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Guida pratica alla consulenza finanziaria per chi tiene i soldi sul conto
Autore di questo post è Costantino Forgione, consulente finanziario –
È noto come gli italiani siano tra i più grandi risparmiatori al mondo. Questa indubbia qualità si accompagna purtroppo ad un livello di educazione finanziaria che ci colloca invece tra gli ultimi posti nelle graduatorie internazionali.
Una popolazione “ricca” ma finanziariamente poco acculturata fa dell’Italia il mercato ideale per banche e Società di Gestione del Risparmio: il risparmio italiano è una grande ricchezza a cui può essere facile “attingere” se la clientela non comprende appieno le proposte di investimento che gli vengono fatte per, eventualmente, rifiutarle.
Molti, rendendosi conto dei rischi di investire seguendo proposte che non comprendono, preferiscono evitare di farlo e tengono i propri risparmi sul conto corrente, rinunciando così alla possibilità di beneficiare della crescita dell’economia globale e dei mercati finanziari:
Attualmente giacciono su conti correnti a tasso zero circa 1.680 miliardi di euro: è un enorme spreco per i tanti che, dopo aver accantonato risparmio al prezzo di duri sacrifici, rinunciano a farlo fruttare per timori più o meno ingiustificati, disinformazione o semplice pigrizia.
Cercherò quindi di chiarire alcuni dei dubbi che i risparmiatori potrebbero avere rispetto alla consulenza finanziaria e agli investimenti. La speranza è quella di poter contribuire ad una maggior consapevolezza degli italiani riguardo al proprio risparmio ed avvicinarli all’investimento in modo più sereno e consapevole.
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L’importanza dei costi e come evitarli con una consulenza professionale
Lo dico subito: se non siete del settore dovete rivolgervi ad un professionista. Investire è semplice ma non è affatto facile, gli errori possono costare molto cari e lasciare i soldi sul conto non è la soluzione perché alla lunga vi impoverisce.
Non seguite il sentito dire, non ascoltate parenti ed amici che ne sanno quanto voi, non seguite le mode o gli articoli di giornale, non date retta a quel che trovate su internet: non fate nulla di tutto ciò, è il modo migliore per farvi male da soli. Rivolgetevi ad un consulente qualificato, esattamente come fate quando andate dal medico specialista (se non sapete curarvi da soli), da un legale (se non sapete patrocinarvi da soli), da un commercialista e così via.
Rivolgersi ad un professionista comporta dei costi che è importante conoscere e un consulente serio non avrà alcun problema ad illustrarveli. Resto sconcertato quando invece qualcuno mi dice che alla sua banca non paga nulla sugli investimenti e che il servizio bancario di consulenza è gratis: beata ingenuità! Nessuno lavora gratis, neanche le banche.
Sappiate quindi che in tutti i prodotti di investimento offerti ai risparmiatori sono presenti dei costi nascosti che possono anche essere elevati: un fondo comune, una polizza, una gestione patrimoniale in fondi può avere oneri totali compresi tra l’1% ed il 5% all’anno.
Se avete avuto la sfortuna di investire in un fondo che costa il 3% all’anno, ad esempio (e neanche lo sapete), quando il mercato finanziario salirà del 5% il valore del vostro fondo salirà solo del +5% -3%= +2%, mentre quando il mercato scenderà nella stessa misura il vostro fondo perderà -5% -3%= -8%.
Ovviamente non ha alcun senso cercare di guadagnare il 2% rischiando di perdere l’8% ed è per questo che il controllo dei costi negli investimenti è fondamentale. Se avete investimenti di cui ignorate i costi interpellate un consulente per una analisi del vostro portafoglio: un 3% di costo medio annuo implica che dopo 10 anni di investimento un terzo del vostro capitale sarà stato mangiato dai costi.
Questi oneri nascosti retribuiscono la banca o il consulente (non sempre, come vedremo) e sono evitabili.
Una indicazione dei costi applicati al risparmio degli italiani la troviamo nella distribuzione dell’incidenza delle commissioni di performance delle SGR italiane rispetto ai loro utili netti nel 2019:
I modelli di consulenza finanziaria: banche e consulenti a confronto
In Italia la consulenza finanziaria viene erogata principalmente da banche e consulenti finanziari (gli ex-promotori), che hanno due modelli di business e ambiti regolatori molto diversi tra loro.
Per legge, tutti i consulenti finanziari devono obbligatoriamente essere iscritti ad uno specifico Albo Nazionale tenuto dall’OCF, Organismo di vigilanza sui Consulenti Finanziari, che è una emanazione della CONSOB.
Per potersi iscrivere all’Albo i consulenti finanziari devono dimostrare di possedere competenze adeguate superando un difficile esame abilitativo. Per poter mantenere l’iscrizione all’Albo sono poi obbligati a sostenere un minimo di 60 ore di aggiornamento professionale ogni anno, con ulteriore esame finale da superare. Questo fa dei consulenti finanziari delle figure competenti a cui il risparmiatore può rivolgersi con la certezza di trovare un interlocutore qualificato.
Queste norme a tutela dei risparmiatori non sono invece previste per il personale bancario: l’impiegato che trovate in filiale e che vi propone fondi, gestioni patrimoniali, certificati ecc. normalmente non è iscritto all’Albo perché questo non è richiesto dalla normativa. Per quanto in banca sia senz’altro possibile trovare anche ottime professionalità, a causa della mancanza di esami e formazione periodica il livello di competenza è generalmente basso.
