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Il futuro non aspetta: ritardi e soluzioni per la digitalizzazione delle Pmi
Lo stato di digitalizzazione delle Piccole e medie imprese (Pmi) in Italia è ancora in fase preliminare nonostante esse siano le realtà imprenditoriali trainanti del Bel Paese. La pandemia e il lockdown hanno ancora di più sottolineato gli effetti delle scarse conoscenze digitali e la disomogenea digitalizzazione dell’imprenditoria sul territorio nazionale.
Se solo si pensa all’utilizzo dell’e-commerce da parte delle imprese, ad esempio, l’Italia si posiziona al 26esimo posto secondo l’indice Desi nella classifica dei Paesi europei. Anche lo Skills Outlook 2019 dell’Ocse, che considera le competenze per la digitalizzazione, l’esposizione sul mercato digitale e le politiche per favorire le competenze, colloca l’Italia tra le ultime in classifica. L’intensità delle Tic (Technology Information competences) sul lavoro, ad esempio, è di 0,2 su una scala che arriva a 1, ben 0,3 punti in meno rispetto alla media Ocse.
Lo stato dell’imprenditoria digitale in Italia
Secondo il report “Digital Infrastructure Index” pubblicato nel 2020 da Ernst & Young, la situazione italiana si presenta alquanto disomogenea. L’indice analizza il livello di utilizzo da parte delle imprese italiane e il grado di efficienza delle infrastrutture digitali in 107 province italiane. Vengono considerate sia le tecnologie già consolidate (ADSL, LTE) sia quelle più innovative come il 5G, dando però più importanza a queste ultime che sono quelle trainanti del processo di innovazione digitale. Secondo lo studio, la filiera produttiva italiana mostra due diverse facce. Non esiste un divario Nord-Sud perché il deficit tecnologico, ovvero la mancanza di un vero e proprio modus operandi digitale implementato a livello di impresa, è presente in tutta Italia. Si può rilevare, infine, tale disomogeneità anche all’interno di territori che sono molto vicini fra loro. Persino a livello di singola regione, infatti, si può osservare un divario fra le zone più sviluppate e quelle in ampio ritardo nella digitalizzazione dei processi di governance, di gestione dei flussi informativi e di produzione aziendale.
Cosa era stato proposto nella scorsa bozza del Pnrr?
La prima versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza enfatizzava la necessità di crescita digitale del Sistema Paese garantendo un accesso a Internet adeguato e facilitando la digitalizzazione di cittadini e imprese. Lo scorso esecutivo intendeva continuare il piano approvato nel 2015 contenente la strategia nazionale per la banda ultra-larga. Il progetto sarebbe dovuto essere integrato con le risorse aggiuntive del Pnrr, le quali avrebbero completato una rete di infrastrutture strategiche nazionali per i servizi digitali.
In aggiunta a questi investimenti infrastrutturali, erano stati racchiusi nel progetto “Transizione 4.0” ulteriori incentivi per alimentare la transizione digitale e verde delle imprese. Queste agevolazioni si basavano su un credito d’imposta per spese in beni strumentali, investimenti in ricerca, sviluppo e processi di innovazione digitale o di sostenibilità ambientale.
Guardando più nel dettaglio alla digitalizzazione delle Pmi, le misure proposte nella bozza del Pnrr erano piuttosto generali. Il documento si concentrava sull’espansione delle infrastrutture per la digitalizzazione e la messa a disposizione di nuovi fondi e bandi, dove le Pmi spesso faticano ad ottenere risorse dovendo competere anche con le aziende più grandi. Dunque, è auspicabile che il nuovo piano del Governo Draghi avanzi sforzi aggiuntivi per facilitare la transizione digitale con un occhio diretto proprio alle Pmi. Sarebbe utile favorire la digitalizzazione delle Pmi in modo integrato (nei processi e nella governance) e coeso su tutto il territorio nazionale.
Come promuovere la digitalizzazione delle Pmi?
