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L’eredità del Covid? Sarà l’enorme debito sulle spalle di figli e nipoti
Post di Gianluca Carnevale Garé, Head of Sales, Retail Italy & Milano Branch Manager presso Ram Active Investments (Gruppo Mediobanca) e corsista dell’ Executive MBA Ticinensis-EMBAT presso l’Università di Pavia –
Duemilacinquecentosessantanove miliardi di euro. 2.569 miliardi di euro è la cifra gigantesca del debito pubblico italiano a fine 2020 (nuovo massimo storico: in un anno + 159 miliardi), ma il peggio non è ancora passato. Aggiornata al 2 marzo era già lievitata a 2.612. E il FMI stima un ulteriore aumento dell’indebitamento netto nell’ordine di quasi 200 miliardi, che spingerebbe il rapporto Debito/Pil al 159,7%, in peggioramento rispetto alla stima dello scorso ottobre.
Certo, non è la prima volta che il nostro Paese si trova a doversi confrontare con un debito pubblico così pesante, ma le altre due volte in cui ciò è capitato si usciva da due devastanti conflitti: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Insomma, parliamo di cifre che sarebbe un eufemismo definire preoccupanti e che ci danno immediatamente e in modo chiaro la dimensione dei problemi economici che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni.
È un po’ come se sulla testa di ogni cittadino italiano, neonati inclusi, pendesse un debito pari a 62.667 dollari (rapporto Ocse “Government at a glance 2019“, dati aggiornati a dicembre 2019). La crescita di questo dato, che nel 2007 era di 37.441 dollari, procede da allora al passo di una media annua del +2,4%.
Ma se guardiamo anche oltre i confini nazionali, è facile scoprire come sia il mondo intero che oggi rischia di affogare nel debito pubblico. Il FMI stima che, tra la fine del 2019 ed il 2021, il rapporto tra debito e Pil salirà in media di 20 punti percentuali per le economie avanzate, di 10 per i Paesi Emergenti e di 7 per quelli più poveri. Non solo l’Italia, quindi, ma tutti i Paesi, a prescindere dal colore politico del governo che li guida, si troveranno a dover fare i conti con questo problema e con la necessità di invertire la rotta.
Da una recente ricerca di Buy Shares emerge che:
– il Giappone, con il 268%, vanta il più alto rapporto debito/Pil;
– al secondo posto troviamo la Grecia con il 214,29%;
– all’Italia va la terza posizione, in questa poco invidiabile classifica, con un 156,92%.
Tra gli altri paesi dell’Unione europea che seguono a ruota troviamo:
– il Portogallo, al quarto posto, con un rapporto del 150%;
– il Belgio, al sesto posto con un rapporto del 121%;
– la Spagna, al settimo posto con un rapporto del 117%;
– la Francia, all’ottavo posto con un rapporto del 113%.
Ben sei, quindi, i Paesi dell’Unione Europea che si posizionano tra le prime dieci nazioni con il rapporto debito/Pil più elevato. Gli Stati Uniti, con il 137%, si posizionano al quinto posto, mentre il Regno Unito occupa la decima posizione con il 100,87%. La Germania, tra le “grandi economie”, è quella che sembrerebbe stare meglio, con un rapporto che non dovrebbe superare la soglia del 75% (comunque più alto rispetto al 60% a cui si accennava prima).
Il mix esplosivo degli ultimi mesi, generato da una pandemia che è ancora ben lungi dall’essere superata e continua a portarsi appresso una drammatica scia di contagi e morti, ha innescato una pesante crisi economica e, conseguentemente, grosse incertezze sul futuro. Ciò ha sicuramente peggiorato la situazione italiana, ma non si può certo dire che la nostra “fedina penale” fosse totalmente pulita prima dell’arrivo di questo terribile virus.
Il debito pubblico italiano ha infatti cominciato a lievitare già dalla metà degli anni ’60, per poi ulteriormente impennarsi nel corso degli anni ’80. Gli accordi di Maastricht e l’arrivo dell’euro (che ha reso possibile una significativa riduzione dei tassi del debito pubblico), assieme ai lauti avanzi primari al netto degli interessi, hanno generato un calo del livello di indebitamento, ma solo temporaneo. Il debito statale, infatti, in fasi di stagnazione o recessione quali l’attuale, tende inevitabilmente ad aumentare, sia per la contrazione del Pil, sia per le sempre maggiori esigenze di spesa pubblica finalizzate a gestire le crisi macroeconomiche più pesanti. Ciò spiega largamente le impennate del debito fatte registrare dopo la crisi finanziaria del 2008 e nel corso del 2020 Un problema quindi che si è costruito nei decenni, indipendentemente dal “colore” dei Governi che si sono succeduti negli anni.
