categoria: Tasche vostre
Reddito, ecco come il latino ci aiuta a capire che cos’è
L’economia è fatta di modelli, si basa cioè su delle ‘semplificazioni’ matematiche con le quali lo studioso, attraverso l’osservazione e l’analisi di una certa quantità di dati, tenta di elaborare leggi e paradigmi econometrici. Questa definizione di metodo, per certi aspetti sommaria, ci dà un’idea dell’attività incessante che un vero economista deve svolgere allo scopo di rispondere alle esigenze d’uno Stato o, più in generale, d’una comunità. In fatto di scuole di pensiero, è noto ai più che gli esperti finiscano spesso col dare vita a discussioni molto animate, talora addirittura asperrime e oltraggiose, giacché ciascuno rivendica il primato delle proprie conclusioni, considerando inadeguato il lavoro altrui.
A causa delle continue schermaglie, s’è ormai diffuso il convincimento secondo cui l’economia è una scienza inesatta: dal nostro punto di vista, che non è quello dell’economista, bensì quello del linguista che studia il linguaggio dell’economia, si tratta di un giudizio frettoloso e approssimativo, generato, il più delle volte, dall’incapacità di comunicare il dato scientifico. Molto di frequente, infatti, l’economia è affidata a una lingua di settore inaccessibile ed è ‘troppo’ mediata dai giornali. Insomma: gli economisti che hanno a cuore la divulgazione e, soprattutto, sanno praticarla sono pochi. Quando un’analisi o una previsione arriva ai media, è ormai troppo tardi: vi giunge talmente distorta che il cittadino comune vede o solo il male o solo il bene.
La stessa disputa tra i ‘pro-euro’ e gli ‘anti-euro’, di per sé, è tanto più ridicola quanto più i sostenitori dell’una o dell’altra fazione si sforzano di accreditare il proprio discorso delegittimando quello del presunto rivale. Nella scienza, male e bene non esistono. Non a caso, i modelli, cui abbiamo fatto cenno in apertura, sono costituiti da variabili, non già da elementi fissi e incontrovertibili; le variabili, a propria volta, sono in relazione le une con le altre e sono espresse da funzioni. Di conseguenza, ogni modello può essere perfettibile – senza dubbio –, tuttavia chi rispetta i parametri e le condizioni di sviluppo di un protocollo scientifico ed è onesto, ossia non asservito a interessi di partito, non può di certo prendere la proverbiale cantonata o, comunque, non può dire delle sciocchezze.
Un’altra notazione da aggiungere e sicuramente da non trascurare è quella che concerne la differenza tra flusso e stock. Una variabile di stock è data dall’esito di una misurazione effettuata in un momento determinato, mentre quella di flusso è rilevata in un intervallo di tempo. Col proposito di offrire al lettore un esempio proficuo e che sia pertinente all’indagine in corso, segnaliamo due termini: reddito e patrimonio. Non si fa fatica a descrivere il patrimonio come uno stock, poiché viene registrato come una sorta di ‘valore a saldo’ – per intenderci –, proprio nel momento in cui decidiamo di ricavarne la stima. Diversamente, il reddito è un vero e proprio flusso, essendo una grandezza formata da operazioni, scambi e, soprattutto, in un arco temporale più ampio che nel caso precedente. Dal reddito, infatti, si giunge alla ricchezza del singolo contribuente e dell’intero paese.
Quando consultiamo l’ISTAT e leggiamo “Nel 2020 un milione di persone in più in povertà assoluta”, acquisiamo informazioni in merito alla riduzione della ricchezza e, di conseguenza, del reddito. Parlare di PIL vuol dire parlare, giocoforza, della capacità di un paese di produrre reddito. Allo stesso modo, il reddito pro capite è definito come la capacità del singolo contribuente di produrre reddito; dalla qual cosa si ha il rovescio della medaglia: il reddito del cittadino genera, a propria volta, la base imponibile per le imposte. A ogni modo, è bene precisare che, in ambito macroeconomico, reddito e spesa si equivalgono: semplicemente: ogni euro che spendiamo diventa reddito per il venditore.
In questa direttrice d’analisi, procedendo oltre e dovendo fare una scelta lemmatica, per così dire, ci dedichiamo alla ricostruzione del significato originario di reddito, un sostantivo mutuato in modo paradigmatico da un verbo latino e il cui uso specifico e concreto viene fatto risalire alla tarda latinità. Prima di entrare nel merito della proposta, abbiamo il dovere di delimitare correttamente l’area di lavoro. Le parole che usiamo rappresentano il nostro mondo, lo mettono interamente a nudo, anche quando ci affidiamo agli artifici retorici o alla menzogna. Nello stesso tempo, queste parole recano in sé valori storici e designano legami e forme d’appartenenza. Oggi, secondo le devianze ‘strutturalistiche’ e ‘formalistiche’ di alcuni sedicenti e vanagloriosi riformatori, il latino e il greco sarebbero lingue inutili. Noi, rifiutando la polemica, ci permettiamo di far notare che l’efficacia delle lingue romanze, una volta abbandonato il latino, si muterebbe in un che di disfunzionale e fuorviante o – vogliamo osare – addirittura quasi babelico. Il termine che abbiamo scelto rappresenta una delle tante prove.
L’area semantica di reddito è inscritta, in modo inequivocabile e netto, nel paradigma del verbo reddo: reddo, reddis, reddidi, redditum, reddĕre. A beneficio del lettore che non conosce il latino, ricordiamo che reddo e reddis sono, rispettivamente, la prima e la seconda persona del presente indicativo, reddidi è la prima persona del perfetto indicativo, che corrisponde al nostro passato remoto o al nostro passato prossimo, redditum è il supino attivo, che in italiano manca, ma che adesso diventa l’elemento verbale da noi indagato, e reddĕre è l’infinito. Fin da ora, ci si può giovare della limpida congruenza e s’intuisce chiaramente e senza sforzo quanto sia importante questo ‘precedente linguistico’.
