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Tregua commerciale USA-UE: un bilancio della guerra dei dazi
Post di Mario Angiolillo e Flavio Menghini. Angiolillo è direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute. Esperto di tematiche geopolitiche e di relazioni internazionali, svolge attività di advisory per diverse società con particolare riferimento agli impatti e alle opportunità offerte da Brexit. Menghini, Fellow di The Smart Institute, esperto di commercio internazionale e foreign direct investment, si occupa in particolare di relazioni esterne dell’Unione Europea e sviluppo sostenibile.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno recentemente siglato un’intesa volta a ridurre i dazi su alcuni beni e generi alimentari rappresentanti un interscambio pari a circa 200 milioni di dollari. Si tratta della prima riduzione negoziata di tariffe tra i due blocchi negli ultimi venti anni e rappresenta il primo passo verso il disgelo dalle tensioni commerciali di questi ultimi due anni. Benché la portata economica di tale accordo sia pressoché trascurabile – interessa meno dello 0,03% del valore degli scambi di beni tra USA e UE che nel 2019 corrispondeva a 852 miliardi di dollari – la sua rilevanza politica appare marcatamente riconciliatoria.
Lo scontro tra Washington e Bruxelles
Lo scontro commerciale tra Washington e Bruxelles, benché intensificatosi a partire dal 2018, ha in realtà le sue origini in una disputa innescata nel 2004 dai sussidi che sia USA sia UE versano rispettivamente a Boeing and Airbus. Nel 2019, dopo avere ottenuto l’autorizzazione dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), gli USA hanno imposto tariffe del valore complessivo di 7,5 miliardi di dollari sugli import dall’UE come compensazione dei sussidi che quest’ultima ha versato a Airbus. A sua volta però l’UE ha prevalso sulla controversia relativa alle sovvenzioni americane a Boeing e fonti interne affermano che sia stata autorizzata venerdì 25 settembre ad applicare tariffe sanzionatorie per 4 miliardi di dollari. Mentre la pubblicazione della decisione si attende nelle prossime settimane, molti tirano un sospiro di sollievo poiché questo potrebbe segnare l’atto finale di una contesa che entrambe le parti sembra vogliano lasciarsi alle spalle.
A questa annosa disputa si somma anche quella, di grande rilievo politico, sul deficit commerciale degli Stati Uniti. L’introduzione nel 2018 da parte dell’amministrazione USA di nuovi dazi su alcuni beni provenienti dall’UE è stata infatti istituita, sulla base della sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, come risposta al persistente deficit della bilancia commerciale americana. Prima della cosiddetta “guerra dei dazi”, il deficit sui beni ammontava a 800 miliardi di dollari nel 2017 – di cui 344 nei confronti della Cina e 152 nei confronti dell’UE – mentre il deficit totale ammontava a 514 miliardi (United States Census Bureau, The Observatory of Economic Complexity).
Il “mini accordo commerciale”
Firmato da Robert Lighthizer, rappresentante per il Commercio USA, e Phil Hogan, commissario UE per il commercio – peraltro solo pochi giorni prima che quest’ultimo fosse costretto alle dimissioni per avere violato le regole sul distanziamento sociale nel suo paese d’origine, l’Irlanda – questo “mini-accordo commerciale” rappresenta l’incontro di una volontà politica comune alle due sponde dell’Atlantico volta ad evitare l’escalation verso una vera e propria guerra commerciale.
Nel comunicato congiunto delle due parti si legge che l’UE eliminerà i dazi sulle aragoste in maniera retroattiva a partire dal 1 Agosto 2020 – per chi si chiedesse quale fosse la ragione di questo, si ricordi che il peso politico delle aragoste è molto marcato per l’elettorato americano che opera in un settore che si era trovato improvvisamente svantaggio da quando, nel 2017, il Canada ha eliminato la quasi totalità dei dazi con l’UE.
Anche gli USA, in maniera retroattiva e con conseguenze economiche paragonabili, dimezzeranno i dazi su alcuni prodotti quali cibi pronti, prodotti di cristallo e accendini.
Tuttavia, nonostante la volontà politica di cercare una distensione, non si può credere, come era apparso in un primo momento, che altri “mini accordi” possano seguire quello appena concluso. Tra le molteplici ragioni che ancora impediscono un progresso sostanziale nei negoziati commerciali, ve ne sono due sulle quali sembra non esserci alcun punto d’incontro.