Ora, un Paese come l’Italia, gravato da un elevato debito pubblico, cosa dovrebbe/potrebbe concretamente fare per ridurlo?
AUSTERITÀ
Per anni ci siamo sentiti dire che la strada per arrivare ad una progressiva riduzione del debito pubblico passasse obbligatoriamente attraverso politiche di austerità. Quale la strada più facile per fare ciò? Maggiori tasse (in un Paese già soffocato da una pesantissima pressione fiscale), minore Spesa Pubblica. Com’era facilmente prevedibile, negli ultimi anni queste politiche non hanno fatto altro che accrescere il debito italiano: si sono ridotti gli investimenti, non abbiamo attratto aziende estere e la disoccupazione è aumentata.
CRESCITA DEL PIL
Se risulta complesso agire sul numeratore, non resta che provare ad agire sul denominatore; un aumento del PIL in ragione del 2-3% annuo porterebbe ad un progressivo miglioramento del rapporto debito/PIL, ma qui la questione s’ingarbuglia. Nessuno possiede la bacchetta magica e, purtroppo, non esistono soluzioni che raccolgano l’unanime consenso. In compenso, esistono numerose “ricette” e molteplici visioni (da approfondire), quasi sempre molto diverse, quando non contrastanti, su cosa sia necessario fare per raggiungere il risultato sperato: riduzione delle tasse, incremento degli investimenti pubblici, riforma della PA, investimenti in formazione, nuove tecnologie, digitalizzazione, green economy, ecc. ecc.
INFLAZIONE
Questo è un fenomeno con cui il nostro Paese si è trovato a dover combattere per anni, un nemico difficile da sconfiggere, ma l’inflazione di per sé non è un fattore in assoluto negativo. Un’inflazione controllata e ingabbiata entro livelli accettabili può anzi essere volano dell’economia: erode i crediti e favorisce i debitori. Anche in questo caso, però, non è ancora stato inventato un pulsante magico che permetta di modularne a piacimento l’andamento. Il percorso più scontato suggerisce una riduzione dei tassi di interesse e una politica di Quantitative Easing; ma nonostante oggi si registrino tassi addirittura negativi e miliardi di acquisti da parte della Banca Centrale, l’inflazione dà segnali debolissimi di ripresa.
TITOLI PERPETUI
Il presidente della Consob, Paolo Savona, in tempi non sospetti, ha promosso l’idea di emettere titoli irredimibili, senza scadenza. Titoli perpetui, emessi dallo Stato, a basso tasso, non rimborsabili, ma liberamente negoziabili sul mercato. Si tratterebbe solo contabilmente di un debito perché il capitale non verrebbe mai rimborsato. Sarebbe a tutti gli effetti un finanziamento di spesa pubblica con aumento della moneta in circolazione. Purtroppo, neppure questa pare essere la panacea, l’esperimento andrebbe fatto con cautela e monitorato attentamente. Anche se potrebbe in teoria aiutare a ridurre il forte aumento del debito, si porterebbe appresso una grossa incognita: come sarebbe accolto dal mercato uno strumento che per gli acquirenti presenterebbe rischi non da poco, quali un sempre possibile pericolo di default, un’estrema volatilità e un non trascurabile rischio andamento tassi?
PATRIMONIALE
Un’ipotesi che ritorna ciclicamente in auge; una patrimoniale che vada a colpire le ricchezze al di sopra di una certa soglia. In linea di principio, dal punto di vista economico, non sarebbe un’idea “nuova” (Sugli immobili? Sui grandi patrimoni? Sui conti correnti? -Governo Amato 1992- Sulle seconde case? – IMU Monti-). Certo però che non sarebbe semplice andarlo a raccontare agli Italiani, già oggi tra i più vessati da una pressione fiscale tra le più elevate al mondo. Non sorprende che tra i più favorevoli a questa opzione siano proprio gli “amici” tedeschi. Nello scorso mese di aprile, in piena pandemia, l’economista tedesco Daniel Stelter, forte oppositore degli Eurobond, ha proposto una patrimoniale del 20% per l’Italia, Paese che, a suo avviso, potrebbe cavarsela da solo senza elemosinare aiuti dall’Europa, visto che le famiglie italiane mediamente dispongono di un patrimonio superiore a quello delle famiglie tedesche.
GIAPPONESIZZAZIONE DEL DEBITO
Tassi bassi o negativi “per sempre” e liquidità infinita assicurata dalla Banca Centrale. In questo modo i problemi del rifinanziamento del debito e della sua sostenibilità non vengono eliminati, ma semplicemente nascosti sotto un grosso tappeto. Se la BCE continuasse a stampare denaro per acquistare BOT e BTP, il debito non si ridurrebbe in percentuale e in valore assoluto, ma semplicemente proteggerebbe i nostri titoli dalle speculazioni finanziarie e limiterebbe di conseguenza l’esborso di interessi ad esso associato. E quali gli effetti sull’inflazione?
RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
La proposta avanzata dal numero uno del FMI, Kristalina Georgieva, fa senza dubbio discutere il mondo finanziario: ristrutturazioni più veloci e semplici dei debiti, possono evitare recessioni aspre e durature. Quindi prima lo facciamo e meglio è? Attenzione a giocare col fuoco, il rischio è bruciarsi il bene più prezioso che ci viene “gentilmente” concesso dai nostri creditori a livello sia nazionale che internazionale: la fiducia! Infatti, ciò che si scrive “ristrutturazione” può essere facilmente letto come “default controllato”, con danni reputazionali enormi e, soprattutto, senza che venga realmente risolto il tema del debito. Oltretutto il maggior onere ricadrebbe in primis su famiglie e imprese italiane, che detengono i titoli principalmente attraverso fondi di investimento, fondi pensione e polizze assicurative e per le quali si tratterebbe in sostanza di una tassa di grandi dimensioni, destinata a deprimere la domanda interna. Inoltre, la ristrutturazione porterebbe probabilmente con sé una politica ancor più improntata all’austerità (il caso Grecia dovrebbe fare scuola).
CANCELLAZIONE DEL DEBITO
L’idea, inutile nasconderlo, è di quelle suggestive: cancellare in un sol colpo miliardi di debito sovrano che la Bce detiene nella propria pancia. A pandemia finita è davvero fantascienza immaginare una cancellazione di parte del debito sovrano nazionale, come avvenne negli anni 50 per la Germania, quando a Berlino furono abbuonati i debiti di guerra? Nonostante i 250 miliardi di Titoli di Stato Italiani nelle casse della BCE a fine 2020 questa ipotesi, che fa gola a molti, è davvero remota, mancano le basi giuridiche. In Europa è il Trattato che definisce quello che si può e che non si può fare e l’articolo 123 vieta in modo esplicito il rifinanziamento da parte della BCE del debito pubblico dei Paesi membri. Un tema, questo, che ci viene spesso ricordato soprattutto dalla Bundesbank, la banca centrale tedesca. Una cancellazione del debito da parte della BCE è troppo complessa, occorrerebbe modificare o riscrivere parte dei trattati, ma soprattutto in questo momento manca su questa ipotesi un adeguato e convinto consenso.
Possiamo discutere per giorni su ciascuna delle ipotesi sopra tratteggiate, ma la verità è che nessuna di esse trova oggi l’accordo di tutte le parti coinvolte, come nessuna, presa singolarmente, sembra essere in grado di raggiungere il risultato di risolvere la nostra situazione. Il debito/Pil si riduce con un mix di fattori ed un programma pluriennale serio ed efficace, rispettando anno per anno i target di bilancio e con una politica fiscale che preveda anche investimenti pubblici per la crescita senza mai, ovviamente, perdere la fiducia dei mercati.
Quel che preoccupa realmente è l’apparente noncuranza dimostrata da coloro che dovrebbero affrontare questa difficile situazione. L’impressione che si ricava, ancora una volta, è che manchi nella nostra “classe dirigente” la consapevolezza dei problemi e delle loro dimensioni. Insomma, come in medicina, se non si studiano adeguatamente sintomi e malattia è poi facile sbagliare la diagnosi e a quel punto diventa improbabile poter prescrivere le giuste medicine e individuare le corrette terapie!
Qualcuno si sta concretamente domandando come ridurre la montagna del nostro debito una volta che la pandemia sarà passata e come rimettere in ordine i nostri conti pubblici? In Italia, la strategia sembra essere quella di sperare che “qualcun altro ci salverà”, augurarsi che “i tassi non saliranno mai più”, mantenendo il debito sostenibile per sempre. Prendiamo a calci la lattina, troppo faticoso abbassarsi per provare a raccoglierla, qualcun altro, prima o poi, lo farà al posto nostro. Andiamo avanti a fare debito, non ce ne preoccupiamo, il problema se lo ritroveranno altri sulla loro scrivania… Quegli altri saranno niente di meno che i nostri figli e i nostri nipoti.
Prima o poi ci lasceremo alle spalle anche questo maledetto coronavirus, arriveranno i vaccini, la scienza troverà nuovi medicinali e nuove cure e l’emergenza sanitaria verrà superata, almeno così speriamo. Gradualmente potremmo tornare a fare una vita normale, finiranno gli assurdi dibattiti tra “allarmisti” e “negazionisti”, i virologi riprenderanno a fare ricerca lasciando ad altri il ruolo di star televisive. Quel che resterà invece saranno, oltre ai lutti, le macerie economiche a cominciare dall’enorme debito pubblico e, inutile illuderci, per questo non possiamo sperare in un più o meno miracoloso vaccino.