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Il denaro e le donne, ripartiamo dall’emancipazione finanziaria
Post di Azzurra Rinaldi, responsabile del corso di laurea in Economia del turismo presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza –
Qualche tempo fa, mi sono imbattuta in un dato che mi ha sconcertata: secondo una ricerca condotta da Episteme e pubblicata con il titolo “Le donne e la gestione famigliare”, il 37% in Italia non possiede un conto corrente. Come se non fosse già sufficiente, questa percentuale cresce al diminuire del livello culturale delle donne analizzate, fino a giungere al 100% per le donne che hanno un livello culturale basso. Questo dato si inserisce, in effetti, in un contesto globale caratterizzato dal divide finanziario tra uomini e donne, ma nella media mondiale, le donne titolari di un conto corrente a proprio nome presso un’istituzione finanziaria formale sono il 58% del totale (a fronte del 65% degli uomini).
Ma torniamo sul caso italiano: nello scorrere la ricerca menzionata, si apprende che la situazione si aggrava per le donne che hanno interrotto gli studi dopo la scuola dell’obbligo: l’assoluta maggioranza di loro non possiede un proprio conto corrente, ma si serve di quello del proprio compagno o del proprio marito. Al contrario, le donne che hanno conseguito una laurea sono titolari di un conto nominativo nell’83% dei casi.
È lecito domandarsi se nel nostro paese le donne non gestiscano il denaro perché non ne guadagnano o perché vi siano delle sovrastruttura di matrice culturale (o per entrambe le motivazioni). Sappiamo che il tasso di disoccupazione femminile in Italia è particolarmente elevato, per un paese avanzato ed anche che la situazione ha subito un ulteriore peggioramento a causa della pandemia, che ha colpito i settori produttivi più relazionali (nei quali sono tradizionalmente occupate in prevalenza le donne).
Sempre di più, le donne rischiano di allontanarsi dalla gestione del denaro: a partire dalla pandemia, nel nostro paese hanno perso il lavoro 800.000 persone, di cui 447.000 donne. A ciò si aggiunga che, nell’ultimo anno, in Italia si sono dimesse 37.000 neo-mamme (a fronte di 14.000 neo-papà).
Ma questi dati, che sono più recenti, vanno ad innestarsi su una tendenza ormai consolidata nel nostro paese. Nel 2019, ovvero prima della pandemia, l’Istat fotografava questa situazione: le donne in Italia guadagnano circa 3.000 euro in meno all’anno in media rispetto ai colleghi maschi, a parità di posizione lavorativa. Inoltre, guadagnano di meno anche perché in misura maggiore rispetto agli uomini richiedono il part time, che riguarda appunto le donne per il 73,2% (ed è involontario nel 60,4% dei casi). Di conseguenza, il reddito medio delle donne italiane è il 59,6% di quello degli uomini. Con effetti a lungo termine: le pensioni delle donne italiane sono il 36% inferiori rispetto a quelle degli uomini.
Non è un tema unicamente italiano: in moltissimi paesi, sia avanzati che emergenti, le donne vengono educate a non parlare di denaro. Con alcuni effetti visibili: secondo quanto riportato nel libro della prof. Linda Babcock della Carnegie Mellon University “Women Don’t Ask”, solo il 12,5% delle donne negozia il proprio salario di ingresso, contro il 52% degli uomini. Se stimiamo la perdita complessiva di reddito che questi comportamenti possono determinare, si giunge sino ad 1,5 milioni di dollari nell’arco dell’intera carriera lavorativa. Certo, ad onor del vero, uno studio congiunto di Cass Business School, University of Warwick ed University of Wisconsin, anche quando lo richiedono, le donne ricevono un aumento nel 25% dei casi in meno rispetto agli uomini.
Bisogna, quindi, agire. Perché gli squilibri (ed il mancato utilizzo del pieno potenziale delle risorse produttive) allontanano il sistema economico dall’efficienza. Ma da dove iniziare? Senza dubbio, dall’educazione finanziaria. I dati dimostrano che questi fenomeni hanno radici profonde. Secondo una ricerca Childwise sul Regno Unito, il gender pay gap inizia con la paghetta. Infatti, la paghetta delle bambine risulta essere il 20% inferiore rispetto a quella dei bambini. E tra gli 11 ed i 16 anni, questo gap, anziché ridursi, si amplia, arrivando al 30%. Per non parlare degli USA, dove i genitori elargiscono ai figli maschi il doppio del denaro che arriva nelle tasche delle figlie femmine. Proprio per questo è fondamentale intervenire sin da subito per sanare queste condizioni che determinano le difficoltà che poi le donne possono incontrare in misura maggiore non solo nella gestione del denaro, ma, come anticipavamo, anche nel parlare del denaro (e nel richiedere quanto loro dovuto).
E per le donne adulte? Fortunatamente, non tutto è perduto: a partire dal mese di ottobre dello scorso anno, Feduf e Banco BPM hanno avviato una proficua collaborazione per la realizzazione di un percorso il cui titolo è “Il denaro con gli occhi delle donne”, che prosegue nel 2021. L’obiettivo di questa iniziativa risiede non solo nell’alfabetizzazione finanziaria, ma nella realizzazione di un vero e proprio empowerment finanziario, rivolto in particolar modo alle donne. Non è una novità che si tratti di due soggetti impegnati nel settore. Feduf, (Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio) costituita su iniziativa dell’Associazione Bancaria Italiana, si occupa della promozione dell’educazione finanziaria e della diffusione della conoscenza finanziaria ed economica. Banco BPM, dal canto suo, ha inserito questa iniziativa in una più ampia strategia legata ai temi dell’inclusione, che pone al centro le persone (che si tratti di colleghi o di clienti) e che prevede la realizzazione di altri progetti con questo obiettivo (fra gli altri, il progetto Respect).
Iniziative come queste tendono a riportare l’ago della bilancia verso la parità e, quando andiamo in questa direzione, sappiamo che stiamo creando le opportunità per avvicinarci ad una maggiore efficienza collettiva. E quindi, ad un livello di benessere più elevato.
Twitter @laprofrinaldi