categoria: Res Publica
La nostra politica mangia draghi, una storia che si ripete
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
“Chi lascia la strada vecchia per quella nuova…”. “Ditemi, siete tutti vaccinati? E avete preso i ristori?”. “Era meglio quello di prima!”. Sono solo alcuni dei post che ridondano sui social network, che esprimono chiaramente quello che è un sentimento di disillusione nutrito da una fetta significativa di popolazione delusa dalle prime settimane di operato del nuovo Premier.
Per quanto mi riguarda, si trattava solo di aspettare. Il countdown è partito dal momento in cui Mario Draghi si è insediato (anzi, probabilmente da prima, da quando si è capito che avrebbe assunto l’incarico). Da lì in poi, sapevo che era questione di giorni. Ne sono passati pochi, in verità, dallo sbarco dell’ex Governatore di Bankitalia, ma sono stati sufficienti per l’innesco di quel meccanismo, a tratti perverso, che si riverbera lungo la storia del nostro Paese: il tourbilllon della politica che inghiotte gli eroi d’altri mondi.
È successo innumerevoli volte in passato. Sta succedendo oggi. Succederà ancora.
Non mancano i predecessori illustri, dal più giovane e recente Giuseppe Conte, all’arcinoto esempio di Berlusconi.
L’avvocato del popolo, l’uomo accademico, il professore, chiamato alle armi per dirimere una difficile convivenza tra Movimento Cinquestelle e Lega, sembrava inizialmente una figura di appoggio, un nominativo per assumere le vesti oggi di Salvini, domani di Di Maio (i due vicepremier dell’epoca). È stato molto di più, sopravvivendo alla caduta dell’idillio gialloverde, sino a diventare un leader politico a tutti gli effetti. Nonostante una crescita esponenziale di popolarità (e anche di consensi, partendo nel suo caso da zero), Conte non è rimasto indenne all’effetto “politica nostrana”, che mangia i suoi protagonisti, li risucchia nel vortice con effetti a tratti distruttivi e di automatica delusione delle aspettative inizialmente nutrite.
Ricordo, in tal senso, l’approdo di Berlusconi in politica. L’imprenditore visionario, l’uomo delle televisioni, dei successi intercontinentali col Milan, chiamato a condurre il Paese come una delle sue aziende, per farlo prosperare e luccicare oltremodo. Anche in questo caso, nonostante la sopravvivenza per quasi trent’anni (includendo quelli a venire), il monte della disillusione è cresciuto sempre di più, sino all’esplosione (consistita nell’enorme ridimensionamento del suo partito).
Questo fa la politica: accoglie gli eroi provenienti da altre realtà, il mondo accademico, l’imprenditoria, e li avvolge nella propria rete, li risucchia sino a renderli antieroi. Celebrità, fenomeni capaci di rendere tantissimo in un diverso campo d’azione, difficilmente replicano i loro successi quando scendono in politica.
Cerchiamo di capire il perché.
Intanto, non va ignorato il contesto o quel che potremmo definire atmosfera. Se in un’azienda si ha il tempo di produrre risultati (peraltro misurabili con numeri), la politica è piena di avvoltoi, voci parlanti pronte a dire tutto e il contrario di tutto, a mettere in discussione o in cattiva luce una qualunque azione. Ognuno prende le proprie parti e giammai un’iniziativa viene condivisa e supportata ad ampio raggio. Questo è un primo ingranaggio del meccanismo: gli oppositori si sfrenano ad inveire contro chiunque sia schierato dall’altra parte e sia chiamato a prendere decisioni, qualunque esse siano.
Queste voci mettono in cattiva luce il premier di turno, creano automaticamente un’atmosfera negativa nei suoi dintorni. Per fortuna, in altri settori ciò non avviene, se non in modo marginale.
Un secondo aspetto può individuarsi, a mio parere, nella vischiosità del sistema, che rende particolarmente difficile muoversi ed attuare i piani. Così che i nostri eroi scoprono ben presto (o lo sapevano già?) di poter fare forse il 10% di ciò che avevano in programma. L’attuale sistema è concepito in maniera tale da rendere quasi impossibile la realizzazione di un preciso programma politico, potendo contare peraltro il più delle volte su una maggioranza risicata in Parlamento e dovendo sottostare a quelli che non esiterei a chiamare i ricattucci delle varie forze che servono per tenere a galla la barca. Una libertà di movimento limitata, che difficilmente si trova in altri contesti, che limita fortemente la capacità di esprimersi e, di conseguenza, portare risultati, se non altro in tempo relativamente breve (come gli “stakeholders” richiedono).
Un terzo punto può essere individuato proprio nei “risultati”, o meglio nel concetto di ciò che si ritiene di dover perseguire o raggiungere, nonché nella capacità di esprimere e di misurare gli stessi. Gli interessi in ballo, da tutelare, sono molteplici. L’economia può sembrare un argomento predominante (e lo è, perché dalla crescita economica di un Paese dipendono molti altri fattori legati al benessere), ma certamente non è l’unico e concorre con interessi parimenti meritevoli, che viaggiano però su direttrici d’intervento di segno opposto, con necessità di una contemperazione assai complessa.
È inutile, quindi, che continuiamo ad accogliere altri eroi, per farli divorare dal sistema e bruciarli.
Come si può (quantomeno tentare di) ovviare? Domanda e risposta da un milione di dollari. Ma proviamo ad individuare dei capisaldi, alla luce degli aspetti evidenziati in precedenza.
In primis, per poter esprimere una linea d’intervento è indispensabile potersi muovere con le spalle coperte da una maggioranza forte. Cosa che è difficilmente ottenibile con l’attuale sistema elettorale, che perciò va cambiato e concepito secondo nuovi parametri. Anche qui il problema è che ognuno tende a voler disegnare il meccanismo elettorale secondo quanto gli fa più comodo. E qui sorge la seconda necessità, il secondo caposaldo che passa necessariamente per l’abbandono di quell’atteggiamento volto a perseguire unicamente l’interesse personale e/o di partito. Ciò implicherebbe, del pari, che l’opposizione facesse opposizione in maniera costruttiva e non seguendo lo schema “il contrario di tutto, a prescindere”.
E, infine, la possibilità di ottenere, a giochi fatti, una larga maggioranza vera e non di emergenza (o quantomeno una maggioranza che consenta una sufficiente libertà di movimento ai chiamati in causa) sarebbe anche l’assist giusto per poter proporre dei programmi chiari, sin dalla fase pre elettorale, con la capacità, questa volta, di poterli (e volerli) concretamente perseguire ed attuare. Così dando una risposta anche al dilemma di quali siano i risultati “giusti”, individuandoli in ciò che avranno scelto i cittadini elettori.
Perché non dimentichiamoci che la democrazia poggia le proprie basi nella volontà dei cittadini elettori, ormai “inerti” da troppo tempo. E nel frattempo la politica ha mangiato più di qualche drago.