Perché gli stipendi in Italia non crescono, dalla produttività al Covid

scritto da il 10 Agosto 2020

In Italia gli stipendi non crescono. Da tanti anni, ormai, la retribuzione mensile dei lavoratori è ferma a quella di diversi anni fa. Vien da chiedersi perché: quali sono le ragioni di una mancata crescita degli stipendi? Prima di provare a rispondere: va necessariamente fatta una distinzione tra questi due termini “cugini”. Per salario, s’intende la retribuzione a ore del lavoratore; con stipendio, si indica la retribuzione fissa mensile che viene corrisposta al prestatore di lavoro. Unica differenza: il termine temporale, nulla più. Ciò detto, si può procedere all’analisi delle cause di questo fenomeno, anche “smontando” una tesi spesso additata come sacra e inviolabile.

OBIEZIONE: GLI STIPENDI NON CRESCONO PERCHÉ C’È DEFLAZIONE

In macroeconomia si studia la relazione che intercorre tra inflazione e stipendi. Infatti, essendo l’uomo un essere razionale, privo quindi di illusione monetaria, preferisce stipendi indicizzati all’inflazione, ovvero crescenti all’aumentare del livello dei prezzi. Preferenza condivisibile, visto che un aumento dell’inflazione può far variare il costo della vita. Viceversa, in caso di deflazione – ovvero inflazione negativa, quindi riduzione del livello dei prezzi e conseguente aumento del potere d’acquisto della moneta – gli stipendi indicizzati sono destinati a diminuire. A tal proposito, nasce la teoria secondo cui gli stipendi non crescano in quanto in Italia ci sia deflazione, fenomeno che tutt’al più li riduce. In realtà, il grafico sottostante dimostra l’esatto contrario: l’Italia ha visto la deflazione per l’ultima volta nel lontano 1959, da cui è scaturito il c.d. “miracolo economico”. Dall’anno dopo fino a giugno 2020, l’inflazione media è stata del 5.5 % circa.

SOLUZIONE 1: È AUMENTATO IL COSTO DEL LAVORO

Tra le possibili risposte alla domanda contenuta nel titolo, ce n’è una legata al mondo delle imprese. Fare impresa, infatti, ha un costo, e ogni singolo dipendente in più può fare la differenza nei bilanci di un’azienda. Il c.d. costo del lavoro, in questo caso rivolto ai singoli lavoratori di un’impresa, non cessa di crescere da almeno 20 anni. Nel grafico sottostante, i punti a indice fisso (2015=100) riguardo il Belpaese non hanno mai smesso di aumentare.

SOLUZIONE 2: SI LAVORA MENO A SALARI PIÙ ALTI

Questa ipotesi, oltre che rivestire un ruolo economico nella discussione, ne riveste uno operativo. Il salario, come detto sopra, consiste nella retribuzione oraria del lavoratore, mentre lo stipendio in quella mensile. A parità di retribuzione, aumentare le ore lavorative non farà crescere il salario, ma lo stipendio sì. Al contrario, lavorare meno vuol dire – e ci mancherebbe – guadagnare meno. Il passo è breve: in Italia le ore lavorative si sono ridotte negli anni. Dati alla mano, l’ipotesi risulta verificata – 1811 ore annuali medie per lavoratore nel 2005 contro le 1718 del 2019.

Non solo: è semplice verificare come, contemporaneamente, sia aumentata la retribuzione oraria dei lavoratori. I salari, quindi, sono aumentati. Sono gli stipendi a non essere cresciuti.

SOLUZIONE 3: LA PRODUTTIVITÀ ITALIANA È FERMA

Esiste un indicatore, riporta OECD, che misura “l’efficienza” del sistema produttivo di un paese. Meglio: la sua produttività, intesa, più che in termini di Pil, in termini di un maggiore utilizzo del capitale, di una riduzione dei lavoratori a bassa produttività, di guadagni di efficienza generale e innovazione ecc. L’Italia, da diversi anni a questa parte, ha una crescita della produttività molto altalenante. Nell’arco temporale sotto riportato, la crescita media risulta essere sì positiva, ma in termini assoluti è davvero minima (circa 0.195 %).

SOLUZIONE 4: È AUMENTATO IL TASSO DI OCCUPAZIONE

Altra relazione importante da considerare nella stesura della soluzione al problema sopra esposto riguarda il tasso occupazionale. Questo indicatore misura il numero di occupati in un Paese come percentuale della popolazione in età lavorativa – la c.d. working age population. Com’è facile intuire, se lavorano più persone, gli stipendi tendono a diminuire. “Guadagnare meno per guadagnare tutti”. Questo tasso non cessa di crescere dal 2013; nel 2019, il 59% dei cittadini in età lavorativa – 15-29 – era occupata, mentre nel 1998 questo tasso si attestava al 52%.

SOLUZIONE BONUS: È DIMINUITA LA SPESA PUBBLICA SUL MERCATO DEL LAVORO

Lo Stato, nel garantire servizi ai cittadini, si occupa anche del mercato del lavoro. Gli strumenti di cui dispone sono molti: servizi pubblici per l’impiego, indennità di disoccupazione, incentivi alle start up. Tra questi, figurano gli incentivi all’occupazione, che oltre a creare lavoro, permettono spesso alle imprese di garantire stipendi più alti ai dipendenti – pagandone i contributi, proponendo incentivi fiscali ecc. Tali incentivi nel 2002 costituivano lo 0.4% del Pil italiano, massimo storico. Da quell’anno – anno peraltro in cui la moneta unica è entrata in circolazione – tali incentivi sono stati tagliati, fino a dimezzarsi nel 2015. Conforta il confronto con paesi come la Germania e la Francia: dal 2000, infatti, garantiamo – in proporzione al Pil – più incentivi di loro (e dal 2013 siamo anche sopra la Spagna).

CRESCERANNO?

Data l’incertezza da Covid-19, prevedere una potenziale crescita degli stipendi si presenta come un compito arduo. Tuttavia, i fattori sopra esposti, accompagnati dalla ripresa che verrà – nel lungo terminepotrebbero determinare un lieve aumento degli stipendi. Va stimolata l’inflazione, destinata ad aumentare per via della forte immissione di liquidità grazie ai vari strumenti a disposizione del Belpaese. A queste politiche espansive, però, va accompagnata una regolamentazione bancaria meno restrittiva di quella attualmente in vigore, altrimenti si corre il rischio, ancora una volta, di impedire alle banche di mettere in circolazione determinate somme di denaro. Lo Stato dovrebbe rivedere gli incentivi concessi alle imprese, le quali dovrebbero impiegare in maniera più efficiente le risorse a loro disposizione, così da avere un impatto positivo, e di valore, sul costo del lavoro e sulla loro produttività. È forse presto per dirlo, ma la crisi da pandemia ci impone un rinnovamento della concezione del lavoro che oggi possediamo. Diceva Borsellino: “A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato.” Va rivisto il compito del lavoro nella nostra quotidianità, e con esso, vanno riesaminate, per intero, le nostre priorità.

Mattia Moretta