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I sette nodi economici che mettono a rischio la democrazia
Il COVID-19 non cambierà il mondo. Chi detesta il capitalismo, l’immigrazione e l’inquinamento si augura che il virus li elimini tutti, e in un colpo solo. Tuttavia – come dimostrato da crisi del passato – cambiare è difficile. Solo un decennio fa, la crisi finanziaria globale del 2008 (global financial crisis – GFC) diede adito ad ambiziosi propositi di riforma – tutti disattesi.
Uno status quo pericoloso. Cambiare è necessario: in assenza di decisioni coraggiose, l’aumento della disuguaglianza favorirà il populismo e il nazionalismo, mettendo a rischio la democrazia (Figura 1).
In primis, la crescita rimarrà al di sotto del potenziale. La recessione più profonda del secolo: i) frenerà la domanda aggregata e manterrà l’inflazione (i.e. indice dei prezzi al consumo – consumer price index) al di sotto dei target delle banche centrali; e ii) imporrà la rilocalizzazione (reshoring) e catene di approvvigionamento più corte, infliggendo danni permanenti alla produttività del lavoro e alla produzione potenziale (potential output). Negli anni a venire, in tutto il mondo la crescita del prodotto interno lordo (Pil) e il reddito pro capite rimarranno a livelli inferiori a quelli del 2019. Una ripresa a forma di V è improbabile.
In secondo luogo, altre tre crisi sono possibili. Nell’autunno del 2020, una crisi sociale costringerà i governi a proteggere i posti di lavoro e mitigare i costi sociali della recessione (e.g. disoccupazione, salute mentale e violenza domestica). Nel 2021, imprese e paesi fortemente indebitati potrebbero essere colpiti da una crisi del debito che – a sua volta – rischierebbe di dar origine a una crisi bancaria.
Terzo, le banche centrali non avranno alternative: dovranno stampare moneta. L’unica carta da giocare per attutire la crisi e finanziare la ripresa sarà una politica monetaria espansiva. L’allentamento (easing) non convenzionale finanzierà: 1) disavanzi pubblici crescenti (i.e. salari, assistenza sanitaria e pensioni saranno pagati sempre più con denaro fresco di stampa, ossia con monetizzazione del debito); e 2) istituti finanziari, compresi quelli insolventi (i.e. zombie banks), e operatori sistemici di mercato (e.g. società di gestione del risparmio e degli investimenti). La liquidità fluirà seguendo le strutture di potere; rispetto ai lavoratori dipendenti (wage-earners), speculatori e rentiers (profit- and rent-seekers) ne trarranno un vantaggio sproporzionato.
Quarto, lo Statalismo aumenterà. Finanziato dalla liquidità delle banche centrali, il ruolo dello Stato crescerà. L’intervento in ‘settori di interesse nazionale’ (e.g. energia, telecomunicazioni, sanità e prodotti farmaceutici) verrà considerato imprescindibile. Acquisiranno legittimità le imprese a partecipazione statale e la necessità di normative più intransigenti; ne conseguirà un’allocazione inefficiente delle risorse.
Quinto: i governi, impigriti dai ‘soldi facili’, non riformeranno. La maggior parte dei governi del globo ha annunciato piani fiscali ambiziosi, fino al 10–20 percento del Pil. Tuttavia, i progetti pronti (shovel-ready projects) sono rari e le capacità di implementazione (execution skills) sono scarse. Poiché la capacità di assorbimento (absorption capacity) è limitata e il denaro è fungibile, ai policy-maker converrà dare priorità alle spese correnti (e.g. salari e indennità) rispetto alle spese in conto capitale (e.g. investimenti). In presenza di abbondanti finanziamenti, le riforme strutturali – necessarie ad attirare capitali a lungo termine e a stimolare la competitività – saranno accantonate. Nei mercati del lavoro, la dicotomia tra ‘chi ha’ (haves) e ‘chi non ha’ (have-nots) si cristallizzerà.
Sesto, la disuguaglianza tra paesi aumenterà. La traiettoria di ciascun paese dipenderà da: i) visione e capacità dei leader politici; ii) strutture di potere preesistenti; e iii) istituzioni. Nei prossimi mesi, i risultati economici, politici e sociali divergeranno radicalmente. Gli errori (policy mistakes) avranno costi esponenziali. Le nazioni organizzate e innovative ne usciranno avvantaggiate mentre quelle lente e burocratiche – caratterizzate da potenti rentiers, poca concorrenza, bassa crescita e debito elevato – soffriranno di più.