A differenza del consulente finanziario, che è solitamente un professionista lavoratore autonomo, l’impiegato bancario è un dipendente che presta la propria opera nell’interesse della banca da cui è retribuito, ed è quindi soggetto alle pressioni commerciali della direzione che indirizza il suo personale sui prodotti finanziari che devono essere venduti alla clientela, quelli più redditizi per la banca.
Un dipendente non può che seguire le indicazioni aziendali e vendere alla clientela quanto richiesto, in una ottica di massimizzazione dei profitti dell’istituto per cui lavora: è evidente il conflitto tra l’interesse del cliente e quello della banca. La vendita allo sportello delle famigerate obbligazioni subordinate che tanti danni hanno portato ai clienti delle banche “risolte” è nato da questo conflitto di interessi.
Per concludere, in banca non trovate consulenza, ma un servizio di vendita di prodotti finanziari costosi ed inefficienti che viene fatta nell’esclusivo interesse della banca, non del cliente.
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Il consulente finanziario
Diversamente dall’impiegato bancario il consulente finanziario è un libero professionista che collabora con una banca specializzata in investimenti. Non percepisce uno stipendio, ma una parte delle commissioni generate dai prodotti di investimento che ha collocato alla sua clientela.
Generalmente il consulente ha una totale discrezionalità sui prodotti da utilizzare e quindi, a differenza delle banche, può consigliare quelli più efficienti e meno costosi per il cliente. Anche in questo caso però un conflitto tra l’interesse del cliente e quello del consulente può verificarsi: il consulente, se il suo guadagno dipende dalle commissioni generate dai prodotti che propone, potrebbe essere tentato di consigliare quelli più costosi per il cliente, su cui lui guadagna di più.
Il consulente finanziario “a parcella”
È per questo motivo che, ormai da diversi anni, anche in Italia è stata introdotta la consulenza “a parcella” importata dal modello anglosassone: in questo tipo di consulenza non sono previste commissioni a favore del consulente, quanto piuttosto un pagamento diretto da parte del cliente, la parcella appunto, ad un costo percentuale fisso sul controvalore del portafoglio su cui viene prestata la consulenza. Questo costo è chiaramente esplicitato e viene addebitato sul conto corrente del cliente, che ne ha così piena evidenza.
In questa tipologia di consulenza il conflitto di interesse scompare, in quanto il consulente viene retribuito direttamente dal cliente in misura fissa, a prescindere dal prodotto consigliato e sarà quindi libero e motivato a consigliare quelli che sono i migliori per il cliente.
Si realizza così una piena convergenza tra l’interesse del cliente (ottenere il beneficio di un buon servizio ad un costo chiaro) e quello del consulente (essere retribuito per la sua attività professionale).
Il consulente finanziario autonomo
I consulenti finanziari autonomi sono consulenti finanziari iscritti allo stesso albo OCF (in una sezione differente) che offrono le stesse garanzie di professionalità del consulente finanziario tradizionale, ma che lavorano da soli senza appoggiarsi ad alcuna banca, offrendo un servizio a parcella analogo a quello citato precedentemente. Dopo un iter legislativo decennale sono stati ufficialmente introdotti dalla normativa nel gennaio 2019 ed il loro numero è ancora modesto, poche centinaia rispetto alle decine di migliaia dei consulenti tradizionali, ma è lentamente destinato ad aumentare.
Nonostante queste innovazioni alcuni risparmiatori preferiscono ancora il vecchio modello: ricordo un avvocato che mi disse di preferire 3000 euro di costi annui senza vederli (tramite le commissioni nascoste nei prodotti) piuttosto che pagare 1000 euro all’anno di parcella vedendo gli addebiti sul suo conto corrente. Scegliete voi.
Quanto è giusto pagare?
In linea di massima un costo consulenza dell’1% all’anno per patrimoni inferiori ai 500.000 euro sembra essere diventato lo standard. Per patrimoni superiori questo costo può ridursi fino allo 0,8%-0,7%, salvo specifiche esigenze che rendano la consulenza particolarmente impegnativa (successioni, ottimizzazioni fiscali, valorizzazione del patrimonio immobiliare ecc.)
Come si trova un consulente finanziario?
Il riferimento principe è l’Albo dei Consulenti Finanziari dove potete trovare l’elenco degli iscritti per regione. Potete anche dare un’occhiata a Google, molti consulenti hanno un sito internet personale da cui potrete farvi un’idea del tipo di servizio offerto. LinkedIn è un’altra ottima risorsa. Comunque selezioniate il vostro candidato controllate sempre che sia iscritto all’Albo.
Cosa chiedere al consulente al primo incontro?
1. Dove ha lavorato, che esperienza ha, da quanti anni fa questo lavoro?
2. Quanti clienti ha? (se ne ha tanti non riuscirà a seguirvi bene)
3. Che tipo di consulenza offre? (a parcella o con retrocessioni?)
4. Quale è il suo costo?
5. In pratica, in cosa si concretizza la sua consulenza?
6. Che tipo di strumenti usa e perché?
7. Dopo la profilatura Mifid: che profilo ho? Che rischi mi posso assumere?
8. Perché mi propone questo investimento? Perché questo strumento finanziario?
9. Se il consulente spiega e voi non capite non fate finta di niente, chiedete ancora e poi chiedete di nuovo: fatevi spiegare tutto per bene e ascoltate con attenzione, perché si sta parlando dei vostri soldi e del vostro futuro.
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