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Come il temporary management può avvicinare le Pmi alle banche
Post di Maurizio Quarta, Temporary Management & Capital Advisors –
La crisi post COVID ha riportato a galla due atavici punti deboli di molte PMI italiane: sottocapitalizzazione e sottomanagerializzazione. Il secondo punto, in particolare, è stato indicato come critico sia dal Comitato guidato da Vittorio Colao nel documento «Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022», sia da Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, nella sua conversazione con la Stampa Estera.
La stessa Confindustria e Cerved hanno lanciato un allerta per il possibile default post emergenza di molte PMI e per uno spostamento generale verso il basso del merito di credito con la conseguenza di un innalzamento della probabilità media di default del sistema e relativo impatto sistemico sul mondo bancario e sul suo portafoglio. All’interno del triangolo ideale costituito da banche, temporary management e PMI, le competenze possono rappresentare un elemento baricentrico per renderlo operativamente virtuoso. Servono quindi competenze manageriali, ma in tempi molto rapidi.
In tal senso il temporary management (di seguito indicato come TM) è uno strumento quasi ottimale per portare nelle PMI competenze di alto livello, immediatamente operative e in tempi molto brevi, con l’ulteriore capacità di operare in un contesto di tipo straordinario quale quello imposto dall’attuale congiuntura.
Peraltro, le PMI già il TM lo conoscono e lo utilizzano (come mostrato dai dati dell’indagine frutto della collaborazione tra Leading Network e IIM-Institute of Interim Management Italy): uno dei principali motivi di utilizzo è proprio l’acquisizione di elevate competenze manageriali per accrescere le capacità delle persone già operanti in azienda, che alla fine di un intervento saranno in grado di fare le stesse cose meglio di prima oppure di farne di nuove.
Dalla combinazione di tutti questi fattori riprende vigore la discussione intorno al concetto di bancabilità del temporary management, con cui si intende la possibilità da parte delle banche di finanziare progetti di TM in aziende loro clienti (specie PMI), anche in situazione di crisi.
Perché le banche dovrebbero farlo?
In primis per un motivo banalmente egoistico, ovvero evitare che il rischio di deterioramento del portafoglio diventi sistemico, ma anche, più altruisticamente e in un’ottica di responsabilità sociale, per contribuire a creare un ecosistema managerialmente sostenibile. Senza contare che hanno dei plus da poter giocare: sono presenti sul territorio e tendenzialmente vicine alle aziende, di cui conoscono i «numeri» veri anche prima degli altri, hanno competenza e potere di persuasione e possono essere veloci in un contesto del tutto privatistico.
Il che però non significa che la bancabilità sia gratis: le PMI devono metterci del loro comprendendo che l’approccio è meritocratico e etico e che alla base c’è un interesse comune condiviso.
Banche, imprese e manager ne hanno diffusamente discusso in un recente evento, organizzato da AIDP Emilia Romagna, ANDAF e IIM Institute of Interim Management.
Marcello Dall’Aglio, dell’Area Concessione Crediti di Crédit Agricole Italia ha sviluppato questi concetti nell’ottica di una banca internazionale, ma fortemente radicata anche sul territorio.
Secondo Dall’Aglio “il processo di concessione del credito sta evolvendo verso una più oggettiva misurazione del rischio“. Questo non implica peraltro un’automatizzazione del processo decisionale, che rimane soggettivo e nella sensibilità del decision-maker, ma che si baserà su elementi di contesto oggettivi. La misurazione comporta non solo un’analisi del passato e del presente dell’impresa, ma anche del suo futuro e della qualità del management (misurata anche dal livello di trasparenza e profondità della comunicazione finanziaria, e dalla capacità di raggiungere gli obiettivi).
