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Il monopolio delle Big Tech e come può cambiare il voto Usa
L’autrice di questo post è Maria Elena Viggiano. Giornalista, segue progetti di internazionalizzazione per le Pmi e di innovazione –
“Pensa che Twitter e Facebook siano di parte in queste elezioni?” ha chiesto Eric Bolling, il conduttore di America This Week, a Trump. “Al 100%” – la risposta – “e sinceramente questa storia si sta rivelando importante quanto la corruzione”. Non è da sottovalutare, per il risultato delle elezioni americane, il braccio di ferro tra l’attuale presidente americano e i big tech, una battaglia indirizzata più ai social media che ad Apple o Amazon. La controversia riguarda in particolar modo il presidente degli Usa e Twitter, il suo social preferito e più utilizzato. Trump conta oltre 87 milioni di followers, quasi 58.000 tweet con una media di 10 al giorno ed un record di 62 cinguettii il 4 giugno, secondo il sito trumptwitterarchive.com. Nonostante ciò, la piattaforma di microblogging ha segnalato dei tweet di Trump, riguardanti il rischio di frode elettorale nel voto via posta e di essere “immune” al coronavirus, inserendo una etichetta con l’avviso di verificare i fatti ed un link che rimanda ad una pagina curata dalla società o da fonti affidabili sull’argomento trattato. Una misura in linea con la nuova politica del social per il contrasto alla disinformazione. Twitter e Facebook hanno poi limitato la diffusione di un articolo pubblicato sul New York Post contro il candidato democratico Joe Biden in attesa di fact-checking.
Immediata la replica del tycoon che, non solo ha denunciato il potere incontrollato delle piattaforme social nel censurare e indirizzare la grande mole di interazioni tra persone, ma è passato ai fatti con una proposta di legge per cambiare il contenuto della Sezione 230 del Communications Decency Act che protegge le piattaforme online dalla responsabilità dei post pubblicati dagli utenti e permette di moderare o rimuovere commenti pericolosi. Ciò ha favorito la concentrazione di un enorme potere nelle mani dei big tech che, in possesso di una grande quantità di dati, possono decidere quali voci amplificare e quali informazioni nascondere con un forte impatto sulla vita quotidiana delle persone e sul commercio. Le piattaforme online sono anche accusate di facilitare le attività criminali e di non denunciare comportamenti illegali mentre la proposta consente di intentare cause civili contro i social che promuovono lo sfruttamento dei minori ed il terrorismo. In modo inaspettato la riforma della Sezione 230 è sostenuta anche da Joe Biden. In un report di 450 pagine, in cui la parola monopolio appare 120 volte, i Democratici giungono alla conclusione che Apple, Amazon, Facebook e Google hanno appunto il monopolio nei rispettivi ambiti di competenza.
Per dare un altro segnale forte, nei mesi scorsi Trump ha affermato di riconsiderare la spesa del governo di “miliardi di dollari” su queste piattaforme. Secondo Pathmatics, società di marketing analitycs, in realtà il governo ha speso in pubblicità 135 milioni di dollari su Facebook e meno di 8 milioni di dollari su Twitter. Intanto il social di Mark Zuckerberg rimane la principale piattaforma per le campagne elettorali e gli inserzionisti politici negli Stati Uniti hanno speso 264 milioni di dollari solo nel terzo trimestre del 2020. Ma quanto spende Trump? Ed il suo avversario Biden? Secondo il Financial Times, nei primi sei mesi del 2020 Trump ha speso 80 milioni di dollari (rispetto ai 21 milioni del 2016) in pubblicità mentre Biden meno di 65 milioni di dollari. Un altro capitolo di spesa sono i sondaggi: 4,9 milioni di dollari contro 317.000 dollari. Il progetto “Illuminating 2020” dell’Università di Syracuse (New York) ha invece analizzato la pubblicità sui social media dei due candidati nel periodo che va dal 1° giugno al 13 settembre: 34,5 milioni per Trump e 23,4 milioni per Biden. In entrambi i casi, i post sono finalizzati a “call to action” per gli utenti: sottoscrivere una petizione, dare un contributo economico, rispondere ad un sondaggio, guardare un video. L’obiettivo è raccogliere dati ed informazioni per profilare le persone in modo da identificare e coinvolgere attivamente i potenziali sostenitori nei singoli Stati.
Una strategia pianificata già da diverso tempo. “La campagna è incentrata sulla raccolta dei dati” – raccontava Brad Parscale, ex manager di Trump, al Guardian nel 2019 – “Se ti raggiungiamo digitalmente, vogliamo sapere chi sei e come pensi per inserirti nei nostri database”. Sulla base di queste informazioni viene poi messo a punto un programma sofisticato per i social media per comunicare con gli elettori. Basti pensare che nel 2019 Trump ha speso 20 milioni di dollari in oltre 218.000 post pubblicitari su Facebook. Ma quanto contribuiscono i big tech alla campagna elettorale dei due contendenti? Secondo gli analisti, i donatori affiliati ai colossi del digitale preferiscono i Democratici. A supporto di Biden compare Alphabet Inc. con 1.7 milioni di dollari, Microsoft con 848.667, Amazon con 749.410, Facebook con 576.988 ed Apple con 537.630. Nessuno dei big tech è tra i principali donatori di Trump.
Twitter @mariaelenaviggi