Da un lato, gli USA lamentano la difficoltà ad esportare prodotti agricoli nel mercato UE a causa della rigidità delle norme comunitarie; dall’altro, la riluttanza americana a trovare un nuovo equilibrio sulla tassazione transazionale dei giganti del web.
Una soluzione a questi ed altri dilemmi non pare vicina, come peraltro si deduce dalle parole di Valdis Dombrovskis, Vice Presidente della Commissione e ora anche Commissario per il commercio, il quale ha chiarito che è altamente improbabile che vi siano altri “mini accordi commerciali”.
I numeri dello scontro commerciale
Secondo i dati del WTO e considerando i beni effettivamente scambiati, all’avvio delle tensioni commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, l’UE aveva in essere dazi medi su prodotti USA pari a circa il 4% con picchi del 7,5% sull’alluminio, del 10% sulle automobili e oltre il 10% su alcuni prodotti alimentari. A ciò si devono poi aggiungere le cosiddette barriere non tariffarie dovute a standard di qualità, quali le norme sanitarie e di sicurezza – si vedano ad esempio le regole della dalla PAC, la Politica Agricola Comune, spesso al centro delle controversie sull’accesso dei prodotti agricoli USA in UE.
Benché le politiche protezionistiche abbiano ridotto la crescita delle importazioni nei USA, la congiuntura internazionale e le azioni ritorsive dei partner commerciali hanno parimenti ridotto la crescita delle esportazioni. Ed infatti, se il biennio 2017-2018 ha visto una marcata crescita dell’import-export con i flussi commerciali in ingresso che crescevano più dei flussi in uscita, nel 2019 la crescita si è arrestata e si è giunti ad una situazione di equilibrio tra i differenziali dei due flussi commerciali che ha determinato una leggera diminuzione del deficit per beni e sevizi che è passato da 580 miliardi di dollari nel 2018 a 577 nel 2019.
Questo trend non si riflette tuttavia negli scambi con l’UE, nei rapporti con la quale i dazi non hanno avuto un effetto apprezzabile. Infatti, non solo gli scambi sono cresciuti in valore assoluto, ma è persino aumentato il deficit commerciale degli USA con l’UE, ragione principale dell’innescarsi del confronto.
Mentre in precedenza allo scontro commerciale il deficit statunitense con l’UE era pari a 152 miliardi di dollari – 64 determinati dagli scambi con la sola Germania – a fine 2019, ad oltre un anno dall’avvio della guerra dei dazi sul mercato globale, la bilancia commerciale dei beni vedeva il divario allargarsi fino a raggiungere i 178 miliardi di dollari (United States Census Bureau). Gli USA rimangono saldamente il primo mercato di sbocco per le esportazioni UE, rappresentando il 18% delle esportazioni totali, e il secondo partner in termini di importazioni con il 12% – al primo posto si trova invece la Cina con il 19% (Eurostat).
Un trend americano che non guarda solo all’UE
Come si è visto, benché l’attenzione dell’istituto americano di vigilanza sulla correttezza negli scambi commerciali, la US International Trade Commission, si sia tradizionalmente focalizzata sugli scambi da e verso il mercato Cinese, un particolare scrutinio è stato recentemente rivolto anche alla UE ed in particolare alla politica mercantilista tedesca, la quale rappresenta di fatto il traino del surplus commerciale europeo.
La guerra dei dazi con l’UE rappresenta tuttavia solamente una delle strategie adottate da Washington in un’operazione volta a rivisitare le priorità commerciali degli Stati Uniti. Alle misure riservate all’UE si affiancano infatti i dazi antidumping per quei prodotti stranieri che vengono immessi nel mercato statunitense ad un prezzo più basso di quello applicato sul mercato di provenienza, i dazi compensativi che vanno a contrastare le misure a favore dell’export messe in campo da Paesi esteri per favorire la penetrazione del mercato USA, l’abbandono del TTIP, nonché le molteplici misure adottate contro la Cina.
Le presidenziali di novembre
Tutto ciò è oggetto della campagna elettorale che ha ormai raggiunto il suo apice con il primo dei dibattiti tra il Presidente Trump e il candidato Democratico Biden. Qualsiasi sia la sorte delle presidenziali di novembre, i dati mostrano come sia auspicabile un rapido ricongiungimento delle due sponde dell’Atlantico che permetta a USA e UE di abbandonare inutili conflitti intestini, e che favorisca una rinnovata integrazione tra USA, UE e Regno Unito (post Brexit) per dedicare forze ed energie alle sfide climatiche e geoeconomiche del XXI secolo.
Twitter @DottAngiolillo