Il mondo delle PMI è ancora in media connaturato da una certa sottomanagerializzazione: in imprese ormai troppo complesse per essere gestite da una persona sola, spesso l’imprenditore mantiene il ruolo di unico decision-maker, mentre sarebbe opportuno che riservasse per sé le scelte strategiche, e delegasse in maniera piena un team di manager che dovrà scegliere, motivare con obiettivi specifici e valutare nelle performance. La stessa complessità assunta dall’impresa aumenta inoltre il numero di stakeholder: le banche, i dipendenti, il sottosistema economico di cui fa parte, lo Stato, l’ambiente e così via. Questa maggiore responsabilità si dovrà tradurre in un più elevato livello di disclosure; nel caso specifico degli Istituti di Credito, in una maggiore formalizzazione e condivisione di cosa l’azienda è, e soprattutto di cosa intende diventare.
Questa condivisione rappresenta un’opportunità:
– di avere un feedback critico sulla validità dei propri piani strategici da parte di un terzo qualificato, la Banca;
– di crescere managerialmente;
– di migliorare la qualità del rapporto con i propri partner finanziari:
In sintesi, una maggiore managerialità nelle PMI non potrà che migliorare la qualità dell’interlocuzione con gli istituti di credito.
Michela Bolondi, vice presidente Legacoop e presidente Proges, ha invece fornito la visione del mondo aziendale, con tutte le peculiarità e complessità del contesto cooperativo italiano. “Le imprese cooperative segnalano sempre più spesso un crescente fabbisogno di professionalità manageriale, anche da attingere dall’esterno, utile per poter meglio organizzare le attività e per migliorare il livello di efficienza e conseguentemente la redditività. Il potenziale di miglioramento delle imprese cooperative è molto ampio, ma occorre focalizzarsi su un diverso approccio, in quanto hanno esigenze sociali, economiche e organizzative ben diverse dalle imprese a base familiare o dai gruppi multinazionali (es. la natura non speculativa del modello, il reimpiego degli avanzi di gestione, il rispetto del patto mutualistico.
Il modello del temporary management può essere trasferito anche alle aziende cooperative, ma occorre adattarlo alle nostre caratteristiche e ai loro valori specifici: ci vogliono anche risorse provenienti dal mondo industriale privato, che sappiano però porsi in maniera creativa nei confronti di modelli organizzativi e di governance cooperativi.
Alcuni dei progetti concreti in cui il mondo della cooperazione ha già fatto ricorso alla figura del temporary management sono legati all’internazionalizzazione e allo sviluppo di nuove aree di business, all’aumento temporaneo dei volumi di produzione a causa di situazioni non direttamente imputabili alla cooperativa stessa, la ristrutturazione aziendale, riassestamento economico e finanziario.
Chiarissima la richiesta di banche e aziende: quale la risposta della classe manageriale?
Alla domanda hanno risposto Andrea Molza, presidente di Federmanager Emilia Romagna, e Alessandro Testa di Jefferson Wells (Manpower Group).
Per Andrea Molza “l’altra faccia del problema “crisi” è l’opportunità, soprattutto per le PMI, di poter approfittare di uomini e donne molto preparati che, a valle di esperienze precedenti poco attente al fattore relazionale, ricerchino progetti/sfide in realtà dove la dimensione e di conseguenza il package economico siano minori a vantaggio però di un ambiente più operativo e dinamico. Essendo per il manager un approccio in parte nuovo, iniziarlo attraverso strutture che già operano in quel senso riduce il rischio di ”rigetto” (e al contrario ne aumenta il successo). Nessuno nasce “imparato” , l’apprendimento è un continuum: ma l’umiltà ne è un ingrediente fondamentale”.
Per Alessandro Testa di Jefferson Wells “il ruolo del temporary manager in Italia è oggi tipicamente ricoperto da professionisti tra i 40 e i 55 anni, con almeno 5 differenti esperienze aziendali significative alle spalle. L’importanza della conoscenza pregressa di differenti contesti aziendali è un prerequisito per il TManager, che deve mostrare da subito elevate capacità di adattamento e influenza. L’era post COVID, con il suo focus sulla flessibilizzazione dei costi fissi, e la ricerca continua di soluzioni di efficienza, sia lato tecnologie che processi, può rappresentare un’opportunità importante per i TManager e per le PMI che intendano avvalersi di questo servizio, volendo aumentare la propria competitività in uno scenario instabile”.