categoria: The Economiste
Imprese femminili: 4mila in meno per il Covid e un fondo per rilanciarle
Post di Eleonora Maglia, giornalista. Eleonora svolge attività di ricerca e pubblicazione per il Centro di documentazione Luigi Einaudi di Torino –
Le imprese guidate da donne sono oltre un milione e 336mila, il 22 per cento del totale imprese, ma a fine 2020 ne risultavano 4mila in meno rispetto al 2019. Il calo del numero di imprese femminili dal punto di vista geografico è stato maggiore nel Centro Nord (nel Mezzogiorno si è registrato un +0,26%) e, ragionando per classi di età delle dirigenti, ha interessato di più le imprese guidate da under35, dove in un anno la contrazione è stata pari a -0,98%: le attività di giovani donne sono passate dal 12,02 per cento del totale nel 2019 all’11,52 per cento nel 2020 (Osservatorio dell’Imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere). Se la crisi precedente non ne ha arrestato la crescita – che, tra il 2010 e il 2015, registrava un incremento di 35mila unità (Rapporto ImpresaInGenere, 2016) e che, negli ultimi 5 anni, ha segnato un incremento del +2,9 per cento contro un equivalente maschile di +0,3 per cento – non si può dire quindi lo stesso rispetto agli effetti per Covid-19.
LE IMPRESE FEMMINILI IN ITALIA. Dal Rapporto Imprenditoria Femminile 2020 risulta che le imprese femminili presenti nel territorio nazionale sono per lo più localizzate al Sud, in termini di tassi di femminilizzazione, (Molise, Basilicata ed Abruzzo) e, al Nord, in termini di numerosità (179.728 in Lombardia) e nei settori Wellness, Sanità e assistenza sociale, Moda, Turismo e Cultura, e sono relativamente più giovani sia per età dell’imprenditrice che dell’impresa stessa, oltre a registrare una maggiore intensità straniera (149mila). È interessante notare che si registra una dinamica Sud–>Nord, con il 9,8 per cento di imprenditrici nate nel Mezzogiorno che fondano un’impresa al Nord (contro il 12,3 per cento maschile) e il 4,2 per cento di donne nato al Centro-Nord che fondano un’impresa nel Mezzogiorno (contro il 3,3 per cento maschile).
Rispetto ai risultati d’impresa, nonostante le piccole dimensioni (il 97 per cento delle imprese femminile impiega meno di 9 addetti e il 62,3 per cento solo un addetto), la minor presenza nel settore dell’Industria (11,3 per cento contro un equivalente maschile del 27 per cento) e la digitalizzazione rallentata (il 19 per cento ha adottato o sta adottando misure 4.0 contro il 25 per cento delle imprese non femminili), le performance sono migliori come pure l’orientamento all’innovazione, agli investimenti green (+31 per cento ha investito in sostenibilità ambientale contro il 26 per cento delle altre imprese) e alla responsabilità sociale d’impresa (il 72 per cento delle imprese femminili ha adottato programmi di welfare aziendale contro il 67 per cento del resto delle imprese).
PERCHÉ OCCORRONO IMPRENDITRICI DONNE. Secondo il Rapporto dell’Ufficio delle Attività dei Datori di Lavoro dell’ILO, le donne in posizioni apicali migliorano i risultati d’impresa e facilitano l’attrazione di talenti. Infatti, nel 57 per cento dei casi, risultano incrementi nei profitti fino al 20 per cento e, nel 54 per cento dei casi, si riscontrano sensibili avanzamenti nella creatività e nell’innovazione oltre ad un riposizionamento positivo della reputazione aziendale. Si tratta di un potenziale che andrebbe sostenuto, perché nonostante la maggiore volontà e l’alta formazione (il 41 per cento possiede una laurea contro un equivalente maschile del 59 per cento e il 24 per cento dichiara una spinta alla valorizzazione delle proprie competenze contro il 21 per cento maschile), permangono alcuni ostacoli culturali che fanno ritenere inconciliabile l’impegno professionale ad esempio con la maternità o gli impegni di cura.
Vi sono poi altri aspetti critici, tra cui l’accesso al credito, per il quale vengono chieste maggiori garanzie sia reali che di terzi che di solidità finanziaria e di crescita economica (le richieste esitano poi in tassi di rifiuto nell’8 per cento nel caso di imprese femminili contro un equivalente maschile del 4 per cento) e l’andamento negativo dell’economia. Se a causa del Covid-19 oltre la metà delle imprese hanno dichiarato una riduzione del fatturato, senza differenze di genere, per quanto riguarda invece le prospettive di ripresa, le imprenditrici donne prospettano un ritorno ai livelli pre-pandemici ritardato rispetto agli equivalenti maschili (29 per cento contro il 34 per cento non femminile) e ricorrono maggiormente alle misure di sostegno alla liquidità (28 per cento contro 20 per cento).
PROGETTI PER IL RILANCIO. A sostegno delle donne che scelgono di creare un’impresa, anche diffondendo una nuova cultura a riguardo, sono stati istituiti il Fondo Nazionale Innovazione e il Comitato Impresa Donna, con una dotazione di 20 milioni di euro per il 2021 e il 2022 per contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero o agevolato, oltre a incentivi e percorsi di assistenza tecnico-gestionale. Vi sono poi anche iniziative associative storiche come Il Giro d’Italia delle donne che fanno impresa, oltre a progetti che nascono dal basso per accompagnare e sostenere le start-up, come la Carica delle 101, una community di imprenditrici, manager e professioniste. Tutto per incentivare o ri-incentivare la spinta a mettersi in gioco.