categoria: Sistema solare
La pandemia è arrivata. E la prossima carestia potrebbe essere vicina
Gli ultimi mesi sono stati sfidanti per molti di noi. L’anno è cominciato con l’invasione delle cavallette, poi la pandemia e per poco non è arrivato anche l’asteroide. Dopo questi eventi biblici una carestia non la vogliamo? Chiariamoci: non mi sto riferendo ad una carestia globale. Noi occidentali non ci mangeremo l’un l’altro per la fame, come avvenne sulle montagne andine o a Leningrado (di qui forse la famosa leggenda metropolitana che “i comunisti mangiano bambini”). Chi rischia di morire di fame, in maggioranza, sono i poveri dei paesi diversamente sviluppati. La stima della Fao parla di circa 250 milioni di persone vittime di “insicurezza alimentare”. L’impatto del Covid sull’intera filiera è articolato; il termine carestia non rende veramente l’idea. Ci sono molteplici scenari da qui a 2-3 anni che riguarderanno la sicurezza alimentare. Alcuni sono strettamente legati al Covid, alcuni derivati dalle conseguenze del lockdown altri, temo, saranno “stimolati” dalla finanza. Consideriamoli uno dopo l’altro, non dimenticando che alcuni di loro sono “cumulabili” come le offerte del supermercato.
Sicurezza alimentare e paesi del 3° mondo
Fa brutto dire paesi del terzo mondo. Non si usa più. Fa più bello dire Paesi meno sviluppati, paesi in via di sviluppo, paesi che si sono sviluppati così così. Chiamateli come volete, sono nazioni dove la percentuale di spesa per il cibo è una buona fetta del paniere. Nel 1857 l’economista Engels teorizzò che mano a mano che la disponibilità economica dell’individuo aumentava diminuiva proporzionalmente l’ammontare di denaro per comprare cibo. Esempio banale: se tu guadagni 100 euro ne spendi 100 per il cibo (100%). Se tu ne guadagni 1000 il tuo stomaco non cambia, continuerai a spendere 100 euro (10%?). La sua tesi regge ancora oggi. Se osserviamo questo grafico notiamo come i paesi maggiormente sviluppati spendano, proporzionalmente alle entrate del cittadino, meno per il cibo.
Fonte: American Farm Bureau Federation. (dati 2018-2019).
Con un paniere di spesa cosi strutturato quando il prezzo del cibo aumenta e diminuisce la disponibilità economica del cittadino (o il potere di acquisto, causa svalutazione, per esempio), la gente non ce la fa e muore di fame oppure va in denutrizione. Se la tabella precedente e successiva mappavano lo scenario 2018-19, la situazione non andrà a migliorare nel 2020.
Fonte: American Farm Bureau Federation. (dati 2018-2019).
Africa, America latina, India sono i tre principali blocchi che soffriranno la fame. La ragione è presto detta: queste aree (come dimostrano le mappe) avevano una percentuale di popolazione a rischio alimentare già prima del Covid. Ora che il sistema mondiale degli aiuti si è un “po’ inceppato” questi individui rischiano di più. E non si dimentichi che, pur a fronte di buoni raccolti, molte nazioni hanno attivato piano di contingentamento di beni alimentari. In pratica per stare sicuri di non avere “rivolte del pane” stile nord africa, molte nazioni hanno aumentato le scorte che tengono per sé e non vanno sul mercato libero.
Fonte https://voxeu.org/article/covid-19-and-food-protectionism
La carestia è tutta qui? No tranquilli, questo era solo l’antipasto.
Capitalismo e fame nera
Pensavate che fossero solo i poveri indiani di Dharavi, delle Informal Suburban Settlements sud africani oppure i meninos de rua brasiliani a patire la fame? Sorpresa: anche nel cuore del capitalismo mondiale, gli Stati Uniti, non sono messi bene. Circa il 25% dei cittadini americani ha saltato almeno un pasto, ha visitato le banche del cibo e/o è diventato un cliente SNAP. Qui i problemi sono differenti ma la fame morde ugualmente. Prima di tutto c’è la disoccupazione che riduce il potere di acquisto (no stipendio, no soldi, no cibo). Esiste una domanda molto preoccupante sulle statistiche di disoccupazione americane: sono giuste? Le stime ufficiali dicono che sia scesa nell’ultima settimana al 13%.
Ma le cifre vere, secondo lo stesso ufficio, vengono stimate intorno al 16% (forse anche più alte ma al ministero del lavoro vogliono essere cauti…). Molti licenziati sono fuori dalle statistiche, e non dimentichiamo il nero (lo hanno anche negli USA). Ovviamente tra i più bisognosi vi sono le etnie o fasce di popolazione che già prima non se la passavano bene.
Con queste cifre non stupisce che le istituzioni preposte a supportare chi è senza lavoro e ha fame siano sotto stress. Il programma alimentare americano, lo SNAP, fatica a stare dietro ai suoi clienti. Molti degli aiuti promessi da Trump (l’equivalente dei nostri 600 euro alle partite Iva) non sono arrivati. Le banche del cibo sono incapaci tenere il passo con le richieste, e in alcuni casi è arrivata la guardia nazionale (militari) per assicurarsi che non vi siano problemi. Ma in America c’è anche un altro segreto brutto: la crisi dell’agricoltura. Uno scenario che arriva dal passato ma che rischia, post Covid, di esplodere.
