Aziende familiari, le tre mosse per mettersi alle spalle la pandemia

scritto da il 23 Marzo 2021

Post di Emanuele Salamone, esperto di advocacy e public & government affairs –

Secondo un recente studio pubblicato da Osservatorio AUB (promosso da AIDAF, Università Bocconi, UniCredit e altri) il 33% delle aziende familiari italiane ha una struttura patrimoniale e finanziaria inadeguata ad affrontare la pandemia. La crisi del 2020 ha un impatto doppio sul PIL italiano rispetto a quella iniziata nel 2008-2009, che pure aveva costretto il 17,5% delle aziende familiari italiane a entrare in procedure concorsuali o liquidatorie nel decennio successivo. Secondo i calcoli dell’Osservatorio AUB, pur presentando in media dati migliori del 2009, il 33% delle aziende familiari mostrava nel 2020 una struttura inadeguata ad affrontare la crisi pandemica.

“A parte la speranza che la ripresa, questa volta, sia più veloce, la nostra analisi mostra che l’unica via di uscita è un maggiore ricorso all’equity, accompagnato da un’apertura alla leadership esterna e a un suo auspicabile ringiovanimento” ha commentato Guido Corbetta (Cattedra AIDAF-EY di strategia delle Aziende Familiari).

Un’analisi condotta con FSI (Fondo Strategico Italiano) evidenzia l’effetto negativo dell’indebitamento sulla performance dei cinque anni successivi e mostra che, anche in caso di basso livello di indebitamento, un suo aumento ha un impatto negativo su crescita e redditività. Ne consegue che in questo momento le aziende migliori devono crescere attraverso l’equity e non il debito.

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Una prima analisi della reazione delle imprese familiari alla crisi pandemica, condotta recentemente sulle società quotate (esclusi titoli bancari e assicurativi) dall’Osservatorio AUB, evidenzia inoltre una grande reattività delle aziende familiari e l’apprezzamento del mercato per tale caratteristica. Però solo il 25% delle aziende familiari, contro un più alto 43% del campione totale, ha attivato correttamente iniziative di smart working durante il 2020, anche se a nostro parere il 2021 vede un netto miglioramento in questi. In effetti nel 77% dei casi le aziende familiari si erano attivate con successo con lo specifico obiettivo di dare prevalentemente supporto ai dipendenti (sicurezza, protocolli, dispositivi di protezione dei dati). Ne derivavano, per il primo semestre, una riduzione dei ricavi più contenuta (10,1% contro 11,9% delle non familiari), un aumento dell’occupazione (+3,4% contro -1,4% delle non familiari) e una performance di borsa migliore del 22,3%.

Si parla da tempo di passaggio generazionale: soci e manager più giovani che si inseriscono gradualmente nella gestione delle aziende familiari. Questa prima prova di efficienza nella configurazione delle attività di smart working nelle aziende a conduzione familiare è certamente attribuibile a una maggiore conoscenza delle tecniche e delle modalità di applicazione dei nuovi paradigmi lavorativi da parte dei nuovi soggetti entrati nell’area decisionale del management.

Un confronto tra primi 1.000 gruppi di Germania, Francia, Italia e Spagna, sempre in base ai dati pubblicati da Osservatorio AUB, ci conferma che le imprese familiari continuano a rappresentare l’ossatura di molti di questi mercati. Francesco Giordano, Co-CEO CB Western Europe di UniCredit, ribadisce che “l’Italia, dove valgono il 43,7%, ne è un chiaro esempio. Il dato italiano è in linea con quello tedesco del 39,5% e spagnolo del 35,4% e ci racconta come la ripartenza dell’economia europea sia strettamente connessa a queste realtà aziendali”.

Proprio per questo, ancor di più nel momento delicato che stiamo affrontando, il ruolo del sistema bancario e il supporto finanziario sono cruciali per sostenere la competitività di questi business. “Dalla ricerca emergono, ancora con più forza, due cose: la grande importanza nella nostra economia nazionale delle imprese familiari e il bisogno di dotarle di una governance e management per un sano passaggio generazionale e all’altezza delle prossime sfide”, ha dichiarato Francesco Casoli, presidente di AIDAF – Italian Family Business. “La crisi pandemica ha reso evidente la necessità di avere aziende più patrimonializzate, in grado di accedere a diversi canali di finanziamento” ha commentato Barbara Lunghi, head of primary markets di Borsa Italiana. “L’auspicio è quello di vedere un numero maggiore di aziende familiari scegliere la Borsa per rafforzarsi ed essere in grado di affrontare con gli strumenti adeguati le sfide del mercato e cogliere le opportunità di un ecosistema sempre più globale”.

Perché queste aziende, definite reattive e solide dal punto di vista dei sistemi manageriali, gestionali e di governance, siano però in grado di attuare i loro progetti, c’è ancora un tassello importante da inserire nell’iter realizzativo.

Infatti entra in gioco il ruolo dell’advocacy. Ancora privo di un’adeguata traduzione italiana, il termine advocacy indica l’insieme di azioni con cui un soggetto si fa promotore e sostiene attivamente e lecitamente la causa di un gruppo di interesse. In questo periodo l’advocacy è diventata un elemento essenziale anche nelle strategie delle singole aziende, sia in termini di raggiungimento dei propri obiettivi economici, sia in termini di trasferimento verso il mondo politico delle giuste esigenze di rinnovamento del mondo professionale e dei singoli cittadini.
Senza un adeguato flusso di informazioni, sia in senso proattivo verso i centri di potere politico, sia in termini di rapida ricezione dei cambiamenti in corso nelle “stanze dei bottoni”, anche le aziende familiari più dinamiche rischiano di rimanere confinate in una realtà troppo limitata per permettere loro l’espansione cui hanno pieno diritto.