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Startup, così fare impresa in Italia è finalmente un obiettivo possibile
L’autore di questo post è Benedetto Buono manager nel Marketing & Innovation di un grande gruppo istituzionale che opera nei financial services –
Fare impresa oggi non può prescindere dall’immaginare una forte caratterizzazione digitale e innovativa della relativa attività, al fine di poter competere nell’iper-competitivo mercato globale.
In Italia si è dibattuto spesso sulla necessità di avere un ecosistema sufficientemente ampio e strutturato che potesse contribuire alla nascita di questo nuovo tipo di imprese ad elevato contenuto tecnologico. Se tale ecosistema, obiettivamente, è stato assente o poco sviluppato fino a poco tempo fa, attualmente si può constatare che, nonostante tanto ci sia ancora da fare, anche da noi esistono oggi certe condizioni favorevoli all’avvio di nuove attività imprenditoriali innovative. È tempo, dunque, di fare “startupping”, intendendo qui il termine nella duplice accezione di (i) dar vita ad una società che faccia leva principalmente su tecnologie digitali o di frontiera (es. Satispay, D-Orbit, Enthera Pharmaceuticals, Genespire) e di (ii) avviare un business tradizionale che sia comunque caratterizzato da un approccio innovativo, per esempio alla customer experience (es. Barberino’s, Velasca).
Le motivazioni che hanno contribuito al verificarsi di tale attuale contesto sono molteplici e si possono rintracciare tanto in fattori nazionali quanto internazionali, in una contingenza temporale decisamente fortunata (se un tale termine si può utilizzare in uno scenario sfidante come quello contemporaneo, segnato da epocali sfide che vanno dalla pandemia globale al mutare degli equilibri geopolitici tra le grandi potenze).
A livello nazionale, gli ultimi anni hanno visto il nascere e il consolidarsi di una serie di categorie di attori, quali gli incubatori e gli acceleratori (es. PoliHub, Luiss EnLabs), i parchi tecnologici e i fab-lab (es. Area Science Park, la rete di Lazio Innova) i programmi di empowerment e supporto (es. Founder Institute, Open Italy di Elis), le reti di co-working (es. Talent Garden, Copernico) e le associazioni di categoria (es. AIFI, VC Hub). Anche il ruolo delle grandi corporate, che sempre più hanno compreso il valore dell’open innovation e hanno iniziato a collaborare con le startup e le PMI innovative (talvolta acquisendole) si sta rivelando prezioso.
Oltre al proliferare degli attori coinvolti, anche le fonti di finanziamento a disposizione dei wannabe entrepreneurs si sono notevolmente ampliate e oggi, anche nel nostro Paese, si hanno a disposizione diverse opportunità per finanziare lo sviluppo della propria attività imprenditoriale innovativa, tra cui alcune delle più note sono:
– Equity crowdfunding: raccolta diffusa di capitali in cambio di quote societarie attraverso piattaforme digitali che, in Italia e come riportato da CrowdfundingBuzz, hanno registrato un boom di raccolta nel 2020 (103 milioni di euro su 159 campagne vs 65 milioni nel 2019 su 139 campagne)
– Business Angels: privati che investono in startup e PMI innovative e che spesso operano anche sotto forma di network, club o associazioni (es. IBAN, IAG)
– Finanziamenti agevolati: emessi a condizioni estremamente favorevoli, sono disponibili sia a livello nazionale, come nel caso del programma Smart&Start del Ministero dello Sviluppo Economico (la cui gestione è affidata a Invitalia) sia a livello europeo, nel qual caso il più conosciuto ed utilizzato è Horizon 2020, che prevede importi forfettari destinati a sviluppare progetti ad alto impatto innovativo
– Seed e Venture Capital: seppur ancora poco sviluppato, il settore dei fondi dedicati all’investimento di capitale di rischio nelle primissime fasi di vita delle imprese (che sono anche quelle più rischiose ma, potenzialmente, più remunerative in prospettiva) sembra aver acquisito una nuova vitalità, con la nascita di attori come Lumen Ventures (prima SIS – Società di Investimento Semplice nata in Italia) in affiancamento a nomi “storici” come Innogest, LVenture, P101 e Primomiglio (che ha dato vita al primo il fondo italiano dedicato allo SpaceTech, Primo Space)
Vi è da sottolineare come, relativamente all’ultima categoria citata – quella del Venture Capital – in Italia il 2020 è stato foriero dell’avvio di due grandi iniziative che, senza ombra di dubbio, si posso definire game changer per gli imprenditori innovativi italiani, ovvero il Fondo Nazionale dell’Innovazione e la Fondazione ENEA Tech.