In un buon vocabolario di latino, troviamo i seguenti significati: rendere, ridare, restituire, dare in compenso, pagare, soddisfare. In altri termini, già nelle origini classiche, il concetto della relazione socio-economica, quantunque non razionalizzato, è ben delineato. Il reddito è garantito e concesso sulla base d’un’attività svolta: se così non fosse, non esisterebbero le forme della restituzione, del compenso e della soddisfazione. Emerge limpidamente, tra le altre cose, la natura del flusso quale relazione almeno tra due attori sociali, unitamente alla valutazione della prestazione e a una qualche unità di misura di pertinenza.
Come abbiamo detto in precedenza, il protocollo scientifico dev’essere rigorosamente rispettato, pertanto rivolgiamo la nostra attenzione alle fonti letterarie, grazie alle quali grammatici e filologi e, in generale, linguisti hanno potuto costruire i propri ‘modelli’, quei modelli di cui anche inconsapevolmente ci serviamo.
Te, boves olim nisi reddidisses / per dolum amotas, puerum minaci / voce dum terret, viduus pharetra / risit Apollo. [Apollo minacciava / terribile il fanciullo, che rendesse / le vacche tolte con l’inganno: invano / si cercò la faretra (ORAZIO, Odi ed Epodi, I 10 vv. 9-12, vol. 1, a cura di A. Traina ed E. Mandruzzato, 1996, Fabbri, Milano, pp. 90-91)]
Un primo piano di significato è indubbiamente quello della restituzione forzosa; il che potrebbe far pensare a qualcosa di diverso e lontano dalla ricchezza che l’uomo è in grado di produrre. Tuttavia, è bene riflettere sue due componenti: quella che riguarda la figura del dio Apollo, la cui legge è superiore a quella degli uomini, e quella dell’inganno. Di conseguenza, a ben vedere, la relazione e lo scambio insito in essa sono pienamente rispettati.
Lars Tolumnius, rex Veientium, quattuor legatos populi Romani Fidenis interemit, quorum statuae steterunt usque ad meam memoriam in rostris: iustus honos: eis enim maiores nostri qui ob rem publicam mortem obierant pro brevi vita diuturnam memoriam reddiderunt [Il comandante Tolumnio, re di Veio, fece uccidere a Fidene quattro ambasciatori romani, le cui statue erette sui rostri io ricordo bene. Onore meritato, in quanto i nostri antenati vollero dare a coloro che si erano sacrificati per la patria un ricordo imperituro a compenso della brevità della loro vita (CICERONE, Filippiche, IX, II, 4, in Le orazioni, vol. IV, a cura di G. Bellardi, 1978, UTET, Torino, pp. 488-489)]
Cicerone, che, in fatto di testimonianze e riscontri, è uno degli autori più utilizzati dai lessicografi, ci permette di stabilire una perfetta corrispondenza tra ciò che l’uomo guadagna o si conquista concretamente e ciò che gli viene riconosciuto. Questa forma di reddito è piuttosto esplicita: un nobile antecedente, per così dire.
Nunc, o caeruleo creata ponto (…) / Acceptum face redditumque votum, / Si non illepidum neque invenustum est. / (…) [Ora, o Dea nata dall’azzurro mare (…) / considera accettato il voto ed esaudito / se non è privo di spirito e indegno della grazia d’amore (CATULLO, Le poesie, I, c. 36, vv.11 e 16-17, a cura di F. Della Corte, 2006, Fondazione Lorenzo Valla, A. Mondadori, pp. 56-59)]
Con Catullo, concludiamo la pretta classicità a supporto della funzionalità semantica primeva di reddito. Quest’ultimo brano, sulle prime, potrebbe apparire mellifluo o esornativo, ma, a un esame profondo, ci si rende conto che solo qui si ha il vero concetto di appagamento, specie se posto in relazione (ancora una volta!) con la dea. La lingua si costruisce sulle occorrenze, non sulle perifrasi o sugli espedienti provvisori degli azzeccagarbugli che sanno stare comodamente su qualche sedia dottorale.
In sostanza, riepilogando, il termine reddito proviene dal participio passato neutro di reddo, ma, in funzione di termine indipendente dalla forma verbale d’origine e col significato di provento, compare solo nel latino tardo, com’è attestato nel Glossarium mediae et infimae latinitatis di Du Cange, dove il lemma reditus risulta in uso attraverso l’Historia Augusta, opera del IV sec. d. C. (scritta nel periodo tra il principato di Diocleziano e quello di Costantino, come dimostrano le dediche e le apostrofi ai due imperatori), in cui sono raccolte le biografie imperiali da Adriano a Numeriano.
Laborabat praeterea, ut condita militaria diligenter adgnosceret, reditus quoque provinciales sollerter explorans ut, si alicubi quippiam deesset, expleret [Compiva diligenti ispezioni ai magazzini militari e si informava delle risorse di tutte le province, per potere, in caso di necessità, aiutare le une con i prodotti delle altre, pur preoccupandosi, più di ogni altro, di non fare spese superflue (SPARTIANO, E., Vita di Adriano, in Scrittori della Storia Augusta, a cura di L. Agnes, 1960, UTET, Torino, p. 34; testo latino The Scriptores Historiae Augustae, vol. 1, a cura di D. Magie, 1921, Harvard University Press)]
Twitter @FscoMer