categoria: Vicolo corto
Un mese con Tesla (perché in molti mi hanno chiesto come mi trovo)
scritto da Econopoly il 20 Gennaio 2021
Autore di questo post è Adriano Marconetto, cofondatore e presidente esecutivo presso Where I Go –
Dieci anni fa guidai la mia prima Tesla sulle strade di Torino: “One day with Tesla” con la allora Lotus Elise cui Tesla sradicò il motore a combustione interna e montò il suo primo motore elettrico. Poco più di un bell’accrocchio che mi fece divertire come un bambino, tipo umiliare ai semafori i torinesi in Porsche 911 che mi guardavano allibiti.
Qualche anno dopo ebbi l’opportunità di visitare la fabbrica Tesla a Fremont, quando già a San Francisco cominciavano a circolare molte Model S e, nel 2015, acquistai una Golf GTE, la prima ibrida plug-in che, nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto essere l’auto per sperimentare l’elettrico e che negli anni si è rivelata un’automobile eccezionale, con la quale ho percorso 160 mila km, di cui circa un terzo in puro elettrico cittadino, senza mai un problema.
Ma negli ultimi mesi era giunto il momento di cambiarla e, sin da subito, sapevo che sarebbe stata Tesla. Tre anni fa, a Palo Alto, vidi per la prima volta la Model 3 ancora prototipo nel negozio Tesla dello Stanford Shopping Center: un’auto senza niente, tranne un tablet.
Straniante, meravigliosa. Le sue dimensioni esterne erano compatibili con le strade europee e soprattutto con i miei bisogni (non amo le auto tanto grandi). Decisi allora che un giorno l’avrei acquistata. Quel giorno è arrivato a dicembre, ma il percorso è stato lungo.
Per prima cosa ho cercato un contatto con il negozio di Milano, allora l’unico in Italia, e i cui venditori sono perlopiù l’antitesi di come dovrebbe essere un venditore al punto che, ad un certo momento, decido di guardare altrove. Stava uscendo la nuova GTE, sarebbe arrivata da lì a poco la ID.3, la prima elettrica di casa VW e anche la nuova, bellissima, Audi A3 plug-in.
Le provo tutte: la GTE meno convincente della versione precedente (grande delusione per me che ho avuto GTD, GTI e GTE), la A3 molto convincente, un’auto perfetta: bella, assemblata e rifinita perfettamente e con lo stato dell’arte della tecnologia plug-in. La ID.3, lanciata come la rivoluzione elettrica di VW, si rivela subito una profonda delusione: molle, zero sexy, plastiche cheap, design mediocre, software così così. Mi invitano a provare anche la Audi e-tron: un super SUV (io non amo i SUV, ne ho avuto uno solo e non vedevo l’ora di venderla) cui hanno tolto il motore a scoppio per inserirne uno elettrico: la prova di come un costruttore tradizionale non sa (ancora, a dieci anni dal lancio di Tesla) fare auto elettriche (disclaimer: non ho provato la Porsche Taycan e nemmeno la Renault Zoe: chi le ha acquistate dice che vanno bene).
Poi il mio amico Claudio mi invita per un giro sulla sua nuova Model 3. Corso Re Umberto, da Corso Vittorio a Corso Dante e ritorno. Cinque minuti, ma dopo cento metri avevo capito benissimo che non era comparabile con niente avessi provato in precedenza. E veniamo finalmente al punto.
La grande differenza fra Tesla e tutti gli altri costruttori è semplice: Elon Musk è partito da un foglio bianco, gli altri rincorrono con un fardello pesantissimo fatto di un secolo e più di vita, processi complicati, cultura sedimentata, organici enormi e, quel che più pesa, la cultura sbagliata.
Mentre mi divertivo con la sua roadster dieci anni fa, Musk aveva già immaginato l’esperienza alla base delle sue future automobili. Questa esperienza, che in tanti hanno riassunto nello slogan “Un tablet su ruote” risponde al principale mantra della Silicon Valley di questi ultimi vent’anni: disrupt everything. Le Tesla non si acquisteranno dai dealer con infinite contrattazioni. Si acquisteranno online, dove il cliente deve registrarsi e versare 100€ di anticipo. Lo sconto è sempre, ovunque nel mondo, zero %. Tutto il flusso informativo, dal momento della prenotazione alla consegna, è a sua volta online: nella propria area personale il Cliente ha tutte le informazioni che gli servono, dalla data di consegna alle modalità di saldo/pagamento. Se uno ha bisogno può rivolgersi ad un sales manager ma essenzialmente non è necessario. Giorno e ora della consegna sono fissati in anticipo di qualche settimana e vengono ricordati al Cliente il giorno prima anche con una telefonata.