Il fatto che questi attori fungano da volano per l’attrazione di capitali di rischio specializzati sia italiani che, soprattutto, stranieri (altri fondi di VC), unitamente alle recenti condizioni fiscali estremamente vantaggiose applicate a questo tipo di investimenti (es. dal 30% al 50% la detrazione d’imposta per le persone fisiche che investono in startup e PMI innovative), inducono ad essere moderatamente fiduciosi sulle possibilità di un ulteriore consolidamento dell’ecosistema innovativo anche dal punto di vista finanziario. Attrarre capitali “coraggiosi”, tanto da investitori qualificati e istituzionali quanto da persone fisiche, è da molti visto come il pre-requisito indispensabile affinché una nuova generazione di imprese ad alto contenuto innovativo e digitale possa nascere nel Bel Paese.
Tali capitali coraggiosi (perché bisogna essere coraggiosi – o quantomeno molto propensi al rischio per investire in determinate asset class come le startup) iniziano ora ad arrivare in Italia anche dall’estero (e arriviamo alla dimensione internazionale della nostra osservazione): investitori stranieri che fino ad oggi mai avevano volto lo sguardo nei confronti delle startup nostrane, iniziano ora ad affacciarsi alla classica finestra di opportunità che si è aperta grazie anche a tutti i fattori sopra velocemente ricapitolati.
L’Europa stessa, oggi, appare più che mai come una meta ambita, anche a seguito di iniziative comunitarie, quali lo sviluppo dei cosiddetti European Digital Innovation Hubs nei paesi dell’Unione, con tutte le ricadute positive possibili negli ecosistemi circostanti e l’annuncio del primo ciclo di investimenti diretti nel capitale delle startup attraverso il nuovo European Innovation Council (Eic) Fund.
L’Europa, anche grazie a tante storie di successo accumulate negli anni – dalla “storica” Skype alla più moderna Klarna – secondo alcuni osservatori si candida a diventare il nuovo place to be anche per i famosi fondi di VC globali: è di pochi mesi fa la notizia che Sequoia, il leggendario VC statunitense, abbia deciso di aprire ufficialmente una sua prima sede a Londra, da cui effettuare e gestire lo scouting di imprese continentali in cui investire. Nell’ambito di un tale trend, anche le startup italiane, se saranno abili e ben supportate, potranno beneficiare in una qualche misura di queste nuove opportunità.
Aggiungiamo a tutto ciò che le risorse del Recovery Fund destinate alle iniziative digitali e innovative italiane dovrebbero essere pari a circa 46 miliardi di euro, una cifra di assoluto rispetto, soprattutto se letto alla luce di un ecosistema ancora dimensionalmente non enorme.
Insomma, oggi sembrano esserci tutte le premesse per fare imprenditoria innovativa in Italia anche se, a ben vedere, le criticità strutturali che storicamente affliggono il nostro Paese sono lontane dall’essere risolte (pressione fiscale, burocrazia, logistica non adeguata, etc.). Si aggiunga, nella lista delle criticità che possono scoraggiare la nascita di una nuova leva imprenditoriale, la grande incertezza derivante dalla pandemia di Covid-19 e dagli impatti negativi, umani, sociali ed economici, che verosimilmente tutti i Paesi continueranno a subire nel prossimo futuro. Esistono però segnali incoraggianti, in primis, come scritto, derivanti da un ecosistema che inizia ad essere degno di questo nome. Tanto c’è da fare, l’importante è non scoraggiarsi e andare avanti, facendo ognuno il proprio meglio possibile, dalle Istituzioni a ciascuno di noi.
Twitter @bennybuono