categoria: Res Publica
Dilemma codice appalti e Modello Genova: ecco cosa fare
Un argomento fortemente correlato alla futura gestione delle risorse dedicate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza riguarda la normativa sui contratti pubblici, affidata al D. Lgs. N. 50/2016 (“Codice” o, impropriamente, “Codice appalti” ). Si tratta di un tema molto importante, quindi giusto discuterne come si sta facendo, ma la confusione regna sovrana.
Fin dalla sua entrata in vigore, il Codice ha avuto una vita molto travagliata. Si perde facilmente il conto di tutte le modifiche intervenute finora, in appena cinque anni di vita. Il tutto a danno delle pubbliche amministrazioni e degli operatori economici. Attualmente si è all’ennesimo punto di svolta, ma al bivio c’è molta incertezza sulla direzione da intraprendere. Proviamo a fare una breve rassegna delle posizioni in campo.
I politici e il “Modello Genova”
È un periodo in cui la politica non perde occasione per parlare della lentezza che contraddistingue le procedure di appalto pubblico. Anche nella recente due giorni “Sud – Progetti per ripartire”, organizzata dalla Ministra Mara Carfagna, i politici invitati -Presidenti delle Regioni meridionali ed alcuni sindaci di capoluogo- hanno formato un unico coro, che suona pressappoco così: “Con queste regole e questo Codice, non riusciremo ad utilizzare adeguatamente le risorse del Recovery Fund”. Alcuni, come fanno spesso altri volti noti della politica italiana, invocano un “Modello Genova”, folgorati dalla celerità con cui si è riusciti a ricostruire il Ponte tragicamente crollato nell’agosto 2018.
Tuttavia, il Modello Genova non può essere applicato su larga scala. La ricostruzione del ponte è stata infatti preceduta dall’emissione di un Decreto-legge ad hoc (D.L. n. 109/2018), che ha conferito poteri straordinari al Commissario per la ricostruzione. Un Commissario che ha avuto la facoltà di operare “(…) in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (…)”. Ora, dubito che qualcuno possa pensare seriamente di utilizzare il potere legislativo ad hoc, su larga scala, per singole opere pubbliche. Oppure che si possano nominare decine di Commissari straordinari al di sopra di tutte le leggi, ad eccezione di quelle penali.
Ciò non significa, però, che non si possano riprendere alcuni passaggi del Decreto Genova, volti alla semplificazione dei processi amministrativi. Ad esempio, alcune accelerazioni introdotte sui controlli antimafia erano positive (D.M. 20 novembre 2018). In poche parole, il pubblico ufficiale esegue dei controlli su una banca dati nazionale. Se non risulta nulla a carico dell’impresa offerente, si può procedere. Nella prassi ordinaria, invece, è l’offerente che deve dimostrare di non avere legami con la mafia, con una lunga serie di dichiarazioni (provate a spiegare ad un investitore straniero la necessità di dover compilare dichiarazioni su familiari e conviventi di tutti gli amministratori della società offerente e di quella controllante…). Senza dimenticare gli infiniti oneri burocratici connessi al Monitoraggio Grandi Opere.
Le autorità indipendenti
Nella discussione si è inserita l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”), che -nelle proposte inviate al Governo in merito alla Legge annuale sulla concorrenza- auspica una strada di breve ed una di medio periodo per il Codice. Nel breve periodo, identificato in relazione alla gestione dei fondi di Next Generation EU, si suggerisce di sospendere il Codice, con applicazione diretta delle relative direttive europee. Nel medio periodo, invece, si dovrebbe revisionare il Codice, sulla base di una serie di principi.
La proposta dell’AGCM ricorda quanto contenuto nel Piano Colao. Come già scritto su questi pixel, quindi, sconta un limite importante, relativo ad una possibile limitazione della concorrenza in favore di una maggiore discrezionalità per la stazione appaltante, che potrebbe rivelarsi pericolosa. Ma non si può ignorare che alcune limitazioni citate dall’AGCM, come ad esempio su subappalto, avvalimento o appalto integrato, richiedono un sussulto della politica.
In ogni caso, il suggerimento dell’AGCM ha suscitato reazioni avverse, soprattutto da parte dell’ANAC e dei sindacati.
Le deroghe in scadenza
Con i cosiddetti “Decreto Sblocca-cantieri” (D.L. n. 32/2019) e “Decreto semplificazioni” (D.L.n. 76/2020) il legislatore ha introdotto alcune deroghe alla disciplina ordinaria, che andranno a scadere a fine 2021. Se ne sta valutando la proroga, come ricostruito nell’articolo di Giorgio Santilli su Il sole 24 Ore dell’8 aprile 2021.
Conclusioni
In sintesi, si oscilla tra chi vorrebbe un Modello Genova (alcuni politici), chi vorrebbe una sospensione temporanea del Codice con applicazione delle direttive europee del 2014 (Piano Colao e AGCM) e chi vorrebbe un intervento organico (ANAC e sindacati). In questo coacervo di posizioni, sembrerebbe che la Commissione istituita dal Ministro Giovannini (composta da membri del Ministero della Funzione Pubblica, dell’ANAC, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti), voglia optare per un prolungamento delle deroghe già vigenti, con qualche modifica.
Le novità saranno giudicate a tempo debito, ma la sfida che impone il nuovo corso europeo riguarda soprattutto la capacità di attuare riforme efficaci e sostenibili. Non si può continuare ad apportare correttivi temporanei, tra l’altro iniziati ben prima dello scoppio della pandemia. Ma allora, cosa si potrebbe fare?
- – Si potrebbe anticipare la strada di medio periodo proposta dall’AGCM, che si basa su principi condivisibili. Si tratta di principi volti soprattutto a limitare gli scostamenti dalle direttive europee e ad evitare la richiesta di oneri non necessari.
- – Si potrebbero superare alcune preclusioni ideologiche su subappalto e avvalimento, valutando anche il superamento del divieto di subappalto del subappalto. E non sarebbe un “liberi tutti” per la criminalità, perché la strada da perseguire è quella dell’incrocio delle banche dati pubbliche per verificare eventuali infiltrazioni. Di contro, sul versante legalità, sarebbe ben più pericoloso favorire innalzamenti di soglia per gli affidamenti diretti.
- – Si potrebbe restituire dignità al criterio dell’offerta più bassa, sacrificata sull’altare dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Quest’ultimo criterio, infatti, richiede immensi sforzi preparatori per le stazioni appaltanti, conferendo enormi poteri discrezionali in capo alle commissioni, ed aumenta il rischio contenzioso. Il criterio dell’offerta più bassa, invece, è di facile applicazione anche in caso di gare con valori enormi. La diffidenza verso tale criterio, dettata dal rischio di mancata serietà dell’offerta, può essere facilmente superata con i controlli sull’offerta anomala e con la presentazione di adeguate garanzie fideiussorie.
Una volta decisa la via da intraprendere, si può attuare rapidamente. In Italia, invece, si procede al contrario. La via non si decide e quando i tempi stringono si fa un qualcosa di pasticciato in via di urgenza.
Twitter @frabruno88