Per digitalizzare le aziende è necessario che esse siano pronte ad abbandonare i modelli di business tradizionale al fine di semplificare e snellire i flussi di lavoro tramite l’automazione di procedure e attività aziendali. In quest’ottica, i processi aziendali devono essere quindi ridefiniti assieme all’organizzazione complessiva dell’impresa stessa. Questo perché digitalizzare non significa semplicemente dematerializzare documenti cartacei e acquistare nuovi dispositivi elettronici. Vuol dire implementare un vero e proprio nuovo modello di business che integri il digitale non solo nei processi produttivi ma, soprattutto per quanto riguarda le imprese di minori dimensioni, anche a livello della governance, ovvero delle procedure che regolano la conduzione di una società, e di gestione dei flussi informativi, cioè della comunicazione di dati rilevanti fra dipendenti, fornitori, clienti ed eventuali investitori.
Per questo motivo è fondamentale che il supporto statale punti a semplificare la complessità della transizione digitale considerando soprattutto gli ostacoli che esistono oltre a quelli finanziari, sui quali si concentrano le iniziative proposte nell’ultima versione del Pnrr. Alcune di queste barriere comprendono la carenza di competenze digitali da parte non solo dei piccoli imprenditori ma anche dei singoli clienti. Fattori rilevanti sono anche la complessità burocratica statale, che spesso rallenta i processi in atto, e la poca conoscenza degli incentivi disponibili per la digitalizzazione d’impresa, a causa di una comunicazione spesso poco chiara o tramite mezzi poco accessibili e inefficaci.
Questo processo potrebbe essere favorito ad esempio tramite la creazione di una piattaforma digitale che, da un lato, possa permettere alle Pmi di informarsi e accedere facilmente ai bandi e finanziamenti statali ed europei per quanto riguarda la digitalizzazione, mentre, dall’altro, possa stabilire il collegamento con partner e istituzioni che potrebbero aiutare a indirizzare le imprese verso il corretto utilizzo di tali risorse. Non bisogna solo guardare al bisogno di maggiori investimenti per la crescita delle imprese italiane, ma anche a come sviluppare un sistema che favorisca l’integrazione e le sinergie tra realtà differenti come Pmi, centri di ricerca, fornitori di servizi digitali e Stato.
L’impatto indiretto della digitalizzazione delle imprese sui giovani
Secondo la nuova “Indagine sulla digitalizzazione e sui risparmi reinvestiti nelle imprese” di Sap Concur, nel 2020 il 30,4% delle imprese intervistate ha registrato un risparmio immediato derivante direttamente dalla digitalizzazione, in modo più evidente al Nord, rispetto che al Centro e al Sud Italia. È importante sottolineare, allora, che, nell’83% dei casi oggetto dello studio questi risparmi sono stati reinvestiti nello sviluppo dell’azienda. Secondo quanto emerge dall’analisi, i manager potendo risparmiare sarebbero portati ad investire in benefici per i propri dipendenti, come borse di studio e corsi di formazione, servizi alla persona, smart-working e attività per il tempo libero. Tutti elementi che vanno a vantaggio dei giovani lavoratori.
La struttura occupazionale, poi, secondo l’Istat, è un altro tema indirettamente collegato alla digitalizzazione. Digitalizzazione e automazione possono ridurre l’impiego di lavoratori in processi più meccanici per lasciare il posto a mansioni di tipo più creativo. Da questo punto di vista, il Covid ha accelerato una tendenza che stava già maturando negli anni scorsi e che aprirà opportunità di lavoro diversificate e maggiormente creative per i giovani più formati, specializzati, flessibili e digitalizzati.
In conclusione, la competitività del tessuto imprenditoriale italiano può migliorare attraverso l’introduzione di un piano di innovazione e digitalizzazione delle Pmi accompagnato e integrato dall’interazione con lo Stato, i centri di ricerca e i fornitori di servizi digitali. La chiave del processo è la riorganizzazione aziendale da realizzare in parallelo alla digitalizzazione: oltre ai finanziamenti, bisogna accompagnare gli imprenditori in questo sviluppo e integrare il digitale a livello della governance, nella gestione dei flussi informativi, nei processi produttivi e anche più banalmente nei processi burocratici. In seguito alla digitalizzazione delle imprese e in particolare delle Pmi, non solo le mansioni richieste saranno più flessibili e creative, ma anche i manager, grazie al risparmio generato, saranno incentivati ad investire maggiormente in capitale umano a beneficio dei dipendenti. Il risultato sarà un ambiente lavorativo più sano, inclusivo e che fa ben sperare per i giovani che entreranno nel mercato del lavoro.
Testo a cura di Sveva Manfredi e Pietro Valetto