categoria: Vicolo corto
Mottarone, riaperture e imposte di successione: cosa hanno in comune?
L’autore di questo post è l’avvocato Matteo Bonelli. Si occupa di societario e contrattualistica commerciale –
Che cosa hanno in comune le riaperture, i migranti e le imposte di successione? Che per ognuno di questi problemi si invocano soluzioni che puntano sulla suggestività, più che sui loro effetti pratici.
Si può sperare in un approccio un po’ più pragmatico? Forse no, a giudicare dal livello del dibattito politico. Ma ci sono ambiti in cui ci siamo riusciti. Per esempio ogni legge che ha un impatto sui conti pubblici deve avere una copertura economica. Dunque, per quanto si possa spararla grossa, prima o poi tocca fare i conti con la realtà delle risorse finanziarie disponibili.
Ma il calcolo degli effetti di una regola potrebbe non limitarsi ai suoi impatti sui conti pubblici. Prendiamo, per esempio, le regole sulla salute e sulla sicurezza. Possono incidere in modo rilevante sul benessere e sulla stessa vita delle persone. Sul piano quantitativo si potrebbe, per esempio, stimarne gli effetti in termini di riduzione dei danni e dei morti. Sul piano qualitativo modularle in ragione della gravità delle condotte.
Così avrebbe senso prediligere le regole più funzionali alla riduzione dell’entità dei danni e delle morti e sanzionare più duramente i comportamenti intenzionali e preterintenzionali rispetto a quelli colposi. Dunque, scelte che causano danni alla salute o la morte a molte persone – soprattutto se intenzionalmente o preterintenzionalmente – dovrebbero essere sanzionate con più rigore di scelte che le causano a poche persone, soprattutto se colposamente.
Ciò che sembra scontato teoricamente, non lo sarebbe se fosse calato nell’attuale dibattito sulla gestione della pandemia – le cui scelte hanno causato decine di migliaia di morti – e sul disastro della funivia del Mottarone, determinato da una condotta senz’altro grave, ma comunque meno rilevante sia sul piano quantitativo (poiché ha causato un numero inferiore di morti) sia sul piano qualitativo (poiché riferita a un comportamento gravemente colposo, ma non preterintenzionale).
Non voglio in alcun modo sembrare oltraggioso agli ‘aperturisti’ né indulgente verso i responsabili del disastro del Mottarone. Ma i numeri dei danni e dei morti sono chiari, e nettamente a sfavore dei primi. Né si può sostenere che molti danni e morti per Covid-19 non derivino da condotte preterintenzionali: le stime di quelli che si sarebbero potuti evitare con misure più tempestive e rigorose – e pure meno dannose per l’economia – sono state fatte in anticipo da vari esperti, fra cui l’ottimo Luca Ricolfi.
D’altronde è noto che molti errori di valutazione dipendano da disfunzioni del pensiero – i cosiddetti bias cognitivi – che ci impediscono di considerare i problemi correttamente. Gli psicologi e gli economisti comportamentali ne hanno individuato decine. Ciò che è meno noto è che abbiano anche individuato modi per correggerli e arrivare a scelte più allineate alle nostre intenzioni.
Alcuni bias cognitivi sono pure amplificati dai nostri pregiudizi. Per esempio il bias di conferma, che ci induce a considerare solo i fatti che confermano le nostre idee, e non quelli che le smentiscono, soprattutto quando hanno una forte carica emotiva. Sicché, per esempio, nelle discussioni sui flussi migratori consideriamo l’immagine di un bambino deceduto sulla spiaggia più rilevante del confronto fra i bambini deceduti con e senza respingimenti. In quelle sulle riforme fiscali tendiamo invece a farci suggestionare dalle proposte che mirano a colpire i ricchi – che nel nostro paese sono sempre ‘cattivi’ – o, viceversa, ridurle per tutti vagheggiando un’incerta emersione dell’economia sommersa.
Se c’è un ambito in cui converrebbe stimare i possibili effetti delle riforme è proprio quello fiscale, partendo soprattutto dalle opzioni di ‘arbitraggio’ sia fra le regole interne del nostro sistema tributario frastornante, sia fra quelle degli altri sistemi. Sembra esserne ben consapevole Mario Draghi, che ha giustamente troncato sul nascere la proposta di Enrico Letta di aumentare l’imposta di successione per fornire una dote ai diciottenni.
Sorprende un po’ la piega presa da uno dei pochi da cui ci non si sarebbe aspettato un cedimento alla retorica che oggi va per la maggiore, anche perché è chiaro che non si sia posto (o finga di non essersi posto) i problemi dei suoi effetti. È vero che l’Italia è uno dei paesi con le imposte di successione più basse, ma è anche vero che il gettito delle imposte di successione è basso ovunque. Come mai? Perché ci sono diversi modi per minimizzarne l’impatto, soprattutto per i più ricchi. Fra i più diffusi ci sono i trust a favore degli eredi, la schermatura dei patrimoni e lo spostamento della residenza in paesi in cui le imposte sono più basse. Senza contare che i passaggi generazionali delle imprese godono di una tassazione ancora più favorevole. Sicché un aumento delle imposte di successione finirebbe per gravare sui ceti medio-alti, ma non sui patrimoni dei più ricchi, né su quelli d’impresa.
A prescindere da ogni considerazione sul merito di un’imposta che si presenta come redistributiva ed equa, ma finirebbe per diventare regressiva e iniqua, occorre anche valutarne gli effetti sul piano del gettito. Oggi in Italia è inferiore al miliardo, nei paesi con le aliquote più alte oscilla fra tre e sei miliardi. È probabile che per arrivare a loro livelli non basti aumentarne l’aliquota ma occorra anche ridurne l’attuale franchigia di un milione, per non parlare di quella proposta. Altrimenti l’incremento del suo gettito sarebbe nullo o trascurabile, soprattutto in un paese come il nostro dove i contribuenti che dichiarano più di 300 mila euro sono lo 0,1%.
Ciò non significa, sia ben chiaro, che chi ha di più non debba farsi carico di un maggiore contributo allo sviluppo della società. Ma occorre farlo con strumenti diversi e che puntino sulla sussidiarietà orizzontale, anche perché il nostro settore pubblico non ha certo dato prova di efficienza e lungimiranza. Forse non è un caso che nei paesi con le imposte di successione più alte ci sia anche un maggiore sostegno dei privati al terzo settore e una crescente attenzione delle imprese alla sostenibilità.