Settimo, il denaro stampato dalle banche centrali aggraverà il divario economico (wealth gap). Il denaro sarà abbondante – e quasi gratuito – per coloro che sono meritevoli di credito (creditworthy), ma non sarà concesso a coloro che non hanno il capitale per garantire nuovi debiti. “Main Street” continuerà a soffrire di: i) ‘compressione del reddito’ (income compression); ii) rischi di stagflazione; e iii) investimenti in calo. “Wall Street” continuerà a beneficiare della leva speculativa e dell’inflazione degli attivi (asset inflation)[i]. Senza “trickle-down”, aumenterà il divario di opportunità e ricchezza – in ogni nazione.
La democrazia è a rischio. Dall’Atene dei ‘Trenta tiranni’[ii] all’avvento di Hitler[iii], la democrazia ha sempre fallito ‘dall’interno’. L’ascesa autoritaria è stata favorita da: 1) contesti in rapida evoluzione; 2) politici inetti; e 3) istituzioni deboli. Oggi non è diverso: l’incertezza, la mancanza di fiducia nel futuro e un’istruzione disastrata creeranno un’ondata di nazionalismo populista. Il consenso politico potrebbe orientarsi verso ‘soluzioni hobbesiane’[iv].
È necessario un cambio di direzione radicale. È ora di fare un atto di responsabilità. Bisogna evitare l’inazione del dopo-GFC: non si deve permettere che difficoltà di breve termine si trasformino in problemi ostici, difficilmente risolvibili[v]. Solo visione, strategia e leadership possono creare i presupposti per riavviare l’economia e salvare la democrazia. In particolare, i policy-maker devono:
1. Indebitarsi, mantenendo però i tassi di interesse al di sotto della crescita nominale del Pil[vi]. A breve termine: i) ridurre il debito[vii] non è una priorità; ed ii) è improbabile che il finanziamento del governo da parte delle banche centrali – i.e. la monetizzazione del debito – sia inflazionistico. Nel medio termine, tuttavia, un aumento del rapporto debito/Pil vale la pena solo se le attività finanziate a debito portano a competitività di lungo termine, investimenti più elevati e crescita sostenibile.
2. Promuovere la crescita reale, attraverso mercati liberi regolamentati (regulated free markets). Per creare opportunità, occupazione e ricchezza, la crescita economica è la priorità. In un ciclo economico recessivo, le politiche fiscali e monetarie espansive devono sostenere: 1) la domanda aggregata[viii]; 2) riforme strutturali a favore della crescita[ix]; e 3) il commercio internazionale[x].
3. Rafforzare lo stato sociale, dando profondità alla democrazia. Nonostante le sue carenze, lo stato sociale (welfare state) rimane un modello socio-economico valido. La maggior parte dei paesi deve migliorare la prestazione dei servizi essenziali, quali: i) gli ammortizzatori sociali (social safety nets) per i più colpiti; ii) una sanità pubblica più efficace; e iii) un’educazione moderna. Per proteggere la democrazia, bisogna evitare il “business as usual”: l’espansione delle responsabilità dello stato deve andare di pari passo con una maggiore accountability.
4. Salvare lo stato dallo statalismo. Se i governi diventano più pervasivi ma rimangono incapaci di rispondere ai bisogni dei cittadini, faranno crescere malcontento e alienazione. Per costruire uno Stato forte ed efficace, in grado di facilitare l’innovazione, i policy-maker devono rafforzare le ‘regole del gioco’ affinché il mercato funzioni (e.g. rompere i monopoli[xi] attraverso una regolamentazione efficace, favorire l’assunzione di rischi e l’imprenditorialità) riducendo al minimo l’invasiva interferenza dello Stato (es. clientelismo, burocrazia, controllo su compagnie private). Lo spirito imprenditoriale e la concorrenza sono beni pubblici, vanno protetti.
5. Tagliare le spese non produttive[xii]. Il momento è propizio: la recessione è un’opportunità per migliorare la qualità della spesa – che è più importante delle dimensioni della stessa. Affinché la fiducia di imprese e cittadini aumenti[xiii], le risorse allocate devono migliorare la produttività, stimolare la crescita, finanziare convergenza e sviluppo, e migliorare i redditi reali. Per costruire un sistema sostenibile e sconfiggere decadenza e spreco, sono necessari austerità[xiv] e rigore.
6. Normalizzare la politica monetaria all’inizio della ripresa. A lungo termine, l’abuso di strumenti non convenzionali (e.g. tassi di interesse a zero, quantitative easing) non stimola l’attività economica ma provoca: i) l’assunzione di rischi eccessivi (excessive risk taking) e inflazione degli attivi (asset inflation, i.e.: prezzi artificialmente elevati di azioni[i], obbligazioni e immobili); ii) un aumento del rischio di credito bancario; e iii) fragilità del settore finanziario. Una volta avviata la ripresa, le banche centrali devono aumentare i tassi di interesse a breve termine e ridurre gli attivi iscritti a stato patrimoniale (balance sheets).
