categoria: Vicolo corto
Team orientati all’innovazione, tra ricerca e creatività
Nel mio post precedente ho messo l’accento su un tema (la relazione tra consenso e conformismo) che impatta direttamente sui processi di problem setting (definizione di un problema ed analisi delle sue cause) e di problem solving (ricerca e valutazione delle possibili soluzioni) nei team di lavoro.
Oggi vorrei introdurre un’ulteriore dimensione che ha a che vedere con la tipologia di output atteso di questi stessi processi, per poi riservare un ultimo post allo scopo di mettere in relazione queste due dimensioni (le dinamiche relazionali da un lato e la tipologia di contenuti generati dall’altro).
Per farlo, parto dal condividere le definizioni di tre termini che, nel linguaggio comune (ma a volte anche nella letteratura specialistica), trovano ampie aree di sovrapposizione e qualche volta di vera e propria confusione: creatività, ricerca e innovazione.
Io li utilizzerò attribuendo questi significati :
– per creatività intendo un processo di generazione di idee che fonda la propria efficacia su un approccio di tipo laterale (generazione di idee out-of-the-box) e quantitativo (the more, the better; più idee si generano, meglio è), in cui il focus è su un pensiero in grado di generare soluzioni che cambino i paradigmi e le regole esistenti e che, proprio per questo, richiedono una messa in discussione radicale dei presupposti e degli assunti fondamentali su cui si basa la definizione del problema;
– per ricerca intendo, invece, un processo di generazione di idee che fonda la propria efficacia su un approccio di tipo verticale e qualitativo (the deeper, the better; più è profondo, meglio è), in cui il focus è su un pensiero in grado di generare soluzioni che rappresentino un avanzamento nella conoscenza e nella comprensione teorica delle variabili e delle determinanti di un processo e che per questo richiedono una profonda conoscenza del dominio oggetto del problema da risolvere o dell’obiettivo da raggiungere;
– per innovazione, intendo, infine, un processo che porti all’introduzione di elementi nuovi o significativamente rinnovati in un prodotto, in un processo, in un’idea, in un modello interpretativo, eccetera.
Assumo, quindi, che un processo decisionale sia, per definizione, volto alla ricerca di soluzioni innovative ad un problema. Interpretato secondo questa distinzione, un processo di problem setting e problem solving efficace può essere definito come il frutto di un mix variabile tra un approccio tipo creatività e un approccio tipo ricerca.
L’innovazione, quindi, deriva da un avvicendarsi funzionale di queste due modalità (innovazione = creatività + ricerca, come illustrato nella figura seguente).
Mi pare, infatti, che un tema emergente nella raccolta di informazioni e generazione delle alternative sia proprio quello di definire il corretto alternarsi tra fasi fondate sulla qualità e la profondità degli apporti e fasi fondate sulla quantità e l’originalità. È compito del team manager, quindi, definire il peso relativo di ciascuno degli approcci, le modalità con cui metterli in campo, la risposta alle domande che ciascun approccio pone.
Mi rendo chiaramente conto che queste definizioni porgono il fianco ad una serie di precisazioni e di critiche. Quello che mi preme sottolineare è che queste scelte, pur limitando il campo delle interpretazioni possibili, portano con sé alcune conseguenze pragmatiche che sono l’oggetto stesso delle riflessioni che seguono e dei modelli interpretativi che intendo trasferire.
Partendo da queste distinzioni, infatti, si possono definire due figure alternative che possono essere messe in campo durante le fasi di raccolta di informazioni, idee, soluzioni, e che si fondano, rispettivamente, su una visione tipo creatività e su una visione tipo ricerca. A segnare la differenza è ciò che definisco domain expertise, cioè la presenza (o l’assenza) di profonde competenze specifiche circa il dominio oggetto del processo decisionale.
Si possono, così, tradurre i due approcci visti più sopra in due tipologie di figure:
– l’insider (o esperto) è colui che basa il proprio contributo di idee, esperienze, modelli sulla profonda conoscenza del dominio; più profonde e di qualità sono le informazioni apportate, più alto è il valore potenziale del suo contributo.
Si valutano positivamente (anzi, spesso rappresentano un presupposto irrinunciabile) il rigore scientifico, le prove a sostegno di ciascuna idea, l’esperienza, la competenza e l’autorevolezza del soggetto.
L’output di questo tipo di figura è ciò che più sopra ho definito ricerca.
– l’outsider (o ingenuo), al contrario, basa il proprio contributo su una visione “pulita” e scevra da presupposti, che consegue proprio dalla mancanza di condizionamenti che derivano da conoscenza ed esperienza rispetto al dominio. Si presuppone, infatti, che più la conoscenza su un tema è approfondita, più le esperienze sono consolidate, più diventa difficile concepire pensieri, soluzioni, idee out-of-the-box.
In alcuni casi (o in alcune fasi del processo decisionale), quindi, potrebbe essere opportuno sacrificare la qualità alla quantità, la profondità all’originalità, accogliendo soggetti che apportino una visione esterna, non condizionata dalla stratificazione di conoscenze ed esperienze acquisite in precedenza.