Finalmente arriva il momento tanto atteso. Ad oggi, in Italia, le Tesla vanno ritirate presso la sede Tesla a Peschiera Borromeo, a due passi dall’aeroporto di Linate. In certi casi, soprattutto nel centro e sud Italia, te la portano però a casa. Io sono andato a Peschiera Borromeo e sono stato accolto da una gentile addetta alla consegna. Spiegone sulle cose essenziali, firma sul tablet per la consegna, buon viaggio.
E qui uno prende contatto con la seconda parte della vision di Elon Musk. L’auto è completamente prima di bocchettoni, manopole, bottoni, fatto salvo per due manovelle sul volante. Tutto, compreso il manuale d’uso, si trova sul grande tablet a fianco dal volante. Come la stragrande maggioranza delle persone che vivono in Silicon Valley, la Tesla non è lussuosa: è essenziale. Dentro non c’è praticamente niente. Meno cose ci sono, meno cose si possono rompere. Ma, penso, l’essenzialità è l’anticamera concettuale dell’auto a prestazione autonoma, che fa tutto da sola mentre tu telefoni, leggi e scrivi. Nella mia Model 3 tutto è digitale e migliorabile giorno dopo giorno tramite aggiornamenti software che arrivano direttamente all’auto che è peraltro sempre connessa. In un mese, ho già ricevuto due aggiornamenti, uno dei quali, tra l’altro, permette di cambiare il suono dell’avvisatore acustico scegliendo tra 4 opzioni (volendo c’è anche il verso della capra – tranquilli, al momento resto su qualcosa di più tradizionale).
Un’auto sempre connessa, così da Tesla, se serve, vedono in tempo reale lo status di ogni macchina e, alla bisogna, possono intervenire.
Un’auto che si comanda dalla sua app, che quando ti avvicini ti riconosce ed è già aperta e accesa e che quando scendi si spegne e chiude da sola. Come dicono quelli del marketing, una experience.
Un’auto che ti calcola il percorso e ti dice in anticipo se e dove dovrai fermarti a ricaricare.
Un’auto con Spotify, il karaoke, TuneIn, Google Maps, un browser e vari altri servizi digitali gratis per il primo anno. Poi, se vuoi, paghi 10 euro al mese. Quasi tutto margine per Tesla. Moltiplicate per tutte le loro auto vendute e scoprirete perché il digital service di Tesla è una bella idea (Ad oggi Tesla ha ceduto circa 1.300.000 auto, di cui 500 mila nel 2020, ancora nulla rispetto al potenziale).
Un’auto con Spotify, il karaoke, TuneIn, Google Maps, un browser e vari altri servizi digitali gratis per il primo anno. Poi, se vuoi, paghi 10 euro al mese. Quasi tutto margine per Tesla. Moltiplicate per tutte le loro auto vendute e scoprirete perché il digital service di Tesla è una bella idea (Ad oggi Tesla ha ceduto circa 1.300.000 auto, di cui 500 mila nel 2020, ancora nulla rispetto al potenziale).
Un’auto vuota dentro e vuota sotto pelle: le batterie, il motore elettrico e basta. Niente parti in movimento, nessun bisogno di fare i tagliandi annuali come nel caso delle auto tradizionali. Mal contati, 1000€ all’anno e un paio di giornate di risparmio.
Tutto questo è il vantaggio di chi parte da un foglio bianco. Qualcosa che nessun super manager di qualunque costruttore tradizionale è stato in grado di fare e tanto meno di immaginare, e questo è il punto: se non sai immaginarlo, non sai farlo. Guardavano a Tesla con sufficienza e spesso deridevano Musk. Poi tornavano ai loro dieselgate, ai loro listini spesso indecifrabili (se avete provato ad acquistare una Bmw sapete cosa intendo), ai loro problemi di redditività e di sostenibilità dei conti. Intanto Tesla andava avanti, senza mai prendere parte ad un salone dell’auto, in questo seguendo l’esempio di Apple che mai è presente alle fiere di consumer electronics. Andava avanti lanciando pochi nuovi modelli disponibili in poche varianti di colore per semplificare le operations mentre i costruttori tradizionali “occupavano ogni nicchia” con dozzine di modelli e dozzine di varianti di ogni modello.
