categoria: Draghi e gnomi
Tre mesi vissuti pericolosamente: il Covid ha cambiato la finanza?
Era dal 1975 che l’indice S&P 500 non guadagnava il 17% in circa 3 mesi, mentre il Nasdaq non incamerava un +28% dal 1999, ovvero poco prima dell’esplosione della bolla “dot.com”. Cosa è successo?
Andiamo con ordine: tutti ci ricordiamo metà marzo, il lockdown mondiale, Covid-19 in piena esplosione ed economia chiusa. Per il mercato borsistico tutto ciò ha un unico significato: il crollo peggiore dal 1929. Le principali piazze perdono tutte oltre il 10%, la svendita di titoli è enorme e a dominare è il panico. Ma nei giorni seguenti le borse rialzano la testa e mettono a segno un rally incredibile, compiendo una ripresa a V.
Colpa del Coronavirus? No, non del tutto. Sicuramente la forte incertezza su una possibile seconda ondata preoccupa gli investitori mondiali, e questo potrebbe spiegare i cali degli ultimi giorni, ma ciò non oscura una ripresa che sa di miracolo. Negli Stati Uniti, i recenti lockdown in Texas e le proteste del movimento “Black Lives Matter” non hanno impedito allo S&P 500 di realizzare un rimbalzo storico, oppure al Nasdaq di segnare un importante recupero. Quest’ultimo annota come “top performance” le azioni di Zoom, con un +270% e un’importante crescita dei titoli Apple, Microsoft e Tesla.
Il rifugio sui titoli tecnologici ha contribuito alla ripresa immediata del Nasdaq, che da -30% è stato il primo a tornare ai massimi. Ma, come molti analisti osservano, il Nasdaq è un indice settoriale e non dobbiamo dimenticarci che la grande fiducia nella tecnologia ha portato l’esplosione della bolla denominata “dot.com” meno di 20 anni fa. Il timore che i prezzi si stiano allontanando troppo dai valori fondamentali non riguarda però solo l’indice tecnologico. Parecchi investitori hanno guardato con sospetto l’incredibile ascesa dei titoli farmaceutici, dovuta certo all’importanza che hanno ricoperto nei mesi più critici della crisi, ma non da giustificare salite del 300%.
Ma negli ultimi giorni di giugno le borse hanno visto nuovi cali. Le forze ribassiste che si stanno facendo sentire nelle ultime sedute non sono solo dovute alle paure degli investitori, ma comprendono anche motivi tecnici. Molti fondi, vedasi JP Morgan, hanno nello statuto regole percentuali di portafoglio da investire in azioni e obbligazioni, e se nei prossimi giorni le azioni supereranno la soglia stabilita, ci saranno delle vendite.
Sul fronte europeo, quello che sta avvenendo non si discosta molto dalla realtà oltre oceano. Dai minimi di marzo, il Dax tedesco, che ha segnato un –12,24%, recupera il 43%, mentre Piazza Affari il 28%, dopo un crollo del -17% il 12 marzo.
Il sospetto di una nuova bolla speculativa era nell’aria già nel 2019, ma ora con i tassi di riferimento principali delle banche centrali prossimi allo zero, l’avversione al rischio potrebbe aumentare.
Il mercato dei titoli di Stato
Per quanto riguarda i titoli governativi, gli acquisti delle banche centrali hanno consentito di mantenere un’alta liquidità e tassi d’interesse bassi. Il Tesoro italiano ha collocato con successo sia il nuovo Btp Italia, titolo con rendimento legato al tasso d’inflazione, sia il Btp Futura, primo titolo di Stato dedicato interamente ai piccoli risparmiatori con rendimento legato alla crescita del Pil. Entrambi i titoli sono finalizzati a finanziare le spese per la crisi da coronavirus e offrono un rendimento minimo garantito elevato. Il fondo BlackRock, il più grande investitore al Mondo, offre una visione positiva sui titoli di Stato italiani, in un contesto in cui i rendimenti degli altri titoli non sono attraenti. La banca tedesca Commerzbank ritiene che i Btp saranno convenienti per gli investitori fino a quando lo spread non scenderà sotto i 150 punti base.