In conclusione: costruire società migliori. Le crisi post-COVID-19 costringeranno le banche centrali a stampare. Il denaro facile finanzierà: 1) un inefficiente allargamento dello Stato, secondo strutture di potere preesistenti; 2) banche e zombie banks, in grado di prestare solo a chi è già dotato di capitale; e 3) una bolla nei mercati finanziari. Il conseguente aumento delle disuguaglianze metterà in pericolo la democrazia. Per evitare l’inevitabile avverarsi di una ‘cronaca di una morte annunciata’ (Figura 1), i governi devono riavviare l’economia – requisito e presupposto per salvare la democrazia – e riformare lo Stato – per offrire a tutti i cittadini: i) pari opportunità; e ii) crescita economica e culturale.
“Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso”.
– Lev Tolstòj
Twitter @AMagnoliBocchi
Linkedin Alessandro Magnoli Bocchi
NOTE
[i] Aumento dei prezzi degli attivi finanziari (e.g. nello spazio liquido: azioni, obbligazioni, materie prime; nello spazio illiquido: private equity e patrimonio immobiliare). Il rapporto prezzo-utili (price–earnings ratio) dell’indice S&P 500 è salito da una media triennale pre-GFC di 18,9 a 27,3 nel giugno 2020.
[ii] Durante la II guerra del Peloponneso, il declino militare e politico di Atene iniziò con il fallimento della seconda spedizione ateniese in Sicilia (413 a.C.). Tucidide, ne La Guerra del Peloponneso – Libro VIII, pagina 1, scrive: “Allorché Atene fu colta dalla notizia (…) la folla ruppe in una feroce protesta contro i politici che avevano pubblicamente incoraggiato la spedizione, quasi non fossero stati i cittadini stessi, col loro voto, i responsabili.” Seguirono il colpo di Stato aristocratico (411 a.C.), l’iperinflazione e la resa definitiva (404 a.C.) – in seguito alla quale Sparta impose ad Atene istituzioni oligarchiche, un regime affermatosi con il nome di ‘governo dei Trenta Tiranni’.
[iii] Hitler ascese al potere sfruttando: i) la sconfitta della Germania nella I guerra mondiale; ii) l’iperinflazione; e iii) la crisi economica (attribuita ai risarcimenti imposti alla Repubblica di Weimar dal Trattato di Versailles – e non alle conseguenze della Grande depressione del 1929-1939). Il 30 gennaio 1933, senza disporre della maggioranza assoluta (nelle ultime elezioni libere del 1932 i nazisti ottennero il 33 per cento dei voti, 196 dei 584 seggi disponibili), su nomina del presidente von Hindenburg, Hitler divenne Cancelliere – a capo di un governo di coalizione in cui il partito nazionalsocialista (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei) era il primo partito – e fece uso della Costituzione per consolidare il suo potere.
[iv] Quando il consenso politico favorisce ‘soluzioni hobbesiane’, le crisi non sono opportunità. Il famoso augurio di Jean Monnet: “L’Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per tali crisi (Europe will be forged in crises, and will be the sum of the solutions adopted for those crises)” non dovrebbe essere dato per scontato.
[v] Ad esempio, l’insolvenza di aziende funzionanti può portare a disoccupazione di lungo termine e a maggiori disuguaglianze. I disoccupati non devono diventare disoccupati strutturali (unemployable).
[vi] Quando la crescita del Pil nominale è superiore al costo medio del debito, il rapporto debito/Pil diminuisce nel tempo.
[vii] Nel 2019, nel discorso presidenziale all’ American Economic Association Olivier Blanchard sostenne che la professione economica aveva sopravvalutato il costo per la società del debito pubblico. A breve termine, in assenza di inflazione, sono accettabili misure non ortodosse quali il controllo dei prezzi e la monetizzazione del debito. Tuttavia, nel lungo termine va preservato il ruolo di “riserva di valore (store of value)” delle tre principali valute di riserva mondiale (world reserve currencies).
[viii] I lavoratori dipendenti (wage-earners) devono essere protetti rispetto a speculatori e rentiers (profit- and rent- seekers). Finora, solo pochi paesi hanno fornito ‘pagamenti assicurativi’ (insurance-like payments) a famiglie e imprese a corto di liquidità.