In questi dieci anni i costruttori tradizionali, con tutti i loro ricercatori, i loro ingegneri, i loro tecnici, il loro know-how, i loro consulenti e fornitori avrebbero potuto facilmente rincorrere Tesla sul suo stesso terreno e superarla, per di più con prodotti meglio costruiti data la loro secolare esperienza nel costruire automobili. Invece il gap si è incredibilmente allargato. Se possedete azioni dei grandi gruppi automobilistici tradizionali pensate a quelli che hanno comprato azioni Tesla un paio di anni fa. Il valore di Tesla in Borsa, giusto o sbagliato che sia, fa impressione. E continua a salire, perché ormai gli analisti vedono Tesla più come un’azienda di prodotti software e hardware elettronici (su ruote) e di produzione di componenti come batterie, più che come car maker innovativo.
Chi oggi, con dieci anni di ritardo rispetto a Tesla, si appresta a lanciare sul mercato auto elettriche lo sta facendo con tutti gli errori e i limiti del caso. Queste auto non sono disruptive: sono auto tradizionali con motore elettrico, non tablet su ruote. Non vi è alcuna experience: si acquistano in modo tradizionale per di più da concessionarie i cui venditori non vogliono venderle (“Ma lei non penserà seriamente di acquistare questa roba?” mi ha chiesto il venditore Volkswagen dopo avermi fatto provare la ID.3, e so per certo che non è l’unico nella sua e in molte altre reti commerciali). Hanno software mediocri, non paragonabili a quello di Tesla. Nessuno di loro ha avuto la vision di creare una rete di ricarica veloce, come i Supercharger di Tesla, che ti riconoscono quando arrivi, ti ricaricano in pochi minuti (alla mia prima ricarica arrivo che sono al 22%, mi collego, vado in bagno e a bere un caffè e quando torno sono al 70%) e se devi pagare succede tutto in automatico dalla app.
Poi, certo, non sono tutte rose e fiori. La qualità attuale dell’assemblaggio ricorda per certi versi più le Fiat degli anni ’80 che le tedesche o le coreane di oggi. Quella della verniciatura è a tratti imbarazzante, ma migliorerà, con l’assemblaggio e tutto il resto, una volta che le nuove Tesla usciranno dalla nuova Gigafactory di Berlino che Elon Musk si sta finanziando vendendo i crediti verdi a FCA (se serviva un elemento grottesco in tutta questa storia eccovelo servito).
Gli interni hanno sì un design essenziale, straniante, basic come i manager della Silicon Valley che quotano in borsa le loro aziende vestiti in jeans e maglietta, ma i sedili in ecopelle non si possono vedere: quanto saranno appiccicosi la prossima estate? Troppo difficile prevedere sedili in buon tessuto o in (eco)pelle traforata? Da Tesla dicono che il problema non si pone: dalla app si può avviare a distanza l’aria condizionata e quando si entra in auto tutto è come lo si desidera. Nessuno a Palo Alto si veste da Ozwald Boateng o beve le annate giuste di Romanée-Conti: il senso del lusso che abbiamo noi a loro non appartiene. Dunque non sono capaci di fare gli interni di Mercedes e tanto meno sono interessati a copiarli.
Ma questi sono difetti di gioventù: Tesla ha cominciato a consegnare le sue auto nel 2012, è fondamentalmente ancora una startup se paragonata ai grandi marchi storici che, a loro volta, hanno impiegato decenni per vendere finalmente prodotti affidabili e ben fatti. Sono difetti che si dimenticano non appena uno si allaccia le cinture e tocca il tasto che avvia l’auto. Tanta potenza, tantissima coppia, una guida personalizzabile con dozzine di opzioni. Dinamismo da vendere, leggerezza sempre, spinta e precisione quando servono. Il comfort di una grande berlina che in ogni attimo può trasformarsi nella grinta di una supercar. Il tutto con interessanti risparmi: l’assicurazione costa la metà, il bollo non si paga, non ci sono tagliandi da fare e ogni anno risparmierò almeno 2 mila euro per viaggiare (un pieno di elettricità fatto a casa costa circa un quarto rispetto ad un analogo pieno di benzina).
Il mio gommista è un uomo di poche parole, quasi come il mio Tesla sales manager. Quando mi ha visto arrivare con la Model 3 mi ha guardato, ha sorriso, ha guardato suo figlio e gli ha detto: vedi, queste auto avrebbero potuto costruirle qui a Mirafiori invece che a Berlino. C’era tutto per poterlo fare al meglio e per la città sarebbe stata la salvezza. Perché io lo so già che chi ne guida una di queste poi non vuole più guidare nient’altro.