L’andamento dello spread
Nel frattempo lo spread di Italia e Grecia, i due Paesi europei con il debito pubblico e i tassi d’interesse più alti, è esploso durante le prime settimane della crisi, per poi tornare su livelli inferiori, vitali per la capacità di finanziamento sul mercato.
I primi due aumenti rilevanti di inizio marzo si sono registrati durante l’avvio del lockdown in Italia e dopo i primi interventi della Bce che avevano deluso le aspettative del mercato. Il 17 marzo è stato raggiunto il picco, in concomitanza con il crollo delle Borse a causa dei timori per la crisi da coronavirus. Per l’Italia lo spread è arrivato a 276 punti base. L’avvio del Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) ha consentito allo spread di tornare su livelli più bassi. Infatti, gli acquisti della Bce fanno in modo che i tassi d’interesse necessari ai Paesi più indebitati per finanziarsi sul mercato non esplodano. Per l’Italia lo spread ha toccato il livello più basso di questi mesi verso la fine di marzo, quando la Bce ha annunciato di non avere intenzione di adottare le Outright Monetary Transactions (Omt), cioè gli acquisti diretti di titoli di Stato di un determinato Paese sull’orlo della bancarotta. Lo spread è calato sia per l’Italia che per la Grecia, in quanto il mercato ha percepito un rischio minore, rassicurato dal fatto che la Bce non ritiene necessario di dover implementare l’ultima arma a sua disposizione per evitare il default di un membro dell’Eurozona.
L’Italia è più rischiosa della Grecia?
Dal 2 giugno lo spread della Grecia è inferiore a quello dell’Italia. Oggi i tassi greci sono più bassi rispetto a quelli italiani su tutte le scadenze superiori a sei mesi. La notizia può sorprendere, in quanto il rating del merito creditizio della Grecia (BB) rientra fra i titoli “spazzatura”. In realtà il “sorpasso” era già avvenuto una volta lo scorso novembre. Il fatto che l’Italia sembri essere considerata più rischiosa della Grecia, nonostante un rating migliore (BBB/BBB-), è dovuto a diversi fattori.
Innanzitutto, la Bce ha iniziato ad acquistare anche i titoli “spazzatura” della Grecia con il Pepp. In secondo luogo, la Grecia è riuscita ad arginare la pandemia e in conseguenza non dovrà aumentare di molto il deficit pubblico come l’Italia. Probabilmente il fattore più importante è la liquidità. I titoli italiani sono molto più liquidi di quelli ellenici. Per questa ragione risentono maggiormente della grande volatilità del mercato. Infatti, la maggior parte del debito pubblico della Grecia è congelata e solo una piccola quota, inferiore al 20%, può essere negoziata liberamente sul mercato.
L’esplosione del debito pubblico
Durante le prime settimane della pandemia le conseguenze economiche sull’economia non erano ancora chiare. Le banche centrali sono state le prime a comprendere la gravità della situazione e a intervenire di conseguenza. Dopo un periodo di inerzia, i governi dei vari Paesi hanno adottato molte misure di politica fiscale. La combinazione fra interventi di spesa pubblica e calo del Pil ha causato un forte aumento del rapporto fra debito pubblico e Pil degli stati europei. Come si può vedere dal grafico, l’Italia, da sempre caratterizzata da un debito elevato, è uno dei Paesi con la maggiore stima di aumento. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, il debito pubblico globale raggiungerà i valori più alti della storia, con un rapporto debito/Pil del 101,5% nel 2020 e del 103,2% nel 2021.
Secondo Draghi, gli alti livelli del debito pubblico saranno una caratteristica permanente dell’economia. Tuttavia, il debito non deve essere utilizzato solo per la spesa corrente. È importante che i governi riescano a implementare delle strategie di consolidamento dell’economia nel medio-lungo periodo. Per fare ciò diventa cruciale il coordinamento fra la politica fiscale e quella monetaria. L’enorme debito accumulato negli ultimi mesi è un problema per le generazioni future e il fattore che può consentire un suo ridimensionamento è solo uno: la crescita economica.
Testo a cura di Edoardo Casalino e Riccardo Romano Boiani
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