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Torneremo a viaggiare per lavoro, ma nulla sarà più come prima
Post di Daniele Grassi, security risk manager presso IFI Advisory –
La sostanziale riapertura dei confini europei ha segnato l’avvio della “fase due” per la mobilità internazionale, spingendo molte aziende a riprendere la pianificazione delle proprie attività all’estero, nella speranza che il trend di riapertura in atto sia oramai incontrovertibile.
L’economia italiana è tra quelle che hanno maggiormente risentito degli effetti negativi della pandemia, tuttora in corso in ampie regioni del mondo: secondo le più recenti stime della Commissione Europea, il 2020 vedrà una riduzione del PIL italiano dell’11,2%, dato peggiore tra i Paesi del blocco UE, dietro a Spagna e Grecia.
In Italia, infatti, le misure legate al lockdown hanno frenato bruscamente i consumi privati, in calo del 10,9% nel 2020, e determinato una forte riduzione degli investimenti (-14,2%), dovuta, in parte, all’incertezza sulla tenuta di lungo periodo dell’economia e, per certi versi, delle nostre stesse istituzioni. A questi risultati negativi, tuttavia, contribuisce certamente la forte flessione dell’export, in calo quest’anno di circa il 13%.
In Italia, le esportazioni rappresentano oltre il 30% del PIL, contribuendo generalmente a determinare saldi di bilancia commerciale estremamente positivi: nel 2019, l’avanzo commerciale è stato pari a 52,9 miliardi (dato più alto mai registrato dall’Istat), con un aumento di oltre 13 miliardi sull’anno precedente.
Rispetto ad altri Paesi, anch’essi caratterizzati da una forte propensione agli scambi commerciali con l’estero, in Italia sono le Piccole e Medie Imprese a trainare questo settore, contribuendo per il 48% delle esportazioni totali (in Francia, le PMI contribuiscono appena per il 17%).
La forte dinamicità delle PMI italiane, spesso in grado di sopperire con audacia e ingegno a carenze di carattere strutturale rispetto a competitor stranieri, costituisce, tuttavia, in questa particolare fase storica un limite che rischia di produrre conseguenze estremamente negative.
Sebbene in progressiva ripresa, la mobilità internazionale resta significativamente al di sotto dei livelli pre-covid: il 15 luglio, secondo i dati forniti dall’organizzazione Eurocontrol, sono stati effettuati 14.170 voli nello spazio aereo europeo, in forte aumento rispetto alle settimane precedenti, ma comunque inferiore del 62,6% rispetto a un anno fa.
La ridotta mobilità internazionale penalizza soprattutto le aziende più piccole, il cui attivismo commerciale è fondamentale ai fini della sottoscrizione di nuovi ordini e del mantenimento delle quote di mercato conquistate nel tempo. La situazione attuale, infatti, offre un vantaggio competitivo alle organizzazioni strutturalmente più solide e dotate di maggiori risorse, oltre che ai player locali, non limitati nella loro operatività dalle restrizioni poste dai vari governi e, in molti casi, dalle amministrazioni locali.
Peraltro, la linearità organizzativa che caratterizza molte delle Piccole e Medie Imprese fa sì che esse non sempre dispongano delle funzioni necessarie per garantire un’efficace gestione della complessa fase in corso, né in termini operativi né sotto il profilo legale.
In capo a ogni Datore di Lavoro, vi è l’obbligo giuridico di tutelare l’incolumità del personale aziendale. In caso di attività fuori sede, tale prescrizione assume un carattere ancora più stringente e pervasivo, coprendo l’intera durata della trasferta e non solo il tempo strettamente necessario a svolgere le attività lavorative. Si tratta del cosiddetto ‘dovere di protezione’, concetto giuridico di derivazione anglosassone che in Italia trova la sua specifica disciplina nel Decreto Legislativo 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro) e in diversi articoli del codice civile e penale.
La tutela delle persone costituisce un’attività estremamente delicata, specialmente per le realtà operanti in contesti critici sotto il profilo politico, securitario o sanitario. L’emergenza covid-19 ha contribuito a complicare ulteriormente il quadro di riferimento, introducendo nuove significative variabili a quelle tradizionalmente considerate in fase di pianificazione del viaggio.
In primo luogo, le restrizioni adottate a livello internazionale, la cui natura e portata varia da Stato a Stato, costringono le aziende a districarsi in un ginepraio di norme e adempimenti formali, spesso difficili da interpretare. Tali limitazioni, infatti, possono riguardare sia la nazionalità del personale viaggiante sia altri fattori, quali l’aeroporto di provenienza o l’ambito di operatività. In alcuni casi, al personale viaggiante è richiesta la compilazione di specifici form o il possesso di tamponi che attestino la negatività al covid-19; in altri, il personale residente che intenda far rientro nel Paese deve prima ottenere una specifica autorizzazione dalle competenti autorità ministeriali.
In capo alle aziende vi è, inoltre, l’obbligo di valutare la rischiosità di una trasferta anche in termini di potenziale esposizione del personale alla possibilità di un contagio, prendendo, dunque, in considerazione elementi che attengono alla diffusione dei casi nella specifica località di interesse, alle misure adottate internamente per limitare tale rischio e alla complessiva capacità di fornire assistenza in caso di positività al virus. Si tratta, in questo caso, di valutazioni inerenti all’ambito prettamente sanitario e che richiedono competenze specialistiche, difficili da possedere internamente, specialmente nel caso di Piccole e Medie Imprese.
Vari Governi, ad esempio quello danese, hanno emesse Linee Guida rivolte proprio alle PMI, allo scopo di fornire indicazioni puntuali sulla gestione della mobilità internazionale in questa complessa fase emergenziale. Non a caso, la Danimarca, proprio come l’Italia, risulta fortemente dipendente dalle proprie esportazioni, collocandosi all’ottavo posto nell’Indice di Interconnessione Globale elaborato da DHL.
La capacità delle Piccole e Medie Imprese italiane di adattarsi al nuovo contesto internazionale inciderà in misura significativa sulla rapidità di ripresa della nostra economia. L’emergenza covid-19 potrebbe, quindi, offrire l’opportunità per una più ampia diffusione della cultura della sicurezza in ambito aziendale, consentendone il ritorno e l’espansione su mercati oramai sempre più complessi e irrimediabilmente segnato dall’evento pandemico.