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Il difficile 2021 delle imprese italiane e l’efficacia dei decreti
Il Covid-19 sta mettendo a dura prova la vita delle persone, delle famiglie e delle imprese di tutto il mondo. Fin dall’inizio della pandemia, i Governi hanno cercato di attuare ogni tipo di misura per salvare vite umane e per cercare di tutelare l’economia.
Lo shock pandemico ha colpito un po’ tutti. Tuttavia, è inevitabile che anche il modo in cui si arrivati all’evento esogeno abbia avuto il suo peso. Che si parli di Stati, di imprese o di famiglie, si possono sempre distinguere situazioni di partenza virtuose e meno virtuose. E la distinzione influisce sui tempi e le modalità di reazione alla crisi.
Limitiamo questa breve riflessione alle imprese. Occorre necessariamente distinguere tra chi aveva le spalle robuste e chi non le aveva a Febbraio 2020. Le prime, salvo pochi settori, stanno soffrendo, ma hanno fieno in cascina a sufficienza per continuare a respirare. Le seconde non solo stanno soffrendo, ma rischiano di scomparire. Sono tante infatti le aziende che sopravvivono grazie agli aiuti pubblici, che un giorno finiranno. E allora la domanda sorge spontanea: cosa ne sarà del nostro tessuto economico?
Una visione più ottimistica ritiene che possa avvenire una selezione virtuosa, nella quale sopravvivano le imprese migliori ed escano dal mercato le più inefficienti. Un po’ come in parte avvenuto a seguito della crisi economico-finanziaria del 2008. Ma questa volta potrebbe andare molto peggio, qualora il rimbalzo non dovesse essere sufficiente e non si riuscisse a ritornare ai livelli del 2019 (anno in cui non eravamo ancora tornati ai livelli del 2007).
Purtroppo, in generale, le nostre imprese non sono arrivate allo scoppio dell’emergenza nel migliore dei modi. Un’importante fetta di aziende vi è giunta con un problema di sottocapitalizzazione, come evidenziato da un recente lavoro della Banca d’Italia.
Gli autori hanno analizzato i dati del periodo 2010-18, riferiti alle società di capitali, rinvenendo un tasso di sottocapitalizzazione pari all’8,5%.
Ma quali sono le imprese sottocapitalizzate? Le più piccole e le più giovani. Ma ci sono anche differenze a livello di settori, con una maggiore vulnerabilità nei comparti food e accommodation.
Un’altra differenza si riscontra a livello territoriale, con una maggiore sottocapitalizzazione nelle regioni centro-meridionali.
La sottocapitalizzazione non è un problema teorico, fine a sé stesso. Può infatti condurre ad uno stato di crisi, che a sua volta può comportare l’uscita dal mercato. Dopo tre anni dall’ingresso nello stato di crisi, secondo gli autori, il 61% delle imprese coinvolte esce dal mercato. Una percentuale elevatissima ed allarmante.
Gli autori analizzano poi gli effetti della pandemia su una situazione di partenza non certo idilliaca. Nel 2018, vi erano circa 48.000 imprese in stato di crisi (7,5% del totale). Senza gli interventi del governo, il numero sarebbe salito nel 2020 a 94.000, numero che si dovrebbe ridurre a 82.000 grazie ai medesimi interventi. Ma il risultato resta preoccupante. Si tratta del 12,4% delle imprese attive nel 2018, che impiegano quasi un milione di lavoratori.
Appare interessante anche l’analisi d’impatto sulle varie misure governative per sostenere la liquidità delle imprese. Secondo lo studio, i Decreti “Cura Italia” (Decreto Legge n. 18/2020) e “Liquidità” (Decreto Legge n. 23/2020), avrebbero evitato lo stato di crisi a circa 2.200 imprese. Il Decreto “Rilancio” invece (Decreto Legge n. 34/2020), avrebbe evitato lo stato di crisi ad almeno 10.000 imprese.
Naturalmente l’impatto delle misure varia in base al settore di appartenenza…
…e in base al territorio.
Fanno bene gli autori, infine, a sottolineare che, con l’avvicinarsi dell’entrata in vigore delle procedure di allerta, previste dal nuovo Codice della crisi d’impresa (che entrerà in vigore a settembre 2021), si rischia di ingolfare sin da subito il nuovo sistema disegnato dal legislatore. Con tutto ciò che ne consegue in termini di oneri per gli amministratori, per i collegi sindacali e per le Camere di Commercio (che dovranno gestire le segnalazioni).
I nodi del passato stanno venendo al pettine. Sono rimasti inascoltati gli appelli volti a favorire ed incentivare la crescita dimensionale delle imprese ed il cambio di paradigma verso una moderna struttura da vere società di capitali, con relativa separazione tra proprietà e management al crescere delle dimensioni. Gli aiuti pubblici stanno provando a tenere a galla il maggior numero di imprese possibili, ma il futuro non sembra roseo, anche perché non si possono trascurare gli effetti sul debito pubblico e le relative conseguenze.
Resistere potrebbe non bastare. È giunto il momento di compiere un salto di qualità che favorisca il rafforzamento del nostro tessuto economico, respingendo le tentazioni dirigiste. Non è mai troppo tardi.
Twitter @frabruno88