categoria: Vicolo corto
Liberismo xenofobo: la dottrina delle nuove alleanze politiche è priva di basi scientifiche
Post di Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio, Andrea Califano, ricercatore presso l’Università di Milano. Fabiana De Cristofaro, ricercatrice presso il Ministero dell’Economia –
Tutti riconoscono che una crisi della globalizzazione è in atto, ma quasi nessuno nota che questa crisi è marcatamente asimmetrica. Le restrizioni alla libertà di movimento internazionale, attuate in questi anni da moltissimi paesi, hanno infatti riguardato le merci e soprattutto le persone mentre non hanno quasi mai toccato gli spostamenti di capitali.
Con il nuovo secolo, soprattutto dopo lo scoppio della grande recessione del 2008, sempre più voci si sono unite al medesimo grido d’allarme: un’emergenza migratoria è in atto. Nel vasto arcipelago delle destre nazionaliste, il monito si tinge spesso di espliciti connotati razzisti. Ma in generale, il convincimento che il fenomeno sia di enorme portata e dalle conseguenze economiche negative, sembra ormai largamente diffuso in quasi tutto lo spettro politico dei paesi occidentali, anche tra partiti di orientamento moderato e liberale.
L’implicazione politica di questo sentimento generale è sotto i nostri occhi: tra alti e bassi temporanei, c’è una tendenza di fondo ad adottare misure sempre più stringenti per bloccare i flussi migratori. L’indice DEMIG, a cura dell’International Migration Institute di Amsterdam, segnala in tal senso brusche oscillazioni delle politiche migratorie, con sempre più ricorrenti misure restrittive attuate da ben 32 dei 36 paesi OCSE dal 2008 ad oggi. Al contrario, nulla di tutto questo è avvenuto dal lato dei flussi finanziari. Nonostante le frequenti turbolenze nei movimenti internazionali di capitali e le crisi economiche concomitanti, rarissimi e solo contingenti sono stati gli interventi volti a ripristinare controlli sulla libera circolazione dei capitali. Lo testimonia l’indice KAOPEN, che misura le restrizioni nella circolazione globale dei capitali calcolate su dati del Fondo Monetario Internazionale: a partire dalla metà degli anni duemila questo indicatore si è stabilmente situato intorno allo zero, a denotare una sostanziale piena mobilità internazionale dei flussi finanziari. Un dato confermato dal fatto che dal 2008, su 36 paesi OCSE soltanto due hanno adottato rilevanti restrizioni sui capitali, peraltro temporanee.
Per quanto smaccata e pervasiva, questa asimmetria nella risposta politica ai flussi di persone e di capitali non trova giustificazione nell’evidenza scientifica. Anzi, numerose e autorevoli sono le ricerche dalle quali si evince che i movimenti migratori non presentano necessariamente relazioni negative con l’attività economica, laddove invece risultano molto più frequenti e significativi i legami tra libertà di movimento di capitali, instabilità finanziaria e crisi economica. In uno studio recente pubblicato sullo European Journal of Economics and Economic Policies [1] abbiamo fornito ulteriori elementi a sostegno di queste evidenze prevalenti: esaminando per la prima volta in modo congiunto afflussi estremi di persone e deflussi estremi di capitali riferiti a due campioni di paesi, OCSE ed Eurozona, abbiamo verificato l’esistenza di nessi statistici tra questi flussi e i rispettivi andamenti del pil, del pil procapite e della quota salari sul reddito.
La tabella seguente riassume i principali risultati della ricerca condotta. Per brevità, qui riportiamo solo le stime relative ai coefficienti delle variabili d’interesse e ci concentriamo sui risultati a maggiore significatività (indicata da almeno due o tre asterischi). Come si evince dai dati, massicci afflussi netti di immigrati sono associati a una crescita del Pil più alta in media di 1,3 punti percentuali nell’anno dello shock, mentre non sembrano avere implicazioni sul reddito procapite né sulla distribuzione del reddito tra salari e profitti. Al contrario, ingenti fughe nette di capitali sono associate a una crescita economica totale e pro capite più bassa nell’arco dei successivi cinque anni, con cadute del Pil fino a 1,4 punti percentuali annui (la tabella descrive un’analisi detta di “panel a effetti fissi”, ma l’evidenza è confermata anche adottando un approccio definito “event study” e risulta avvalorata da cinque test di robustezza; per approfondimenti si rinvia al paper).
Anche dopo la crisi pandemica, l’asimmetria nella reazione politica ai movimenti di persone e di capitali non si attenua ma sembra addirittura rafforzarsi. Dopo una lunga epoca di laissez-faire applicato più o meno indiscriminatamente a tutti i mercati, una nuova e più sofisticata ideologia delle relazioni internazionali pare dunque caratterizzare l’attuale fase storica. Questa nuova dottrina, che talvolta abbiamo definito di “liberismo xenofobo”, gode oggi di grande successo politico. A ben guardare, non si può escludere che anche grazie ad essa si stia formando il collante di inedite alleanze strategiche tra partiti liberali di establishment e destre nazionaliste, appena pochi anni fa considerate impensabili e oggi invece evocate e talvolta persino praticate con una certa disinvoltura. Se così andranno le cose, sarà bene ogni giorno ricordare che il liberismo xenofobo è una dottrina profondamente irrazionale, priva di basi scientifiche. È l’ennesimo segno oscuro di questo tempo.
Twitter @emibrancaccio
[1] Emiliano Brancaccio, Andrea Califano, Fabiana De Cristofaro (2021). Migrant inflows, capital outflows, growth and distribution: should we control capital rather than immigration?. European Journal of Economics and Economic Policies – Intervention, March.