Agricoltori suicidi: una pandemia economica
La visione “classica” del contadino americano della Corn belt è semplice: un pioniere duro e puro, temprato dai venti freddi dell’inverno e dal sole cocente dell’estate. Mani piene di calli e spalle forti. Uno storytelling fantastico che si sta sbriciolando. La pressione delle multinazionali di carne e cereali per avere prezzi di materia prima sempre più bassa. La finanza speculativa che tenta di venderti sempre denaro per “aiutarti”. Le sempre più pressanti pretese della filiera alimentare per ammodernare gli standard che, di fatto, creano un agricoltore super indebitato. A questo aggiungiamo la recente crisi commerciale di Trump con la Cina e, non ultimo, il lockdown da Covid che ha, in molti casi, devastato la filiera (ma di questo parliamo nel prossimo paragrafo). La carenza di esperti di salute mentale in molte aree dell’America era già nota. La salute mentale di molti contadini era già seriamente compromessa nell’ultima analisi 2018-19. Figuratevi adesso. Di seguito le maggiori ragioni di stress per i contadini.
Il livello di suicidi tra i contadini continua a crescere mentre le entrate sono via via decresciute nei decenni.
Conseguenza di quanto sopra i fallimenti che negli ultimi mesi sono aumentati.
Filiera a pezzi
Di tutte le ragioni di stress per i contadini una almeno va approfondita: la porkapocalypse che, in Usa, ha due facce (una peggio dell’altra). Il primo elemento è il terrore che i maiali americani si ammalino. Non si sta scherzando, la cosa è molto seria. Per farla breve una febbre suina (che non si trasmette all’uomo) ha interessato oltre il 50% dei suini del mondo. Africa e Cina, entrambi grandi consumatori di suini, hanno visto i loro capi morire o essere abbattuti per contenere il contagio.
Idealmente sarebbe una buona notizia per chi produce maiali sani. Se non fosse che la guerra commerciale (a partire dal 2018) Usa-Cina ha danneggiato le esportazioni dei suini (e non solo).
A questo aggiungiamo la porkapocalypse made in Usa. Per correttezza si deve estendere il seguente scenario anche al settore dei pollami. I macelli in America hanno registrato i valori più alti di contagio. Molti hanno chiuso, altri tengono ma a giro ridotto. Molti agricoltori si vedono costretti a sopprimere i propri animali nelle fattorie. A questo si devono aggiungere i costi per lo smaltimento delle carcasse. Alcuni agricoltori vendono le carni ai vicini, magari in internet, ma i volumi di produzione delle fattorie industriali non possono essere smaltiti con soluzioni fatte alle buona, usando vendite al dettaglio improvvisate. Il rischio che molti agricoltori stanno affrontando è di chiudere per sempre. Quindi infoltire le legioni di disoccupati.
Finanza e futuro
Ultimo rischio, non ancora palesatosi, è quello finanziario. Qualcuno ricorderà le “primavere arabe” in nord Africa. Vennero “vendute” all’occidente come la più grande manifestazione del percorso di crescita democratica. Per educazione non entrerò nel merito di questa tesi; ma il fattore detonante di questi eventi non fu certo la voglia di democrazia. Fu la voglia di mangiare: tra gli analisti si parla di “rivolte del pane”. Il crollo del 2008 spinse la finanza a rigurgitare torrenti di soldi ovunque si potesse far buone rendite. Lo tsunami finanziario sfondò nel mondo delle commodity iper-pompando qualunque cosa, di fatto generando una bolla sul valore di future e derrate alimentari. Già in quegli anni i raccolti avevano avuto qualche problema con il meteo. Noi occidentali ci siamo accorti poco della cosa ma per molti poveri fu una tragedia. Allo stato attuale uno scenario del genere ancora non si è ancora manifestato. È tuttavia bene ricordare che dallo scoppio della bolla nel 2008 passarono circa 2-3 anni prima che la finanza si “occupasse” di gonfiare le commodity (tra cui quelle alimentari). La finanza, al momento, si gode leggiadra i super bonus di Trump. Ma nulla esclude che, con i soldi raccolti, la finanza decida di cercar profitti anche nel mondo delle commodity. Se succedesse avremmo una nuova botta di primavere di fame. Se a questo colleghiamo lo scenario precedente degli agricoltori suicidi (ergo non producono) non c’è da stare allegri. Però non voglio concludere questa analisi con un tono pessimistico. Ricordiamoci che delle 10 piaghe bibliche sino ad ora si sono manifestate solo 3: cavallette, malattie-morte e carestia (o se preferite morte di animali). Insomma solo 3 su 10, c’è margine per essere ottimisti e sperare che le altre 7 calamità non si manifestino (per quanto con mosche e zanzare in estate… non ci scommetterei). E ricordate: la pioggia di fuoco dal cielo (assimilabile ad un asteroide) ci ha mancati. Credo.
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