categoria: Draghi e gnomi
Riflessioni sulla cancellazione del debito (la finanza è un gioco a somma 0)
Alcune recenti esternazioni del presidente del parlamento europeo David Sassoli hanno riacceso la discussione sulla ipotesi di cancellazione del debito pubblico. Nello specifico, in questo frangente si farebbe riferimento al debito originato dalle spese legate alla pandemia e la cancellazione sarebbe limitata ai titoli detenuti dalla Banca Centrale Europea.
Una proposta in questo senso era stata pubblicata in ottobre sul quotidiano Avvenire dall’economista Leonardo Becchetti che è ritornato sul tema con un altro articolo il 17 novembre in seguito alle esternazioni di Sassoli, alle quali ha prontamente replicato il vice presidente dalla BCE Luis de Guindos ribadendo come al momento non esista alcun fondamento legale per procedere ad una cancellazione del debito da parte della banca centrale e specificando che la monetizzazione del debito sia espressamente vietata dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea.
L'#Europa cancelli i debiti dei governi dovuti alla #pandemia, non è accettabile che ricadano sui cittadini e sulle generazioni future.
Si abbia la capacità di scelte forti, coraggiose.
Gli #Eurobond diventino permanenti, si elimini il diritto di veto!https://t.co/91rtn3pYLE— David Sassoli (@DavidSassoli) November 15, 2020
L’idea di fondo è che le circostanze eccezionali che hanno portato ad una crescita straordinaria del debito pubblico in molti paesi possano giustificare misure altrettanto straordinarie come appunto quella della remissione di una parte del debito.
Non è molto semplice farsi un’idea sulla questione perché non esiste una definizione precisa di “cancellazione del debito”, non è del tutto chiaro quali sarebbero le modalità tecniche con cui dovrebbe essere realizzata e le discussioni su eventuali misure di intervento sul “debito eccessivo” finiscono talvolta per coinvolgere anche fattispecie molto diverse come ad esempio l’emissione di titoli irredimibili o a lunghissima scadenza, menzionati per esempio negli articoli di Becchetti, che si trovano al centro di altre proposte come quella di Giavazzi e Tabellini.
Fedele allo spirito di questo blog, che non rifiuta a priori soluzioni poco ortodosse, ma si propone di promuovere sempre un dibattito fondato sull’onestà intellettuale, la coerenza logica e il rigore scientifico delle argomentazioni dibattute in questo post, provo a fornire alcune coordinate di riferimento per offrire ai lettori gli strumenti necessari per formarsi un’opinione sulla questione.
Il primo punto fermo è che la finanza è un gioco a somma zero: i guadagni di ciascun giocatore corrispondono alle perdite di un altro giocatore. Per usare una terminologia resa celebre all’economista Milton Friedman: “non esistono pasti gratis”. Dunque il punto di partenza è che il debito non sparisce nel nulla e il fatto che si trovi dematerializzato nei registri contabili di una istituzione che percepiamo come lontana o astratta non cambia questo fondamentale dato di fatto.
Il debito pubblico è stato emesso dai governi per acquistare risorse reali, che si tratti del lavoro svolto dai dipendenti della PA o di beni e servizi forniti da un’impresa privata. Dunque il debito costituisce la promessa di conferire in futuro delle risorse reali di valore equivalente a quello delle risorse “consumate” dal governo.
Il fatto che questo debito (dei governi) sia per qualche tempo parcheggiato nel bilancio della banca centrale costituisce un mero rinvio del momento nel quale il governo dovrà restituire ai portatori dei titoli un valore reale in linea con l’impegno preso.
Che succede se la banca centrale rinuncia per sempre a chiedere il rimborso di questo debito?
Le regole della partita doppia ci dicono che se si riduce una voce dell’attivo di bilancio, deve ridursi in proporzione anche il passivo.
Se la banca centrale decidesse di operare come un qualsiasi altro soggetto dovrebbe ridurre il proprio patrimonio in misura proporzionale alle perdite registrate sui crediti. A quel punto però si renderebbe necessario da parte dei governi ricostitutire il patrimonio dunque il beneficio della cancellazione sarebbe nullo: i governi che non devono più rimborsare il debito pubblico, sarebbero chiamati a versare nuovo capitale nella banca centrale.
Un’alternativa possibile è quella di utilizzare la prerogativa unica delle banche centrali e creare dal nulla delle passività che non pagano un interesse: si tratta di mettere in pratica quella monetizzazione del debito che è vietata dai trattati, mettendo in discussione la credibilità della BCE.
Questo è forse il passaggio più difficile da comprendere e per renderlo proviamo a raccontarlo in termini reali, a costo di qualche imprecisione o semplificazione. Quando la BCE ha acquistato i titoli di debito pubblico, ha introdotto nel sistema economico una quantità di moneta che può essere scambiata con una data quantità di beni e servizi. Per semplicità diciamo un valore paragonabile a quello acquistato dai governi che hanno emesso il debito.
Gli operatori economici accettano come mezzo di pagamento quella moneta perché si sentono garantiti dal fatto essa rappresenti un certo valore, misurabile in beni e servizi e la garanzia è data appunto dal fatto che quei titoli di debito sono parcheggiati temporaneamente e prima o poi saranno riconsegnati all’emittente che rimborserà un valore reale pari agli impegni presi.
Se i titoli presenti in quel parcheggio temporaneo spariscono vuol dire che la capacità della moneta messa in circolazione di rappresentare beni e servizi reali viene messa in discussione. Sul tema avevo scritto un post su questo blog un po’ di tempo fa.
Per riassumere, cancellare un debito vuol dire addossare al creditore una perdita.
Se io lavoro N ore per guadagnare X euro e presto questi soldi a tizio che non me li restituisce, vuol dire che subisco una perdita pari alle N ore che ho lavorato per guadagnare i soldi perduti. Se il creditore è la banca centrale la perdita rimane e cambiano i soggetti che subiranno la perdita connessa alla cancellazione: se diminuisce il valore reale della moneta in circolazione (quantità fisca di beni e servizi che con essa posso comprare) vuol dire che tutti i soggetti che la detengono e che hanno ceduto beni e servizi reali per ottenerla subiranno in parte la perdita.
Si può discutere di quanto meritorie siano le ragioni per distribuire la perdita connessa alla cancellazione del debito pubblico tra la pluralità dei soggetti interessati e del fatto che questa azione sia o meno preferibile alle alternative (per es tassare di più i contribuenti dei paesi debitori), ma lo scopo di questo post era chiarire che prima di porsi il problema di accordare o meno una remissione del debito, è fondamentale stabilire chi si farà carico della perdita connessa con questa scelta.
Podcast – La Finanza in Soldoni