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Il BTp Futura e il problema dell’ignoranza (finanziaria)
I sottoscrittori dell’ultimo BTP Italia hanno avuto la possibilità di realizzare nel giro di qualche settimana un capital gain pari a circa 1,7-1,8%.
Non si tratta certo di un guadagno che cambia la vita, tuttavia rapportando la plusvalenza al fatto che il titolo ha un rendimento minimo garantito pari al 1,4% annuo e che le alternative a disposizione della clientela retail per ottenere un rendimento analogo a rischio comparabile prevedono la necessità di un vincolo temporale di almeno 18-24 mesi (calcolo effettuato con confrontaconti de il Sole24ore) non si tratta di un guadagno marginale.
Perché il governo italiano dovrebbe “regalare” ai cittadini queste opportunità di guadagno facile e veloce?
Una risposta sconveniente, ma non tanto irragionevole è che possa contare sul fatto che un’ampia maggioranza di coloro che avrebbero potuto cogliere questa opportunità non posseggano competenze finanziarie adeguate per riconoscerla e non dispongano di consulenti sufficientemente indipendenti per segnalarla.
Si può poi osservare che dai primi giorni di luglio l’esercito di riserva dei risparmiatori italiani sarà chiamato a sottoscrivere i nuovi BTP Futura titoli con cedola crescente nel tempo e “premio fedeltà” parametrato all’andamento del PIL nominale
Non è ovviamente questa la sede per formulare consigli di investimento o esprimere giudizi su questo o quel prodotto finanziario, pertanto le brevi considerazioni che seguono si concentreranno sull’evidente tentativo da parte del governo di far crescere la quota di debito pubblico detenuta direttamente dai cittadini e su quanto questi ultimi siano consapevoli del contributo in termini di concentrazione del rischio che questo investimento comporta.
Partendo da una stima di circa 4200 miliardi per la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane e considerando 140 miliardi di debito pubblico detenuti direttamente e 470 detenuti indirettamente attraverso prodotti assicurativi e di risparmio gestito arriviamo a un “peso” dei titoli domestici pari a circa 15% del totale.
Occorre però tenere presente che un’altra quota rilevante dei titoli di debito pubblico italiano è detenuta da banche e istituzioni finanziarie (secondo una ricerca di Prometeia circa il 50% dello stock è detenuto da operatori privati italiani) e che questo influenza una ulteriore componente della ricchezza finanziaria delle famiglie, quella impiegata in azioni e obbligazioni di banche e di società quotate, titoli che normalmente presentano fluttuazioni correlate al valore di mercato dei titoli di stato italiani.
Quando ad esempio si assiste ad un allargamento dello spread tra BTP e Bund, tipicamente a causa di incertezza nel quadro politico italiano o per il diffondersi di timori sulla tenuta dei conti pubblici, si registra una riduzione del valore di mercato dei titoli di debito pubblico italiano in circolazione.
Questo vuol dire che le banche che possiedono questi titoli subirebbero una perdita in conto capitale se dovessero venderli immediatamente. Dal punto di vista contabile con una certa periodicità sono costrette ad aggiornare i valori di carico di questi titoli registrando plus e minusvalenze.
A questo va aggiunto che la prospettiva di un peggioramento del rating sovrano ha effetti negativi anche per gli intermediari finanziari e le società quotate che potrebbero subire un analogo declassamento.
Per riassumere, il rischio di osservare delle variazioni nel valore di mercato delle proprie attività finanziarie non deriva solo dalla detenzione diretta e indiretta di titoli del debito pubblico italiano, ma anche dall’investimento in azioni o obbligazioni di società quotate che presentano una correlazione o che sono influenzate dall’andamento del debito sovrano.
Fin qui abbiamo parlato dei rischi legati all’investimento in attività finanziarie. Ma è abbastanza ovvio anche i redditi da lavoro derivanti da attività svolta in italia e il valore della ricchezza non finanziaria (tipicamente costituita da immobili) risulta collegato con le sorti del nostro paese.
Come ampiamente discusso su questo blog, il nostro paese, che presentava rilevanti squilibri macroeconomici e di finanza pubblica prima della recente crisi sanitaria, si trova oggi ad affrontare una contrazione dell’economia molto profonda e che porterà ad una crescita del rapporto debito/pil a livelli tanto elevati da mettere seriamente in discussione la sostenibilità nel medio termine.
Nonostante la tempestiva reazione delle istituzioni europee che sono arrivate al punto di infrangere lo storico tabù dell’emissione di debito comune pur di fornire una rete di protezione che potesse rassicurare i mercati finanziari, il rischio di trovarsi di fronte qualche “incidente di percorso” (specie se non si riuscirà a fare tesoro di questa opportunità evitando le politiche economiche miopi che hanno caratterizzato la storia recente) sulla difficile strada della ripresa post lockdown appare concreto, non trascurabile e dovrebbe essere tenuto ben presente da chi investe in titoli di debito pubblico italiano.
Considerando poi che, al fine di incentivare i rispamiatori a sottoscrivere prima i BTP Italia e a breve i BTP Futura, il governo si sta impegnando a sostenere oneri più elevati rispetto ad altre forme di finanziamento attualmente disponibili come il MES e, in prospettiva, il Recovery Fund è lecito chiedersi perchè tutto questo interesse ad accrescere la quota di debito detenuta da operatori domestici? Si tratta di una strategia negoziale volta a rassicurare i partner europei sulla presenza di “skin in the game” dei cittadini italiani nel finanziamento della spesa pubblica quando ci troveremo a ricorrere alle misure di sostegno? Oppure si tratta di rendere il più possibile volontario un sostegno alla finanza pubblica che in alternativa dovrebbe articolarsi attraverso una crescità della pressione fiscale già molto elevata?
A prescindere da qualunque congettura o illazione quello che finora si può dire con certezza è che la politica del governo volta ad accrescere la quota di titoli detenuti direttamente dalla famiglie si basa anche sulla limitata cultura finanziaria di queste ultime e sulla probabile incapacità di valutare correttamente il rischio aggiuntivo derivante dalla maggiore esposizione nei confronti del paese nel quale si risiede e verso il quale sono già estremamente esposti anche i principali intermediari finanziari domestici.