categoria: Res Publica
Cinque buoni motivi per abolire il reddito di cittadinanza
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
Il dover affrontare una crisi economica da pandemia come quella in atto, pone l’esecutivo di ogni Paese coinvolto nella scomoda posizione di fare scelte difficili, talvolta impopolari, talaltra addirittura rischiose. Si tratta, a grandi linee, di decidere come impiegare le risorse a disposizione, in situazione di “scarsità” delle stesse, in maniera tale da garantire quantomeno la sopravvivenza dell’apparato produttivo sino al momento in cui la crisi sarà conclusa.
In un tale contesto, del tutto rinnovato rispetto al paradigma economico preesistente, non ha più senso, almeno a parere di chi scrive, insistere con il reddito di cittadinanza, misura fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, poi implementata nel periodo di governo in coabitazione con la Lega.
Mi vengono in mente (almeno) 5 motivi per cui il reddito di cittadinanza debba essere abolito.
1) Non ha prodotto risultati sul mondo del lavoro
In primis, la misura non ha prodotto i risultati sperati, sotto il profilo determinante del reinserimento dei percettori nel mondo del lavoro. Il fallimento dei navigator ne è una dimostrazione evidente. Lungi dall’essere un mero provvedimento “assistenzialistico”, il reddito di cittadinanza era stato presentato come lo strumento per rivoluzionare il mondo del lavoro. I dati, a distanza di quasi due anni dalla sua introduzione, dimostrano il contrario, atteso che dei circa 3 milioni di percettori, oltre il 90% di essi non ha neppure sfiorato un lavoro, rifiutando le proposte (o non ricevendole affatto).
Per non parlare, poi, degli abusi puntualmente verificatisi, addirittura con denari finiti talvolta nelle mani di delinquenti veri e propri, riconosciuti come tale dal sistema giustizia. Si poteva e si doveva fare molto meglio sotto questo punto di vista, con controlli ex ante ed ex post, magari chiedendo quantomeno che il percettore fosse a posto con la fedina penale, chiedendogli di produrre un certificato dei carichi pendenti.
2) Ha un costo enorme
Il secondo aspetto, ovviamente correlato con la scarsità dei risultati raggiunti, è l’onerosità della misura. Il reddito di cittadinanza ha un costo enorme per le casse dello Stato, una spesa di impatto primario. Finora le stime parla di circa 9 miliardi di spesa, preventivando che nel prossimo triennio le uscite per finanziare la misura superino i 20 miliardi di euro. Inutile sottolineare come le risorse risparmiate con la sua abolizione risulterebbero determinanti nel piano di ripartenza del Paese.
3) Il sostegno serve altrove
Il reddito di cittadinanza, oltre alla sua funzione di “reinserimento” nel mondo del lavoro (aspetto fallimentare, come già detto), si pone quale misura di sostegno per le fasce deboli della popolazione (nonostante gli abusi l’abbiano spesso destinata in altri lidi), in carenza di risorse economiche.
L’emergenza da coronavirus, tuttavia, ha creato nuove categorie di “bisognosi”, sovvertendo l’ordine delle priorità per la destinazione di misure assistenziali. Ad oggi, infatti, sono le aziende ad aver bisogno di una cospicua reintegrazione di risorse, venute meno per effetto delle chiusure e delle compressioni subite dalle varie attività. In questo caso, le misure di sostegno servono a preservare anche la sopravvivenza del sistema che ruota intorno all’azienda, prima ancora che del suo titolare. In altri termini, attorno ad un impresa che rischia di chiudere per la pandemia, gravitano dipendenti che non avranno più un lavoro, fornitori che non saranno più pagati, locatori che non incasseranno gli affitti, ecc.
La crisi delle aziende travolge a cascata tutto il background di riferimento, con effetti devastanti. Perciò, fermo restando che anche i percettori del reddito di cittadinanza (quelli legittimi, non gli usurpatori) sono categorie di “bisognosi”, a costoro se ne sono aggiunte altre, il cui default risulterebbe gravissimo non solo per la singola persona bisognosa (sfera da tutelare assolutamente), bensì per tutte le persone che dipendono, direttamente o indirettamente, dal sistema azienda.
Il discorso è semplice: in un contesto fisiologico di scarsità di risorse, la scelta su come destinarle deve rispondere a priorità che, nel nuovo paradigma economico, sono mutate e rendono anacronistica la misura del reddito di cittadinanza.
4) Non funziona contro il lavoro nero e “incentiva” la disoccupazione
Anche questi profili, sotto certi aspetti connessi tra loro, sono ben noti. Sono diffusissime le situazioni in cui i percettori del reddito di cittadinanza svolgono contestualmente un lavoro non dichiarato, per non perdere il sussidio. Il danno è duplice, perché da un lato la sovvenzione finisce in una direzione sbagliata, dall’altro il lavoro nero sottrae ulteriori risorse alle casse dello Stato. Oltre ai percettori che fanno un altro lavoro, poi, ci sono quelli che, proprio in virtù del fatto di percepire l’assegno mensile, non cercano affatto un impiego e/o lo rifiutano in caso di proposte ritenute poco “convenienti”. Del resto, questo è un aspetto che riguarda in generale le misure di sostegno del reddito: perciò il meccanismo dovrebbe funzionare in maniera tale da evitare queste distorsioni. Ma così non è, e ciò è un triste dato di fatto.
5) Il flop elettorale
Un ultimo motivo, che mi sento di dover evidenziare, sono i risultati alle urne del partito che ha fatto delle misura uno dei propri cavalli di battaglia, oltre ad averla implementata in concreto.
Tra i detrattori del reddito di cittadinanza, era argomento comune quello di tacciare il provvedimento quale una mossa di demagogia politica, per accaparrarsi voti. In altri termini, una sorta di “mancia” elettorale, nella convinzione che i beneficiari del sussidio avrebbero “ricambiato” (sia concesso il termine) con un sostegno di tipo politico. Anche questo aspetto, tuttavia, è stato smentito. I consensi per la forza politica in questione sono vistosamente calati, tanto nei sondaggi attuali, quanto negli scorsi appuntamenti al voto. In altri termini, la misura non ha portato benefici neppure a chi l’aveva implementata.