio politiche come la CIG e il blocco dei licenziamenti – che preservano l’occupazione ma non le ore lavorate – ad attenuare la perdita di occupazione in settori come il manifatturiero, le utilities o l’istruzione.
Per concludere, è ragionevole pensare che vi sia forte eterogeneità anche all’interno dei singoli settori: molti studi con dati a livello di impresa già confermano forti differenze tra imprese in diversi sotto-settori o di diverse dimensioni e caratteristiche (ad esempio nel turismo e in caso di crisi di liquidità). La complessa eterogeneità dell’impatto della crisi rappresenta una sfida per le politiche per la ripresa. Indirizzare al meglio i sostegni è cruciale non solo per una questione di efficienza — non sprecare risorse, e non lasciare indietro settori importanti per uno sviluppo di lungo periodo – ma anche per evidenti ragioni di equità e di tenuta strutturale (vale a dire, evitare di perdere capacità produttiva). Il dubbio è che misure come la Cassa integrazione guadagni e il blocco dei licenziamenti manchino il bersaglio, lasciando scoperti lavoratori e imprese dei settori più colpiti.
Twitter @f_filippucci