Indietro nel tempo grazie alle Entrate: si torni a stampare i registri su carta

scritto da il 13 Aprile 2021

L’autore del post è Massimo De Nardi, commercialista a Treviso; si occupa prevalentemente di consulenza d’impresa (continuativa, analisi di bilancio e operazioni straordinarie) e di contenzioso tributario –

Inutile nascondere l’amarezza: con la risposta n. 216 del 9 aprile 2021 l’Agenzia delle Entrate ha fatto scivolare il Paese 20 anni indietro, nonostante qualche velato quanto poco pragmatico appiglio giuridico fondato sulla distinzione tra “tenere” e “conservare” i documenti, fornendo un nuovo assist alla lobby delle software house dedite – anche – alla conservazione sostitutiva ma a discapito di migliaia di studi professionali, di milioni di partite Iva e finanche dello sviluppo del Paese.

Il Legislatore molto spesso criticato in materia tributaria, occorre essere onesti, sul tema delle semplificazioni per la tenuta dei registri contabili si è dato da fare e negli ultimi anni ha accelerato decisamente il passo, prima (art. 19-octies, comma 6, DL 16.10.2017 n. 148, convertito con modificazioni con L. 4.12.2017 n. 172) inserendo il co. 4 all’art. 7 del D.L. n. 357/1994 a mente del quale i (soli) registri Iva vendite e acquisti sono (erano) considerati regolari “in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza”, poi integrandone l’ambito applicativo (art. 12-octies, comma 1, DL 30.4.2019 n. 34, convertito con modificazioni con L. 28.6.2019 n. 58) a “qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto”.

AGENZIE DELLE ENTRATE

È vero, l’art. 3 del D.M. 17.6.2014 (in materia di “Conservazione dei documenti informatici, ai fini della loro rilevanza fiscale”) non è stato modificato ed in particolare il suo terzo comma sancisce che “(i)l processo di conservazione di cui ai commi precedenti è effettuato entro il termine (entro tre mesi dal termine di presentazione delle dichiarazioni annuali, N.d.A.) previsto dall’art. 7, comma 4-ter, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 1994, n. 489”, conseguentemente l’Agenzia delle Entrate ne deduce che nonostante la “novella” tutto resti immodificato, cioè occorra conservare digitalmente i registri contabili oppure stamparli su carta entro i suddetti termini.

Ma allora qual è (stato) il senso della modifica normativa di cui sopra?

Allo scrivente pare che il senso non sia (fosse) quello di derogare all’efficacia e alla portata della conservazione sostitutiva “a norma”, così come regolata – tra l’altro – dal Codice dell’Amministrazione digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82), ma bensì quello di sostituire l’esigenza di stampa (su carta) fino ad una eventuale richiesta da parte degli organi deputati al controllo dei registri stessi; in altri termini, solo se lo zelante funzionario non ritenesse affidabili i registri in versione nativa informatica vi sarebbe la necessità di “materializzarli” mediante stampa cartacea (potendo eventualmente riscontrare la corrispondenza tra versione stampata e versione “memorizzata”, così come potendo riscontrare la versione stampata con le risultanze di documenti ufficiali già acquisiti o acquisibili come le dichiarazioni fiscali e i bilanci d’esercizio), senza togliere ovviamente la possibilità di avvalersi facoltativamente e preventivamente della forte valenza legale riconosciuta al sistema di conservazione sostitutiva “a norma”.

Del resto, è noto agli operatori che nelle attività di verifica l’amministrazione finanziaria chieda le versioni native informatiche dei documenti proprio per poter essere agevolata nella ricerca e nella archiviazione dei dati da sottoporre ad analisi; è purtroppo anche noto che, nonostante la fatturazione elettronica abbia di fatto sostituito quella analogica (e dunque cartacea), i medesimi uffici chiedano le versioni .pdf dei documenti dei quali sono già nella teorica disponibilità (almeno per ciò che concerne i dati rilevanti ai fini tributari), rendendo poco onore ad alcune disposizioni del nostro ordinamento secondo le quali non potrebbero essere richiesti documenti già conoscibili/apprensibili.

Com’è possibile, poi, che una versione cartacea dei registri risalente a 4/5 anni prima della richiesta (senza dimenticare la recentissima sentenza n. 8500/2021 della Cassazione a sezioni unite che impone la conservazione di documenti per eventuali controlli anche oltre gli ordinari termini previsti dal Codice civile e dalle leggi tributarie) garantisca caratteristiche di immodificabilità, integrità, autenticità e leggibilità superiori rispetto ad una versione cartacea di “fresca” stampa o ad una versione nativa .pdf?

È infine noto che, fatta eccezione per ispezioni presso soggetti di maggiori dimensioni (che prevalentemente adottano già la conservazione sostitutiva “a norma”), le verifiche vengono poste in essere “a tavolino”, lasciando dunque il tempo necessario al soggetto verificato di stampare (eventualmente su carta) i registri.

Sul piano della difesa del contribuente, quali le conseguenze in caso di mancata esecuzione della stampa nei termini indicati? Non certo quelle pertinenti ad una omissione dalla tenuta delle scritture contabili visto che si tratta di un adempimento formale (come ricorda anche la rubrica dell’art. 7 del citato D.L. n. 357/1994).

Dunque, chi si avvantaggia da questa netta impostazione di cesura tra conservazione sostitutiva “a norma” e stampa cartacea? Non certo i numerosi addetti degli uffici amministrativi che debbono dedicarsi ad attività senza alcun valore aggiunto e tra l’altro inutile (come detto, l’Agenzia delle entrate chiede comunque le versioni native .pdf), non certo l’ambiente vista l’enorme mole di carta richiesta per assolvere a questo “obbligo” e non certo l’Amministrazione finanziaria che non ritrae alcun vantaggio dal disporre di un cumulo ingombrante e non facilmente elaborabile di dati. Debbo quindi ripetermi: chi si avvantaggia da questa impostazione?

In chiave prospettica e propositiva, non sarebbe forse più semplice che l’Agenzia delle entrate acquisisse i registri in formato strutturato (come quello utilizzato per la fattura o i corrispettivi elettronici), rendendo molto più efficiente e snello il sistema di conservazione dei documenti con rilevanza tributaria, anziché procedere con vani tentativi di precompilazione dei registri Iva? Questa soluzione non consentirebbe anche di “chiudere il cerchio” sui controlli automatizzati Iva tanto ambiti ed evocati?

Sembra comunque che un passo in avanti l’Agenzia delle entrate l’abbia fatto sul correlato ambito del pagamento dell’imposta di bollo in relazione ad alcuni registri (libri) contabili come giornale e inventari, ammettendo l’assolvimento della medesima imposta mediante modello F24 e computando il dovuto non più sul numero di pagine ma sul numero di registrazioni sottostanti, dunque senza dover ricorrere a tabaccai ed arcaiche “etichette” adesive, ancorché la conservazione avvenga su supporto materiale cartaceo invece che digitalmente “a norma”. Un ulteriore piccolo passo potrebbe essere fatto, in tal caso da parte del legislatore, allineando i termini di versamento a quelli di messa in conservazione dei registri/libri e dunque modificando l’infelice quanto improbo riferimento ai 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

Chi si accontenta gode dice il proverbio, però guardo con un po’ più di preoccupazione al futuro di questo Paese la cui amministrazione finanziaria impone ancora di stampare su carta i registri contabili nonostante l’era digitale e lo sforzo (comunque maldestro) semplificatore del Legislatore.

Twitter @denardimax