categoria: Draghi e gnomi
Unione fiscale per fare dell’euro una valuta internazionale. Eppur si muove
Post di Roberto Ricciuti, professore associato di Politica economica presso l’Università di Verona –
Poco prima dello scoppio della pandemia, Ethan Ilzetzki, Carmen Reinhart (da giugno 2020 capo economista della Banca Mondiale) e Kenneth Rogoff hanno pubblicato il paper “Why Is The Euro Punching Below Its Weight?” (NBER Working Paper n. 26760). Il saggio mostra come l’euro abbia un peso negli scambi internazionali, nelle riserve delle banche centrali e nei mercati finanziari di gran lunga inferiore a quello che potrebbe avere. È opportuno ricordare che la dimensione delle due economie è piuttosto simile, in quanto gli USA rappresentano il 18% della produzione mondiale, mentre l’eurozona è il 12%.
La prima misura riguarda la percentuale di paesi che usa l’euro come ancora per il proprio tasso di cambio: rappresentavano il 25% del Pil mondiale nel 1999, ora si è ridotto al 15%, mentre il dollaro ha visto questo valore salire dal 60% al 70%.
Una seconda misura è data dalle riserve delle banche centrali in cui l’euro è passato dal 18% del 1999 ad un massimo del 30% nel 2009, per poi scendere al 20% di oggi. Le riserve in dollari sono il 60% del totale.
Gli autori analizzano le cause di questo risultato deludente per l’euro e ne suggeriscono diverse.
In primo luogo, sostengono che vi sia un’insufficiente offerta di asset denominati in euro di elevata qualità, che possa essere vista dagli investitori internazionali e dalle banche centrale come una riserva di valore. Titoli tedeschi e greci sono denominati in euro, ma hanno rischi diversi. Secondo gli autori, l’assenza di un titolo dell’area euro, garantito da tutti i governi e perciò percepito come sicuro, riduce molto la domanda di euro.
Inoltre, i sistemi finanziari degli USA e dell’eurozona sono molto diversi: il primo è basato sul mercato finanziario e quindi sull’emissione di azioni e obbligazioni come strumento principale per il finanziamento delle imprese; il secondo è fondato sulla banca come principale finanziatore. Di conseguenza, gli investitori internazionali trovano un’ampia offerta di azioni e obbligazioni in dollari, che invece è fortemente minore in euro.
Vi sono, inoltre, cause legate alla gestione della moneta unica. Ilzetzki, Reinhart e Rogoff sostengono che dal 1999 al 2011 la politica monetaria della Banca Centrale Europea è stata sostanzialmente uguale a quella che la Bundesbank avrebbe realizzato, se fosse stata ancora responsabile della politica monetaria. Questa politica potrebbe essere stata controproducente per l’eurozona nel suo complesso. A partire dal 2012 la Banca Centrale Europea avrebbe attuato una politica monetaria più attenta alle necessità dell’eurozona nel suo complesso ma agendo ai limiti del suo mandato con effetti fiscali (si ricordi, a questo proposito, la sentenza della Corte costituzionale tedesca dello scorso maggio). Questo potrebbe aver creato ulteriore incertezza sulla credibilità dell’euro come riserva di valore, e quindi scoraggiato gli investitori esterni all’eurozona.
Dopo lo scoppio della pandemia l’esistenza stessa dell’euro è stata in discussione, ma le istituzioni europee sono state rapide nell’affrontare la crisi, innanzitutto attraverso la politica monetaria, e successivamente con il Next Generation EU che prevede una spesa pubblica europea di 750 miliardi di euro. Per finanziare questo programma saranno emessi titoli di debito pubblico di cui i paesi europei saranno solidalmente responsabili e che quindi avranno una qualità elevata e che potranno avere un’ampia domanda mondiale. Questo valore corrisponde a circa due anni di emissioni del debito pubblico italiano, una quantità che certamente non sarà in grado di modificare gli equilibri del mercato mondiale del debito pubblico, ma che creerà un titolo che entrerà nei portafogli degli investitori internazionali alla ricerca di titoli affidabili.
Se Next Generation EU sarà – come auspicabile – l’inizio di una politica fiscale europea, questa sarà solo la prima emissione di un titolo di debito pubblico di qualità elevata e di ampia quantità. In questo modo, due degli ostacoli individuati da Ilzetzki, Reinhart e Rogoff (assenza di un titolo globale affidabile e politica monetaria che sfocia nella politica fiscale) sarebbero potenzialmente eliminati.