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Niente cashback senza fact check. 7 domande al Governo
Il 31 dicembre scorso si è chiusa la fase sperimentale del cashback di stato. Dopo alcuni primi giorni traballanti il meccanismo congegnato da PagoPa, che si appoggia principalmente all’app IO nel rapporto con il cittadino, sembra aver funzionato bene. Il 10 gennaio è stata completata la definizione dei rimborsi per gli utenti, rimborsi che saranno erogati nel mese di febbraio, come previsto dal decreto del Mef che ha istituito la misura. Il cashback ora proseguirà per un altro anno e mezzo, al costo stimato complessivo di circa 4,7 miliardi di euro.
Conclusa quella che lo stesso Governo ha definito una “fase sperimentale” è importante ora affermare con forza: no cashback, without fact check. Dopo una prima fase sperimentale del cashback, è necessario che il Governo (direttamente o tramite PagoPa) dimostri che, alla prova dei fatti, la misura abbia funzionato. Viste le ingenti risorse mobilitate, dobbiamo capire subito se la misura funziona, se va aggiustata in qualche suo aspetto o se invece rischia di trasformarsi solo in un regalo di soldi a un gruppo cittadini. Anche perché i dubbi in merito alla struttura del cashback di stato sono vari e legittimi, come ricordato da Enrico D’Elia su lavoce.info: in primo luogo si corre il rischio di distribuire risorse “al contrario” togliendo ai poveri per dare i ricchi. I mezzi di pagamento elettronico infatti sono oggi maggiormente utilizzate da chi ha un reddito medio-alto, vive al Nord e nelle grandi città e meno da chi è disoccupato oppure operaio. Allo stesso tempo c’è la seria possibilità che la misura non sia in grado di generare un cambio di abitudini nei cittadini. Circa il 73% delle famiglie già spende tramite mezzi di pagamento elettronici più del massimo previsto dal provvedimento (3 mila euro all’anno): quindi la maggior parte potrebbe ricevere il massimo vantaggio anche senza intensificare l’uso delle carte.
Il Governo ha recentemente rilasciato alcuni numeri sulla partecipazione: sono 5,8 milioni i cittadini iscritti nel periodo sperimentale del programma, con 9,8 milioni di strumenti di pagamento elettronici registrati e oltre 63 milioni di transazioni effettuate. Questi sono numeri incoraggianti, soprattutto se si pensa alla condizione di grande ritardo del nostro paese sul fronte dei pagamenti elettronici, ben descritta anche nell’ultimo rapporto della Community Cashless Society sull’Italia. Eppure questi numeri non bastano, perché non rispondono a delle domande fondamentali: grazie al cashback le transazioni elettroniche sono aumentate rispetto ad uno scenario senza cashback? Un numero maggiore di esercenti si è attivato per consentire pagamenti elettronici? Ad avere usato il cashback sono stati solo i cittadini più ricchi? Un numero maggiore di cittadini si è dotato di mezzi di pagamento elettronici? L’evasione fiscale è effettivamente diminuita nel periodo? In definitiva, il cashback è servito a modificare (in meglio) le abitudini di pagamento dei consumatori? Molte di queste cose, infatti, sarebbe potute succedere anche senza il cashback e altre si sarebbero forse potute ottenere a un costo minore per le casse pubbliche (per esempio con una commissione sul prelievo di contante, come proposto dal Centro Studi Confindustria). La domanda quindi da porsi è: grazie al cashback, così come è stato strutturato, è successo qualcosa di buono che altrimenti non sarebbe successo?
Se il Governo non risponde a questa e alle precedenti domande vuol dire che non può provare che la misura sia stata davvero utile, non può smentire chi afferma che si sia trattato solo di un regalo ai benestanti del paese. Gli obiettivi del cashback sono sicuramente importanti: modernizzare i metodi di pagamento dell’Italia, ridurre il ricorso al contante (costoso e legato spesso al mondo del sommerso e dell’evasione). Ma tra gli obiettivi e il raggiungimento degli stessi c’è una grande distanza da percorrere. La valutazione degli effetti delle politiche pubbliche è un passo fondamentale in un paese che vuole investire efficacemente risorse pubbliche per migliorare il benessere dei suoi cittadini. Allo stesso tempo forse un solo mese di cashback non è stato ancora in grado di produrre gli effetti desiderati sul comportamento dei cittadini e quindi, per vedere i veri risvolti positivi di questa misura, bisognerà attendere la fine del prossimo semestre. Tuttavia è importante fin da subito allenarsi a guardare i dati utili a monitorare l’andamento di questa politica pubblica. Alla luce della piccola esperienza positiva vissuta in questi mesi di Covid-19 con la pubblicazione aggiornata e costante dei dati sul contagio da parte della Protezione Civile, PagoPa e Mef potrebbero anche trovare il coraggio di pubblicare in formato OpenData i numeri sul cashback. Insomma, cogliamo l’occasione di una misura innovativa come il cashback di stato per innovare anche il modo in cui valutiamo la bontà di una politica pubblica. Questa sì che sarebbe una vera rivoluzione.
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