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Google, Facebook, Amazon, Apple: con le nuove regole si cambia musica?
Negli ultimi 20 anni le piattaforme digitali sono diventate giganti di mercato grazie agli effetti alchemici della loro microeconomia: economie di scala e di rete (più sei grande e più iscritti hai più è facile ingrandirsi e acquisire nuovi utenti), e il possesso di dati personali che fungono da barriera all’entrata li hanno traghettati da nani a giganti. Amazon è passata da un valore di borsa di 4 miliardi di dollari nel 2001 a 1.500 miliardi nel 2020. Facebook che vent’anni fa non esisteva ne vale oggi circa 800, più o meno come Alibaba. I player digitali hanno invaso settori tradizionali come l’accoglienza, la mobilità, il lavoro, la finanza, l’entertainment, le consegne, oltre alle reti sociali e all’informazione, sconfinando anche nella politica con irruzioni che non sono sotto il controllo delle politiche nazionali. Nel complesso il mercato digitale sembra avviarsi verso forme di oligopolio competitivo con forti spinte alle fusioni opportunistiche e alla integrazione orizzontale: chi fa social media vuole entrare nell’e-commerce (Facebook), gli specialisti del software (Microsoft) e dei motori di ricerca (Google) ambiscono al cloud, dominio di Amazon (e-commerce).
Per regolare questi nuovi soggetti le politiche tradizionali non sono più sufficienti: indagini antitrust che durano anni lasciano che i comportamenti anticoncorrenziali nel frattempo continuino, come nel caso della multa di 1,7 miliardi di euro a Google per abuso di posizione dominante. La Unione Europea ha deciso di darsi nuove mappe di regolazione per i giganti digitali come Apple, Amazon, Facebook, Google.
Il 15 dicembre 2020 l’Ue ha presentato il Digital Service Act e il Digital Markets Act, due provvedimenti che dovranno passare il vaglio del Consiglio Europeo e del Parlamento prima di entrare in vigore direttamente nella legislazione degli stati membri. Il Market Act introduce un nuovo scenario di regolazione e politica concorrenziale ex-ante per le piattaforme che hanno le caratteristiche di gatekeeper. quelle che controllano una essential facility, ossia un asset indispensabile ai concorrenti per operare sul mercato. La storia ha fornito esempi di questi asset: le locande sulle strade dei commercianti e dei pellegrini non potevano rifiutare ospitalità. Più recentemente, le ferrovie americane furono sottratte al potere monopolistico dei proprietari per garantire l’accesso ai concorrenti. Nei mercati digitali, una essential facility è secondo molti lo scaffale virtuale della piattaforma Amazon nell’e-commerce, uno scaffale su cui Amazon ha potere di entry-exit, di cui conosce i dati e le informazioni e che può usare per favorire le proprie strategie commerciali. Più controverso è il cloud, che essendo teatro di forte competizione fra Amazon, Google, Oracle e altri soggetti non sembra avere le caratteristiche di una essentiality.
La caratteristica di gatekeeper si presumerebbe se la piattaforma ha un fatturato di almeno 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni, un valore di mercato medio nell’ultimo anno di almeno 65 miliardi, 45 milioni di utenti/mese attivi nella Ue e più di 10mila utenti business attivi in ciascuno degli ultimi tre anni finanziari.
Ai gatekeepers verrebbero associati obblighi molto pesanti:
1 – proibizione di clausole di nazione preferita,
2 – proibizione dell’uso di informazioni non pubbliche appartenenti ai loro utenti per competere in modo scorretto
3 – obbligo di condivisione dei dati con i competitor,
4 – separazione dei rami di impresa come extrema ratio.
Le piattaforme che, ad oggi, sarebbero considerate gatekeeper sono ovviamente Google, Amazon, Facebook, Apple, oltre a Oracle, SAP, Microsoft Azure e Amazon Web Services. Sulla soglia, ma non su tutti i criteri, Booking, Spotify, Uber, Bytedance, Salesforce, Google Cloud, Ibm Cloud. Sottosoglia Airbnb,Twitter, Lift, Xbox, Linkedin, Bing, Netflix, Zoom, Expedia, Grubhub.
Il tempo, non breve, fra la proposta e la entrata in vigore di questi due Act dirà se le intenzioni della politica europea si realizzeranno e se la musica per le piattaforme digitali cambierà veramente.
Twitter @fbecchis