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Mercato unico del crowdfunding: una opportunità per le PMI italiane?
Post di Mario Angiolillo e Flavio Menghini. Angiolillo, direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute. Esperto di tematiche geopolitiche e di relazioni internazionali, svolge attività di advisory per diverse società con particolare riferimento agli impatti e alle opportunità offerte da Brexit. Menghini, fellow di The Smart Institute, esperto di commercio internazionale e foreign direct investment, si occupa in particolare di relazioni esterne dell’Unione Europea e sviluppo sostenibile –
L’Unione Europea ha recentemente promulgato un Regolamento volto ad uniformare l’ecosistema dell’equity e del lending crowdfunding, compiendo così un passo ulteriore verso la finalizzazione di un mercato unico dei capitali.
Il crowdfunding
Le operazioni di crowdfunding sono caratterizzate dalla raccolta collettiva di fondi attraverso delle apposite piattaforme online. Benché la forma più nota sia quella che consiste nel sostenere economicamente un progetto a fronte di una ricompensa futura consistente in un bene o in un servizio – si pensi alla celebre piattaforma Kickstarter – vi sono altre modalità meno conosciute che spaziano dal sostegno ad attività benefiche fino a delle vere e proprie operazioni di investimento.
È a queste ultime che si rivolge il nuovo regolamento UE con l’intento dichiarato di creare un Mercato unico del crowdfunding che racchiuda sia le operazioni di lending crowdfunding, che consistono in una raccolta di capitale da prestare a un tasso di interesse predeterminato, sia le operazioni di equity crowdfunding, il cui obiettivo è la raccolta di capitale attraverso la sottoscrizione di partecipazioni societarie.
L’equity crowdfunding
L’equity crowdfunding è un sistema di finanziamento delle imprese, a titolo di capitale, effettuato su piattaforme online abilitate.
L’azienda presenta il proprio business plan sulla piattaforma, indica i propri obiettivi e le modalità per raggiungerli, offre informazioni sulla propria attività e fissa il target di raccolta in termini di capitale minimo da raggiungere. L’investitore iscritto alla piattaforma, se interessato, si rende disponibile ad acquisire una quota di equity dell’azienda proponente e se, al termine del periodo stabilito per la raccolta, il target di capitale minimo viene raggiunto, l’operazione si perfeziona e l’investitore diventa azionista.
L’equity crowdfunding è stato introdotto in Italia dal D.L. 179/2012, convertito nella legge 221/2012. In principio, tale strumento era limitato a startup e PMI innovative ma, a seguito della legge finanziaria 232/2016 e della successiva delibera Consob, è stata estesa la possibilità di accesso a tutte le PMI, ovvero a tutte quelle imprese che abbiamo un massino di 250 dipendenti e un fatturato inferiore o uguale ai 50 milioni di euro o un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro.
Ad oggi sono 44 le piattaforme autorizzate in Italia, che assieme hanno generato nel 2018 una raccolta per equity crowdfunding (real estate escluso) pari a quasi 20 milioni di euro (Cambridge Centre for Alternative Finance, The Global Alternative Finance Market Benchmarking Report 2020, p 77; per dati inclusivi degli investimenti immobiliari si veda il 5° Report Italiano sul Crowdinvesting del Politecnico di Milano).
Tuttavia, nonostante i dati incoraggianti, la cartina di tornasole delle potenzialità di tale strumento si ha nel confronto con il paese europeo in cui tale strumento è più utilizzato, il Regno Unito, nonché con le altre principali piazze europee.
Le piattaforme di crowdfunding in UE, escluso il Regno Unito, hanno raccolto per le aziende che vi hanno fatto ricorso nel 2018 circa 226.9 milioni euro; in particolare, le piazze UE in cui l’equity crowdfunding ha raggiunto le migliori performance sono state la Finlandia con 55,7 milioni di euro raccolti, la Spagna con 39,7 e la Germania con 30,3. Tutte però ancora molto lontane dal Regno Unito che ha registrato una raccolta pari a 397,3 milioni di euro, grazie anche ad un quadro normativo e fiscale ricco di incentivi (The Global Alternative Finance Market Benchmarking Report, pp. 78 e 82).
Una opportunità per le PMI italiane
Per quanto si tratti di un meccanismo ancora poco diffuso in Italia, vi sono molteplici ragioni per ritenere che l’equity crowdfunding rappresenti una notevole opportunità per le PMI italiane che sappiano trarne beneficio. Il primo, e forse più evidente, vantaggio si riscontra nella semplificazione per i piccoli investitori dell’accesso al mercato del private-equity investment, che consiste, nella sua forma più semplice, nell’acquisto di azioni di società non quotate, a volte in stadi di sviluppo ancora embrionali.
Il beneficio è duplice: da un lato, come detto, permette ai piccoli investitori un accesso semplificato al mercato del private equity, fino a poco tempo fa appannaggio di investitori facoltosi; dall’altro, permette alle piccole e medie imprese un facile contatto con una molteplicità di piccoli risparmiatori. E questo secondo punto è tanto più rilevante se si considerano due caratteristiche del nostro sistema economico: in primo luogo, quasi un terzo della ricchezza delle famiglie italiane, il 29,1%, giace in depositi (Banca d’Itala, Relazione annuale anno 2019, p. 85); in secondo luogo, le imprese italiane, benché con un trend al ribasso, rimangono ancora ‘caratterizzate da una maggiore incidenza dei debiti bancari sul totale dei debiti finanziari’, che a loro volta ammontano a oltre il 33% delle passività (ivi, p. 89), con tutto ciò che ne consegue in termini di costo del capitale di debito.