[ix] Riforme in grado di alleviare i vincoli ostativi (binding constraints) alla crescita. Ad esempio, i policy-maker potrebbero: 1) stimolare la domanda aggregata e promuovere l’attività economica con politiche di bilancio anticicliche (counter-cyclical fiscal policies) e politiche monetarie espansive, preservando al contempo la stabilità macroeconomica; 2) aumentare la spesa in infrastrutture e istruzione, con partenariati pubblico-privato (public-private-partnerships); 3) ridurre le tasse, in particolare sul lavoro, per incoraggiare l’occupazione; 4) promuovere la ristrutturazione del sistema bancario e modernizzarne le procedure di insolvenza; 5) riformare il sistema giudiziario e semplificare le pratiche di transazione (settlement practices); 6) ridurre le rendite di posizione (rent seeking ed élite capture) e promuovere la meritocrazia; 7) migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione; e 8) allineare i salari alla produttività e rendere più flessibile il mercato del lavoro formale.
[x] “Dove non passano le merci, passeranno gli eserciti” sembra abbia detto nella prima metà del 1800 Frédéric Bastiat, economista francese sepolto a Roma in San Luigi dei Francesi. I governi non devono rinunciare alla globalizzazione e devono impegnarsi a: 1) mantenere l’economia aperta e le pressioni concorrenziali che ne conseguono; 2) (de-)regolamentare i mercati dei prodotti (product markets); e 3) stimolare la crescita della produttività rimuovendo le barriere protettive all’ingresso, in particolare nel settore dei servizi.
[xi] “Resistere alla potente influenza degli interessi privati organizzati, interessati a costruire e proteggere posizioni monopolistiche e impedire l’efficiente funzione del libero mercato – riducendo così il livello complessivo di opportunità economiche nella società”. Fonte: Rajan, Raghuram, and Luigi Zingales. Saving Capitalism from the Capitalists: Unleashing the Power of Financial Markets to Create Wealth and Spread Opportunity. New York, Crown Business, 2003.
[xii] E.g. 1) sussidi e agevolazioni fiscali a: i) monopoli appoggiati politicamente (e.g. regulatory capture); e ii) imprese private al riparo dalla concorrenza; 2) governi locali senza disciplina fiscale e imprese poco trasparenti di proprietà di regioni, comuni e città metropolitane (in Italia sono 7.090 le aziende che si occupano di trasporti e servizi, dai rifiuti all’acqua – di cui 1.700 non hanno dipendenti ma accolgono politici locali nei loro consigli d’amministrazione; i loro debiti ammontano a 104,41 miliardi, il 6 per cento del Pil del 2019; 828 gare d’appalto su un totale di 15.139 affidamenti); 3) salvataggi di banche non dovuti (i.e. rischio morale – moral hazard); e 4) benefici guidati dal nepotismo (e.g. pensionamenti anticipati). Durante una recessione, gli impatti negativi a breve termine sulla ripresa e sulle prospettive occupazionali sono marginali: un consolidamento fiscale dell’1 per cento del Pil generalmente riduce il Pil di circa lo 0,5 per cento entro due anni e aumenta il tasso di disoccupazione di circa 0,3 punti percentuali. La domanda interna – consumi e investimenti – diminuisce di circa l’1 per cento. Fonte: IMF, Rebalancing Growth, WEO, April 2010. IMF, “From stimulus to consolidation: revenue and expenditure policies in advanced and emerging economies”. Washington DC, April 2010. Ball, Laurence, Daniel Leigh, and Prakash Loungani, 2011. ‘Painful medicine’. Finance & Development September 2011.
[xiii] Nelle recessioni prolungate, le riduzioni del deficit ‘basate su tagli alla spesa’ vanno preferite a quelle ‘basate sull’aumento delle tasse’. Se incerti sulla futura politica fiscale, fiscalità e regolamentazione, le aziende smettono di investire o assumere. In passato, dopo ‘riduzioni del disavanzo dovute a tagli di spesa’, l’accumulazione di capitale del settore privato è aumentata: le imprese hanno investito di più in attività produttive, ad esempio l’acquisto di macchinari e l’inaugurazione di nuovi impianti. Fonte: Alberto Alesina, Carlo Favero, and Francesco Giavazzi, Austerity: When It Works and When It Doesn’t. Princeton University Press, 2019. Downloadable data appendix. In Italiano: Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi, Austerità, Rizzoli, 2019.
[xiv] L’austerità non viene qui utilizzata nel suo significato tecnico di ‘riduzione del disavanzo o del debito pubblico attraverso tagli alla spesa e aumenti delle tasse’. In questo contesto, “Austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata”. […] “Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare […] lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. […] Anzi, si potrebbe osservare che come spesso, nelle società decadenti, sono andati, vanno insieme e imperano le ingiustizie e lo scialo, così nelle società in ascesa vanno insieme la giustizia e la parsimonia”. Intervento conclusivo di Enrico Berlinguer – segretario del Partito Comunista Italiano (PCI) al convegno degli intellettuali all’Eliseo, Roma, gennaio 1977.