In questo caso ad essere valutate positivamente sono la varietà delle idee e degli apporti, la cross-fertilizzazione di ambiti disciplinari diversi, l’applicazione di esperienze, modelli, concettualizzazioni lontane per campo di conoscenza e/o per esperienza dal dominio oggetto della discussione o dal problema da risolvere. Si accetta, di conseguenza, il fatto che molte delle idee messe sul tavolo potrebbero non essere correttamente contestualizzate ed applicabili, e quindi il rischio di dover scartare la grande maggioranza delle soluzioni emerse, in favore del fatto che alcuni contributi (si presume, appunto, un numero limitato) potrebbero potenzialmente fornire una visione nuova ed originale di un problema, di un obiettivo, di un tema. Queste idee e contributi saranno anche, inevitabilmente, superficiali e non ancora sufficientemente articolati per trovare immediata traduzione in soluzioni applicative; necessiteranno, quindi, di approfondimenti e ulteriori sviluppi o esplorazioni.
È il tipo di output che, nelle definizioni iniziali, ho chiamato creatività.
La conseguenza di questa distinzione è che un team manager, a seconda della tipologia o della fase del processo decisionale, potrebbe stimolare apporti generati da outsider (creatività), oppure apporti generati da insider (ricerca).
L’approccio dell’outsider presenta una sua, specifica, criticità. Si tratta, infatti, una volta generate le idee creative, di rispondere a domande del tipo: quali sono i criteri per selezionare le idee potenzialmente più promettenti, meritevoli di approfondimento? Quali idee meritano lo sforzo di essere indagate più nel dettaglio? Quali, invece, possono essere immediatamente scartate perché inapplicabili?
È evidente, infatti, che questa valutazione non possa essere svolta dagli outsider stessi, visto che necessita delle competenze di dominio che solo gli insider posseggono. Nello stesso tempo, però, gli insider potrebbero essere condizionati, nelle loro scelte, dalla loro visione “dall’interno”.
Come affrontare questo dilemma?
La mia convinzione è che questo passaggio non sia riducibile in sé ad una formula o ad una ricetta. Tre attenzioni, però, possono essere utilmente applicate a questa fase, in modo da rendere questa scelta la più efficace possibile:
1) Classificare prima di valutare
Le idee e le soluzioni, prima di essere valutate, dovrebbero essere classificate secondo alcuni criteri condivisi, che le suddividano per tipologie codificate. Un modo efficiente per mettere in atto questa classificazione è quello di identificare due dimensioni con polarità opposte e costruire così una matrice a quattro quadranti.
Una volta individuate le dimensioni le idee verranno quindi classificate in quattro tipologie a seconda della collocazione nella matrice. Questo può aiutare ad individuare gli elementi comuni e le differenze tra le idee, suggerendo relazioni e criteri di scelta. (La matrice non deve essere necessariamente 2×2, se una o entrambe le dimensioni possono essere suddivise utilmente in più intervalli).
2) Pensare in modo relativo
Nonostante l’obiettivo della scelta rispetto alle idee ed alle soluzioni prospettate dagli outsider sia, per lo più, un passa/non-passa che porti a determinare quali idee approfondire con un processo di ricerca e quali, invece, scartare, non mi pare produttivo adottare un pensiero assoluto che suddivida le idee in due gruppi: meritevoli o non meritevoli di approfondimento. Piuttosto, sarebbe meglio costruire classifiche in cui le idee vengano collocate in maniera relativa, per esempio dalla più immediatamente applicabile alla meno applicabile. Più applicabile, in questo caso, non significa applicabile immediatamente in assoluto, ma relativamente alle altre idee.
3) Definire i criteri prima di prendere decisioni
Prima di parlare della decisione da assumere su ogni singola idea, è bene definire una serie di criteri di selezione, che rendano il più possibile omogeneo il processo di valutazione. Trattandosi di valutare delle idee frutto di un processo tipo creatività, i criteri dovranno essere di alto livello, non troppo di dettaglio (altrimenti, ancora una volta, le idee potenzialmente più promettenti potrebbero non essere valorizzate).
Ancora una volta, quindi, la responsabilità di orientare il team verso un approccio piuttosto che l’altro ricade, come nel caso della dinamica consenso / conformismo (e, quindi, della scelta tra strutture relazionali imparziali e parziali) sul team leader, che deve mettere in campo la propria capacità di determinare ed influenzare le dinamiche del team stesso.
Come ho già scritto, a conclusione di questo ragionamento, vorrei mettere in relazione le due dimensioni evidenziate in questo post e nel precedente (le dinamiche relazionali da un lato e la tipologia di contenuti generati dall’altro). Lo farò nel mio prossimo contributo.
Naturalmente, come sempre, attendo i vostri commenti. Potete lasciarmeli
– sul mio profilo Linkedin
– su questo post aperto sul mio blog
Twitter @lucabaiguini
Nota: devo un primo suggerimento circa la distinzione tra ricerca e creatività al lavoro del collega della School of Management del Politecnico di Milano Roberto Verganti, che ha trattato questo tema all’inizio del suo libro Design Driven Innovation