A questo si aggiunge poi il vantaggio consistente nella rinnovata possibilità di accedere al mercato dei capitali stranieri. In quest’ottica, la cosiddetta internazionalizzazione delle imprese acquisisce un nuovo significato: non solamente l’accesso ai mercati esteri per la vendita di prodotti e servizi, ma anche l’accesso ai capitali stranieri.
Per inciso, riferendosi alla globalizzazione, spesso si pensa alla libera circolazioni delle merci e dei capitali delle grandi multinazionali del pianeta. Benché ciò corrisponda senz’altro al vero, questa prospettiva, alquanto diffusa, offre un’immagine solo parziale della portata di questo fenomeno. Spesso, infatti, si trascurano gli innumerevoli benefici che l’intensificazione degli scambi commerciali degli ultimi decenni ha offerto alle PMI, italiane ed europee, in termini di un maggiore accesso ai mercati europei ed extra-europei. Per le PMI esportatrici italiane il ruolo dell’UE è stato fondamentale in quanto ha radicalmente facilitato la vendita di prodotti e servizi in tutti i paesi europei e contestualmente ridotto le complessità concernenti il commercio con i paesi con cui l’Unione ha concluso accordi di libero scambio.
Pertanto, in linea con questa tradizione, l’UE si riconferma come grande semplificatrice offrendo un quadro normativo unico anche per l’equity crowdfunding e permettendo così alle piattaforme autorizzate di operare con semplicità in qualsiasi Stato membro, facilitando gli investitori italiani negli investimenti in imprese d’oltreconfine e incrementando le possibilità per le imprese italiane di attrarre investitori europei.
Il nuovo regolamento UE
Il Regolamento (UE) 2020/1503 del 7 ottobre 2020, che troverà applicazione a partire dal 10 novembre 2021, prevede la creazione di un Mercato unico europeo del crowdfunding con l’obbiettivo di promuovere il crowdfunding come strumento di finanza alternativa, facilitarne le applicazioni transfrontaliere all’interno dell’Unione e così agevolare una più efficace allocazione del capitale all’interno dell’UE.
A tale fine, con un meccanismo ormai tradizionale della regolamentazione finanziaria dell’UE, si prevede che la licenza ad operare che ogni piattaforma può ottenere dall’autorità domestica competente abbia il valore di un passaporto per operare in tutti gli Stati Membri, seppur con i dovuti adempimenti amministrativi (artt. 12 e 18).
Il regolamento si caratterizza poi per l’introduzione di una serie di tutele, distinzioni e regole di trasparenza modellate sulla celebre Direttiva MiFID II relativa ai mercati degli strumenti finanziari. Tra le altre, risulta di particolare interesse il ‘Test d’ingresso di verifica delle conoscenze e simulazione della capacità di sostenere perdite’ (art. 21), che prevede che, ogniqualvolta un investitore ‘non sofisticato’ desideri impegnarsi per un ammontare superiore all’importo più elevato tra mille euro o il 5 % del proprio patrimonio netto, ‘il fornitore di servizi di crowdfunding provvede a che tale investitore: a) riceva un’avvertenza sui rischi; b) fornisca un consenso esplicito al fornitore di servizi di crowdfunding; e c) dimostri al fornitore di servizi di crowdfunding che l’investitore comprende l’investimento e i relativi rischi’ (art. 21, §7). Inoltre, sempre nel rispetto delle esigenze di trasparenza, si prevede che l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) istituisca e curi un Registro pubblico dei fornitori di servizi di crowdfunding (art. 14).
Pertanto, considerate le difficoltà delle aziende più piccole ad accedere a capitali privati, e con piena consapevolezza del fatto che in un tessuto economico-sociale come quello italiano il connubio tra eccellenza e dimensioni ridotte sia assai diffuso, l’equity crowdfunding, ora agevolato dal regolamento UE, appare come una valida alternativa per capitalizzare le PMI più promettenti.
Quali prospettive di crescita per l’equity crowdfunding
Sebbene non vi sia alcun dubbio che il nuovo Regolamento sia un notevole passo in avanti per la creazione di un’Unione dei mercati dei capitali e per la promozione dell’equity crowdfunding, rimangono degli interrogativi sulla celerità con cui questa forma di finanza alternativa troverà applicazione tra i piccoli investitori. Uno tra tutti: se per l’investitore medio l’equity crowdfunding rimane tutt’al più uno strumento di diversificazione del portafoglio, ci si chiede quale ruolo possa giocare per i piccoli investitori, i quali, se ben consigliati, potrebbero scegliere di investire la medesima somma in ETF, magari anche ETF di private equity, che permettano loro una diversificazione sia di settore che geografica estremamente superiore, e quindi una riduzione del rischio, a costi di transazione oggi spesso inferiori.
Twitter @DottAngiolillo